Il Credo:
il secondo articolo (II)
Gruppo del venerdì
Aprile 1996
Ripresa della prima parte
* Rispetto al primo articolo del Credo, restano un paio di cose interessanti e, forse, gravide di conseguenze che vale la pena di sottolineare.
Tutta la parte che dice “Dio da Dio, Dio vero da vero, generato, non creato…..”, il cui linguaggio è molto filosofico e per noi non immediatamente disponibile, mediamente nella mentalità moderna sembra un linguaggio poetico, simbolico. Normalmente questa parte si spiega dicendo che dietro c’è il problema dell’eresia, il pensare che Gesù non fosse proprio Dio come il Padre e questo testo sarebbe stato messo per spiegare che Gesù è proprio Dio, esattamente come il Padre. Tutto ciò è vero, ma è anche vero che, spiegato così, a noi serve poco, il nostro problema non è una definizione filosofica.
Bisogna allora riprendere un attimo per capire sia il senso dell’eresia, sia quello della risposta che viene data. L’atteggiamento nostro è capire bene qual è il programma, quale esigenza ci sta dietro, e quale è eventualmente il nostro problema rispetto a questa esigenza.
La questione che noi capiamo abbastanza bene è in termini di comunicazione: quando noi sentiamo una cosa, poi la esprimiamo a parole, a gesti, per scritto, e un altro la ascolta, c’è sempre uno scarto, anche minimo, tra quello che sentiamo e diciamo e tra quello che diciamo e quello che l’altro ascolta.
La definizione dell’unità di Dio in tre persone sta esattamente nel dire che Dio è uno, in questa operazione, per ciò che egli è, il Padre, ciò che egli dice, il Verbo, la Parola, il Figlio, e ciò che lo Spirito ci fa di lui comprendere: è esattamente coincidente: Dio da Dio, luce da luce… Dice la perfetta coincidenza di Dio, non dice una cosa rispetto alla storicità di Dio (c’era prima un Dio poi ne è venuto un altro che è Dio allo stesso modo), ma dice che Dio, anche nel suo movimento verso l’esterno, verso la storia degl uomini, non perde niente di sé, non c’è nessuno scarto tra ciò che Dio è, sente, ciò che Dio dice , comunica, e ciò che viene ascoltato nello Spirito. E questa perfetta coincidenza sarebbe ciò che viene chiamata la comunione della Trinità. Quando si dice che la vita beata, la visione beatifica, è il fatto che noi saremo introdotti nella comunione della Trinità, si dice una cosa molto seria e di cui tutti abbiamo una grande nostalgia, cioè che noi saremo esattamente ciò che sentiamo di essere, contemporaneamente ciò che vorremmo essere e contemporaneamente saremo anche ciò che siamo riusciti ad essere. La nostra espressività rispett alla nostra identità saranno perfettamente coincidenti e ciò sarebbe uno dei più grandi desideri dell’umanità. Il 90% degli esseri umani sarebbero molto contenti di essere esattamente sé stessi, riuscire ad esprimere esattamente se stessi e essere contenti del se stessi che sono. Questo sarebbe “essere introdotti nella comunione trinitaria”.
* Quando qui c’è la preoccupazione di dire la perfetta divinità di Gesù, quello che ci sta dietro non è un problema puramente teorico, filosofico, ma si dice invece con il linguaggio di allora, con le categorie mentali storiche di quel tempo, qualche cosa su ciò che è la comunione trinitaria, su ciò che è la dinamica, non su ciò che sono le figurine (Dio-Padre è fatto così, Dio-Figlio è fatto…), ma si dice qualcosa sul movimento di Dio, sulla sua storicità, sul fatto che Lui non è il motore immobile di Aristotele, ma è colui che esprime sé, dunque rischia “l’alienazione”, il diventare altro da sé, nell’espressione e rischiando non si aliena, resta perfettamente coincidente.
Questo vuol dire “Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero”; e dunque “generato e non creato” (distinzione filosofica con un linguaggio che viene dal greco; dietro c’è il primo articolo, Dio Padre creatore, con tutte le riflessioni già fatte). Quello che si dice qui è che il Figlio che emana dal Padre, cioè l’espressività, la Parola del Padre, non è creatura, non il salto di gradino, ma è la generazione del Padre, la fecondità sulla vita da parte Padre.
Questo si capisce bene pensando alla generazione materna e paterna, al fatto di avere un figlio: un padre ed una madre generano, ma non creano, perché se creassero si garantirebbero una serie di sicurezze che nella generazione non è dato garantirsi e generando, generano anche l’autonomia dei loro figli che a loro piaccia o no. Ne momento in cui si taglia il cordone ombelicale, questa entità altra ha una vita sua che non può più essere ritirata. L’atto di generazione è un atto tendenzialmente paritario, non è mai qualcosa su cui il nostro dominio è totale, anche se si fatica a prenderne coscienza, perché il cucciolo d’uomo ha bisogno di un tempo di svezzamento piuttosto lungo ed allora ci si illude per un bel po’.
Ma in realtà l’atto di generazione è un atto di pariteticità, non sincronica, diluita nel tempo, ma nel momento stesso in cui l’altro è partorito, diventa una persona a tutti gli effetti e dunque ha uguale dignità; un giorno sarà adulto, più forte di noi che nel frattempo saremo vecchi. Questa è la differenza tra generato e creato. Mentre noi creiamo gli oggetti e così come li creiamo li possiamo distruggere.
* Poi c’è: “Per mezzo di lui tutte le cose sono state create…”, che è una grande cosa perché risponde ad una serie di nostri problemi molto grossi. Già in Paolo c’è questa preoccupazione di stabilire che non ci sono due principi creativi, Dio e l’anti-Dio, Dio e il Demonio, che non ci sono cose buone e cose cattive, non c’è un sacro e un profano, che nel disegno di Dio esiste solo il santo, il figlio, e attraverso di lui tutto è creato, non c’è niente che stia fuori del suo dominio. Su questo c’è molto da pensare. Noi ragioniamo moltissimo sul fatto che ci sono cose che attengono a Dio e cose che non attengono a Lui, cose che sono in sé buone e in sé cattive, cose che hanno una possibilità di veder ristabilita la loro parentela con Dio e cose che sono senza speranza, per le quali non c’è modo di riagganciarle alla dinamica della creazione. Quello che ci è detto nel Credo è che tutto è creato per mezzo del Figlio, tutto è dentro attraverso questa Parola. Queste erano le due cose da dire ancora sulla prima parte del secondo articolo.
* Domanda: chi ha creato il demonio?
Nessuno ha creato il demonio; il demonio non è un dato creato. Esiste secondo l’insegnamento cristiano ed è un’entità personale, è il frutto di un’opzione di libertà; la creazione è l’angelo, la conseguenza è generata dalla libertà del soggetto, da una scelta libera. (La caduta degli angeli non è scritturistica, sta in un apocrifo nella IV Apocalisse di Enoch).
La riflessione sull’origine del male è comunque nella Scrittura riportata alla libera scelta dell’uomo, cioè l’entità soggetto è sempre l’uomo. Il demonio, quello che noi chiamiamo abitualmente demonio, è la nostra possibilità di abitare la parte peggiore di noi stessi, la nostra parte alternativa a Dio in qualche modo. Noi siamo sempre persone in ogni parte di noi stessi; le nostre parti, emotiva e razionale, ad esempio, sono sempre entità personali, non sono generiche, non sono un vago sentimento. Il male non è né generato, né creato, è frutto della libertà e questa è una vecchia cosa già spiegata nel catechismo ed era una saggia cosa che non si spiega più e così tutti rischiamo di pensare che per essere credenti basta sforzarsi di essere buoni. Il che è una fesseria colossale, il problema non è sforzarsi di essere buoni, fatica persa in partenza; noi abbiamo comunque una parte di noi che gioca contro noi stessi se no non ci sarebbe la psicanalisi, non ci sarebbero una serie di cose, che abbiamo laicizzato ma scoperto bene.
Il problema di un credente non è sforzarsi di essere buono, ma di mettersi dalla parte di Dio, il che è radicalmente un’altra questione. Una delle conseguenze del mettersi dalla parte di Dio è che uno poi compie opere di buona qualità, ma non è il volontarismo, per cui ci si mette a seguire tutte le norme. Se si insegnasse un po’ di più sul male, si capirebbe meglio questa cosa. Il solo seguire la norma è la grande tragedia del cristianesimo contemporaneo; nelle risposte alla domanda “Che cosa è necessario per essere cristiani?” l’aspetto operativo, genericamente solidaristico, è espresso al 90%. Il ragionare sul male solo come azione, è una delle deformazioni peggiori del cristianesimo perché è una perdita di comprensione della realtà.
Se avessimo mantenuto l’idea di male del Medio Evo, cioè l’idea in cui il male non era ridotto al suo aspetto operativo, forse non ci sarebbe stato bisogno della psicanalisi che lavora proprio sul fatto che ogni azione simbolica ti rimanda comunque ad un tuo percorso interiore, ogni immagine è la rielaborazione di un tuo stato che è precedente all’azione che tu compi. Tanto abbiamo esasperato il tema del peccato, tanto abbiamo sottovalutato radicalmente il tema del male, della teologia crucis , dell’aspetto negativo della vita che è una delle cose che fa parte della vita, c’è e non dipende da quanto sei stato buono o no.
Noi abbiamo trasformato la vita, sulla scorta di una deformazione del cristianesimo, che ha dominato la cultura occidentale, in una specie di anno scolastico: se faccio bene i compiti poi mi danno 10 e metà di noi è nevrotizzata dal fatto che ha fatto bene i compiti e non arriva il 10 ed è distrutta da questo.
* Domanda: il male come dolore, il male oggettivo?
Il problema è il corto circuito che noi facciamo tra responsabilità e soggettività. In genere noi cortocircuitiamo la scelta con la responsabilità e poi, cosa peggiore, in genere non abbiamo coscienza delle nostre scelte e le deduciamo dalle conseguenze responsabili che riscontriamo nella nostra vita concreta. Facciamo esattamente il procedimento opposto, per cui se le cose non funzionano, c’è un colpevole, un responsabile e, in base alla responsabilità, deduciamo la scelta, mentre il procedimento credente, umanamente più sano, è esattamente l’opposto.
La scelta funziona come gli amori; uno si mette da una parte e poi, inevitabilmente, questo porta con sé delle responsabilità, delle scelte operative, ma non si deduce dalle scelte concrete (amo una persona non perché le mando dei fiori, ma la amo anche se non sempre le mando dei fiori. Noi in termini di male ragioniamo sempre a partire dal guardare se arrivano i fiori o no e se non arrivano deduciamo che c’è qualcuno colpevole di non averli mandati).
Il male oggettivo sta sul livello della scelta, ma è un’origine, non una conseguenza, non è necessariamente connesso al tema della responsabilità. C’è un male oggettivo che è legato alle mie scelte e che, in genere, non dipende dalla mia responsabilità; ci sono conseguenze non prevedibili delle mie scelte che in genere mi stupiscono.
Una delle frasi classiche del ‘900, che anche noi diciamo sempre è: “Ma io non intendevo!”, come se questo giustificasse l’operazione sulla realtà. Nel dire questa frase io metto in gioco, senza saperlo, il fatto che io penso che, siccome sono “dio”, posso tutto e comprendo tutto, quando ho responsabilmente scelto, la realtà doveva corrispondere alla mia scelta e alla fine è colpa della realtà (non mi hanno capito, hanno travisato). Nell’insegnamento cristiano funziona esattamente al contrario: poiché tu non sei Dio, tu sei tenuto ad una valutazione prudenziale sulla realtà, perché tu sai che quando scegli sei comunque parziale, limitato, non puoi governare tutte le conseguenze della tua scelta. Questo significherebbe che siamo tutti peccatori. Non è una forma di autocompiacimento.
Non sono Dio, dunque so che da una mia scelta, per quanto buona, ci sarà una percentuale di realtà che va per il fatto suo, si rivolta contro la mia intenzione, la mia scelta. Questa è l’esperienza del male oggettivo. Quando noi scimmiottiamo Dio, ci pensiamo in grado di governare la realtà, ci mettiamo dalla parte del demonio e ci viene malissimo, perché non riusciamo ad essere un altro dio.
* Seconda parte del secondo articolo
Una riflessione di Mauriac per introdurre questa parte: “Ormai nel destino di ogni uomo ci sarà sempre questo Dio in agguato”. E’ una frase stupenda per dire il senso di questa seconda parte sull’incarnazione, sulla storicità di Gesù. Dopo l’Incarnazione uno dice “Ormai, è andata”, con questa frattura della storia da cui noi contiamo gli anni; d’ora in poi, ormai, ci sarà sempre questo Dio in agguato, questo accadimento.
La seconda parte dice:
“Per noi e per la nostra salvezza discese dal cielo
e per opera dello Spirito Santo
si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo,
fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto
e il terzo giorno è risuscitato secondo le Scritture,
è salito al Cielo, siede alla destra del Padre
e di nuovo verrà nella gloria alla fine del mondo
per giudicare i vivi e i morti
e il suo Regno non avrà fine”.
Il foglio è la struttura letteraria di questo testo, piccolo capolavoro pensato benissimo, perché esteticamente ci dà l’idea di cosa vuol dire. C’è un cuore (fu Crocifisso, patì sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto e il terzo giorno è risuscitato secondo le Scritture). Questa frase è l’inclusione ed ha due nuclei: “sotto Ponzio Pilato.” e “secondo le Scritture” che sarebbero la storicizzazione, il dare una data di cui una è la data degli uomini (sotto Ponzio Pilato) e l’altra è la datazione della storia umana vista dagli occhi di Dio (secondo le Scritture). La storia umana vista dagli occhi di Dio è per i credenti la Scrittura, le profezie che si compiono e l’Atteso delle genti che arriva.
Queste due affermazioni ci dicono: stiamo parlando della storia, siamo scesi dalla Trinità alla storia, stiamo parlando della storia degli uomini così come gli uomini vivono, ma che anche la storia degli uomini così come Dio la guarda, la vede.
Tra Ponzio Pilato e le Scritture c’è l’accadimento, la frattura della storia “fu crocifisso sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto”. Il desiderio degli uomini sulla storia pare essere stata la crocifissione sotto Ponzio Pilato; il desiderio di Dio sulla storia è la risurrezione. Ciò che si è visto, quello che hanno visto, è che costui è morto ed è stato sepolto, l’assolutamente visibile è che morì e fu sepolto, questo l’hanno visto tutti. La struttura è molto chiara: è morto ed è stato posto in una tomba; il desiderio, l’opzione, la direzione della storia umana sotto Ponzio Pilato è che fu crocifisso, cioè c’è stata una condanna, una scelta, un mettersi da qualche parte. Secondo le Scritture è risuscitato; lo sguardo che Dio ha sulla storia è potente e dunque ha convertito l’opzione degli uomini.
Questo è tutto l’accadimento di Gesù quanto alla storia (linea diritta dello schema); prima e dopo ci sono altre due cose: prima il movimento di discesa, dalla Trinità si arriva a questa storia, poi c’è il momento di ascesa, da questa storia si torna alla Trinità. Innanzitutto Dio è definito per dei movimenti (scendere – salire) e questa cosa è bellissima: il Credo dei credenti è proprio un “programma”, non un elenco.
Ciascuno di questi due movimenti è caratterizzato da tre dati paralleli:
a) “per mezzo dello Spirito Santo” corrisponde a “siede alla destra del Padre”;
b) “nel seno della Vergine” corrisponde a “per giudicare i vivi e i morti”.;
c) “per noi e per la nostra salvezza è sceso” corrisponde a “per giudicare i vivi e i morti tornerà”.
La finalità del movimento è in questo terzo elemento, il verso dove. Nel primo si dice da dove arriva, quanto al suo rapporto con il resto della Trinità e lo Spirito santo, che è lo spirito della ricezione, dell’ascolto, del ricevere il movimento e che lo conduce alla destra del Padre. In mezzo c’è il quanto alla storia, sotto Ponzio Pilato; la sua discesa sta sotto il segno di una normalità, il suo ritorno sta sotto il segno di un dominio.
Il senso di queste affermazioni: siamo al punto d’aggancio tra ciò che noi possiamo vivere, vedere, pensare di questo Dio o sperimentare e tutto il resto che sta dalla parte di Dio stesso, della sua rivelazione. Questo pezzo è esattamente la porta per cui uno entra o non entra verso la rivelazione, un punto critico. Deformare questo ingresso significa prendere la porta sbagliata del labirinto.
* Vediamo la prima affermazione quanto alla Trinità. Il movimento dalla parte di Dio è chiarissimo e quindi per opera dello Spirito Santo si capisce bene, (l’identità, l’espressione, la ricezione): la Parola di Dio viene parlata alla storia per opera dello Spirito Santo con una garanzia sulla ricezione; Dio si garantisce che il livello di ricezione possibile non sia sfasato rispetto all’emissione di messaggio (nei primi tre capitoli di Luca c’è sempre questo Spirito Santo che si da da fare).
Dal punto di vista dell’origine è raccontato come una favola, una storia la nascita di questo bambino; l’inizio della storia è messo sotto la grande garanzia di Dio, l’Onnipotente ti coprirà con la sua ombra. Qui sta il motivo serio per cui c’è tutto il tema dell’infallibilità della Chiesa, quanto alla fede che non è un deposito della Chiesa, è la garanzia per i credenti che Dio stesso si dà sulla ricezione sostanziale della sua parola. L’opera di discesa comincia per opera dello Spirito Santo.
Quello che è interessante è lo speculare, perché la parte sotto noi non l’abbiamo ancora vista, fino a qui stiamo arrivando al punto di frattura, di crisi, che è l’Incarnazione; siamo partiti dal Padre e questo movimento si vede abbastanza bene, solo che da quella linea di frattura in poi, nella parte speculare, quello che succede è il ribaltamento nella storia o della storia; cioè: dopo l’Incarnazione che cosa succede ancora? Se tutta la prima parte ci dice quale sogno ci ha sognati, tutta la seconda parte ci dice quale interpretazione darebbe lo psicanalista di questo sogno, come si rilegge questo sogno essendoci passati attraverso.
“Siede alla destra del Padre” dice che quanto alla Trinità, l’opera dello Spirito Santo che garantisce la perfetta espressività di Dio nella storia, è un’opera di dominio, instaura una signoria; costui che è disceso, siede alla destra del Padre, mostra il suo dominio, prende possesso della storia, quanto al disegno di Dio sulla storia.
Poi c’è la seconda espressione: “nel seno di Maria Vergine… verrà nella gloria”. Questa opera dello Spirito Santo accade esattamente come accadono le nascite, dunque nel grembo di una donna, che però è madre e vergine, quindi non esattamente come avvengono le nascite; e qui, proprio in questa frase, c’è uno dei temi chiave; dal punto di vista di Dio, Dio ha in sé perfetta espressività, ma nel momento in cui questo entra nella storia, si crea il grande paradosso: Gesù è vero Dio e vero Uomo, sua madre è come tutte, Vergine però.
Si crea il fatto che Dio introduce nella storia un’impossibilità, introduce nel mondo delle creature un creatore, si spacca qualcosa. Quello che qui si dice è che il cristianesimo non è una generica filantropia in cui alla fine si fanno contenti tutti; è una frattura instauratrice sì, creativa, ma una rottura; il cristianesimo è un IMPOSSIBILE NECESSITA’ e chi ci racconta qualcosa di diverso sta parlando di un’altra cosa. Essere cristiani è IMPOSSIBILE ed è NECESSARIO, è assolutamente una condizione di impossibile necessità.
Tutta la retorica sull’esilio, sul deserto, sul pellegrinaggio, sull’essere stranieri, dice che comunque tu non sei mai al posto tuo; che il cristianesimo non è un’esperienza di ordine e non solo in senso politico, non è un riordinamento dell’esistenza, è un “disordinamento” perché introduce nella forma dell’ordinarietà qualcosa che non torna, essendo a misura di Dio e non della creazione. Un cristianesimo che torna è pericolosissimo perché è falso.
Qui si gioca un essere credenti nell’accettazione che alla mia origine profonda non c’è una quiete, ma un movimento, non c’è un ordine, ma un disordine, non c’è una pacificazione, ma un’impossibilità, non c’è una pienezza, ma un’eccedenza. C’è un paradosso, una frattura con innumerevoli conseguenze concrete.
* Domanda: dal momento in cui avviene questa linea di frattura in poi, l’uomo inizia a contare gli anni, ad usare parole nuove, una cultura nuova, un nuovo modo di relazione ma quello che faceva prima, seguita a farlo dopo. C’è un paradosso: la potenza, la vitalità di questo messaggio a fronte del nulla pratico che ha suscitato nell’uomo.
Certo, Gesù viene partorito come tutti i bambini di questo mondo, ma da una madre-vergine; apparentemente succede come per tutte le nascite eppure c’è un’eccedenza rispetto a questa normalità. Apparentemente non è cambiato niente, l’uomo è capace di essere tanto bestia quando 2000 anni fa. Tanto non è cambiato niente, tanto paradossalmente sono cambiate parecchie cose. Il cristianesimo non è nè fallito nè riuscito: paradossalmente non è cambiato niente, ma non è più come prima.
Questo non è il fallimento del cristianesimo perché in fondo non è cambiato niente, o il suo successo, come dice Messori, perché 12 pescatori ignoranti hanno fatto un gran baccano; nessuno di questi due dati, preso da solo, significa qualcosa. E’ la convivenza di questi due dati a dire che il cristianesimo è esattamente quello che è: un assoluto paradosso. Il problema è che questi due dati vanno presi insieme e che in questo sta una lettura credente rispetto a quella sia atea, sia apologetica che piglia uno solo dei due dati.
L’essenza del cristianesimo è esattamente in questa impossibile necessità, nel suo essere assolutamente irrilevante per la storia degli uomini, per la loro creaturalità e, contemporaneamente, assolutamente innovativo e indispensabile e quindi nel continuare a dare messaggi da un certo punto di vista assolutamente contraddittorie. Tanto mostra che in fondo questo mondo non è stato salvato (la risurrezione è stata inutile), tanto mostra che non è affatto vero (della risurrezione si continua a parlare, molte cose sono successe nel suo nome) ed è questa la cosa più convincente del cristianesimo perché è la sottrazione ad ogni unilateralità.
Sarebbe intollerabile qualcosa che per risolvere un problema azzera uno dei componenti perché vede solo una delle due cose possibili. Noi siamo sempre almeno due cose possibili, e una struttura che si pensa come originariamente doppia, di doppi pensieri, è profondamente vera.
* Il simmetrico di “nel seno di Maria vergine” è “di nuovo verrà nella gloria”, cioè colui che nella normalità ha segnato una frattura, (Madre – Vergine), di nuovo verrà nella gloria. Questo paradosso non è all’infinito, non è il ciclo degli eterni ritorni, ci sarà un punto in cui i conti torneranno, ci sarà ad un certo punto una linea e si farà una somma, in cui il paradosso troverà il suo luogo.
Allora si introduce “per noi e per la nostra salvezza, per giudicare i vivi e i morti”. Ci sarà un punto in cui la storia compirà la sua maturità e il paradosso si scioglierà. Proprio per noi: questa paradossalità ha come scopo noi, di restituire noi a noi stessi, per restituirci la nostra immagine e somiglianza da una parte e dall’altra parte il ribaltamento, l’oggettivo della storia per giudicare i vivi e i morti.
Noi sappiamo bene che differenza passa nella nostra esistenza tra essere vivi e morti, non solo biologicamente, essere gente che è vitale rispetto alla propria stessa vita e gente che non lo è; ognuno ha una serie di criteri per giudicare di sé e degli altri, ma intuitivamente sappiamo che esiste una differenza. Quello di cui si dice è che indipendentemente da come ciascuno di noi avrà giocato la propria vita, non ci sarà un posto abbastanza basso per stare fuori dal giudizio, saranno giudicati i vivi e i morti, cioè il paradosso sarà sciolto per quanto uno abbia abbassato il tiro.
Se noi abbiamo vissuto una capacità di rimanere al livello della nostra felicità possibile, dunque saremo stati abbastanza felici e contenti nella nostra vita, pur faticosamente, o se noi saremo stati molto al di sotto della nostra felicità possibile, ribassando il livello del dolore, della fatica, comunque il paradosso ci riguarderà e ci sarà chiesto conto dovunque noi siamo o vivi o morti, ci sarà chiesto conto del proprio “noi” che abbiamo cercato. Se io di me ho presunto così poco da essere morto, mi sarà dato così poco, sarò ricondotto a quel me stesso. Il paradosso è che ti sarà risposto nella totalità del tuo desiderio. La grande ironia di Dio nel giudizio finale sarà che compirà i nostri desideri e ci pentiremo amaramente di aver desiderato troppo poco.
* Il fondo della discesa e della risalita è “il suo Regno non avrà fine”. Questo attraversa questo asse storico.
Questo vale già anche per questa vita?
Come per i peccati non si tratta di ragionare sui peccati attuali e proiettarli indietro sul peccato originale, così qui è lo stesso modo: non è che noi ragioniamo sulla nostra vita e la proiettiamo su Dio. Secondo la rivelazione cristiana funziona al contrario, cioè, poiché vale per la vita eterna, vale anche per questa vita, non viceversa. Che poi nella nostra esperienza biografica noi abbiamo prima l’esperienza della nostra vita e da questa, caso mai, deduciamo; quello che però il Credo dice è la nostra origine ontologica sta dall’altra parte poiché Dio ha disegnato il mondo così, anche nella vita succede così.
Le interpretazioni orientali hanno invece un andamento circolare di andata e ritorno. Questo non è la metà di un andamento circolare, è molto diverso. La questione qualificante è l’asse storico centrale. In tutte le religioni orientali, al di là del cerchio, dell’incontrarsi o no all’infinito, la questione è che non c’è mai tangenza con l’asse storico perché la storia è un’illusione; essendo un eterno ritorno, l’asse storico non ha rilevanza. Qui invece l’asse storico è importante, segna la frattura, è il luogo di distinzione.
* Domanda: se uno guarda questa simmetria, la vede stupenda, però si parte da delle cose per cui poi si deduce che tutto torna; si mette la frattura al centro e poi non la si banalizza perché si dice che la realtà rispetto alla realtà di Dio è naturalmente sfasata, quindi c’è un qualcosa in più o in meno, c’è un paradosso. Ma è una cosa che si autoreferenzia e non tiene conto che se uno vive qualche momento prima, aveva evidentemente, rispetto al suo rapporto con le Scrittura, un atteggiamento che non può essere equiparato a quello di chi vive immediatamente dopo.
Parlando dal punto di vista “interno” non è vero. Quando si dice che Gesù è compimento delle promesse, atteso dai profeti o che la Pasqua cristiana è la rilettura dell’Esodo e c’è tutto il parallelo di Gesù che nella Pasqua ebraica inserisce la sua morte e risurrezione, si dice una cosa fondamentale: la storia rispetto a Dio sta come un cerchio, Dio al centro, la storia attorno. IL raggio è sempre uguale e noi siamo equidistanti dall’Evento perché l’evento di Dio è fuori dalla storia.
Da questo punto di vista la frattura storicamente inserita sta in una successione per cui è storicamente preparata. E’ chiarissima la parabola dei vignaioli, è esattamente l’interpretazione cristiana della storia. Chi sta un attimo prima dell’evidenza storica di questa frattura, ha comunque l’esperienza di un Dio storicamente liberatore. Per questo il cristianesimo ha un rapporto privilegiato con l’Ebraismo, non solo perché Gesù era ebreo, ma perché l’ebraismo è il depositario dell’esperienza di un Dio storico che costruisce questa pienezza dei tempi. Noi non possiamo dire che non siamo fortunati come i discepoli che hanno visto Gesù in carne ed ossa e vi avevano direttamente accesso. Il problema non è questo, perché la frattura che Dio inserisce nella storia la inserisce dalla creazione in poi, con modalità diverse, da quando si crea il tempo e per questo si insiste tanto sulla preesistenza del Figlio: Gesù esiste dall’eternità in quanto Figlio e dalla creazione in quanto Messia.
Però, la creazione è un cambiamento nel pensiero di Dio?
Se non c’è il tempo non c’è cambiamento. Il problema è come quando uno cerca, in stazione di capire qual è il treno che si muove. Se non c’è un sistema di riferimento, bisogna guardare qualcosa di fermo, per capire quale dei treni si muove. Noi siamo esattamente nella stessa condizione, siamo dentro la storia, dentro il tempo e non abbiamo un riferimento esterno alla storia per muovere su questo ragionamento.