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Il giovane ricco

Lectio su Luca 18,18-23

Gruppo del venerdì
Marzo – Aprile – Maggio 1995

* Versione meno conosciuta, più asciutta, con meno preoccupazioni legate all’A.T., alla giustificazione con il mondo ebraico, più vicina a noi.

C’è un dialogo breve: due domande del giovane, due risposte di Gesù, una decisione.

La prima domanda del giovane è praticamente la nostra: che cosa devo fare per ottenere la vita eterna? E’ preceduta dal vocativo, “Maestro buono”. E’ un linguaggio tipico dell’Evangelo, molto poco comune rispetto al mondo ebraico; è molto improbabile che questo ricco abbia detto davvero così. Questo ricco avrà detto: “Rabbi”, che era il modo comune di rivolgersi ai sapienti del tempo, ma certo non buono. Luca già inquadra la domanda comune in un contesto di cristianesimo, scriveva a dei cristiani. Gesù risponde: “Perché mi dici buono, nessuno è buono se non uno solo, Dio”.

Apparentemente non risponde, bacchetta il giovane e sottolinea cosa vuol dire essere gente per bene; non c’è problema. Se la domanda è questa, è sbagliata.

* E’ esattamente come noi: non ha fatto cose grosse.
Il nostro problema: la nostra lettura normale è che se uno vende tutto quello che ha e lo dà ai poveri, si fa dei meriti. Mettiamo la povertà come l’undicesimo comandamento, in sequenza. Ma con “udito ciò” c’è un salto di qualità, una rottura; c’è un primo livello e poi un secondo e la povertà è la porta di questo secondo livello (non c’è “fa un po’ di elemosina”, perché fare elemosina fa parte dell’A.T.): “vendi tutto quello che hai, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi” che sono due gruppi di azioni diverse. Detto in linguaggio moderno, si dice di abbandonare tutte le possibilità di colmare il proprio desiderio da sè stessi, togliersi tutti gli strumenti possibili che facciano pensare che siamo noi a realizzare il nostro desiderio; poi “vieni e seguimi”. Allora qui il riferimento per Luca è chiarissimo ed è alle beatitudini: la povertà come porta d’ingresso alle azioni del Regno in cui le azioni del Regno sono le azioni che i discepoli compiono (allora gli afflitti sono consolati perché ci sono dei discepoli che, essendo poveri, trovano la loro felicità nel consolare chi è afflitto). Quello che Gesù qui dice è: “Entra in questa porta delle beatitudini, comincia a far parte dei poveri, così puoi venire e seguirmi”.

* Nella traduzione esistenziale questa è una dichiarazione d’amore: tra me e la tua carriera se vuoi me devi rinunciare alla tua carriera. E quello se ne andò triste, seriamente e onestamente triste. Quando uno deve rischiare su di sè, sulla propria vita per un amore, in genere fatica un sacco e non è mai del tutto sicuro di aver avuto una gran buona idea. Questa è la struttura del testo.

* Perché propongo questo testo come riflessione sul tema del peccato? Perché inizia con questo “Maestro buono”, cioè la domanda del giovane viene messa da Luca in un contesto etico. Gesù dice che il contesto etico attiene a Dio, solo uno è buono, Dio. Dio ha una parola sulla bontà, noi no. Noi abbiamo una parola sulla povertà, non sulla bontà, cioè sul nostro desiderio e sulla presunzione di avere la possibilità di realizzarlo con le nostre ricchezze, con ciò che abbiamo di noi, della nostra vita, delle nostre capacità, dei nostri sentimenti, non solo delle cose.

Ma questo non è un tema etico, il peccato non è un tema etico. In campo etico il discorso è chiarissimo, aveva ragione Lutero: Dio è giusto, noi siamo ingiusti. Dio ha una parola possibile, un giudizio sulla giustizia e sull’ingiustizia, noi no, non abbiamo questo giudizio, non attiene a noi, non è nostra competenza.

* Noi abbiamo solo una parola possibile sulla nostra eventuale povertà e giustamente Luca fa la corrispondenza fra “Maestro buono” e “vita eterna”. A cosa serve una vita eterna, a cosa serve avere ancora tempo, per essere sempre più buoni? Noiosissimo. Se la vita eterna serve ad un percorso di perfezione è una noia mortale; non fare altro che diventare perfetti per tutta l’eternità!

Ma se solo Dio è buono, una vita serve per vivere insieme, per andare e seguirlo, avere tempo abbastanza per rischiare su questo amore. Il testo successivo che in genere non si legge, continua: “Quando Gesù lo vide andare via disse: Quanto è difficile per coloro che possiedono la ricchezza entrare nel Regno di Dio; è più facile che un cammello … Allora chi potrà essere salvato? Ciò che è impossibile agli uomini è possibile a Dio”.

La conclusione reale di questo testo è che la salvezza non sta nelle scelte, non si salva chi eroicamente rimane, mentre chi come il ricco se ne va è triste. La punizione del giovane ricco è essere triste, non è non essere salvato, perché Dio può salvare chi vuole e ciò che è impossibile agli uomini, è di avere coraggio abbastanza per stare in un amore, è possibile a Dio. Il giovane ricco può essere salvato ma intanto è triste, sta al di sotto della sua felicità possibile. Il problema non è “chi può essere salvato?”, ma “quanto ci vuole prima di essere salvati?”. Questo sta a noi, questo è il tema del peccato che non riguarda la salvezza, perché ciò che è impossibile agli uomini è possibile a Dio. E a tutti gli uomini è impossibile salvarsi, ma Dio può salvare e salva. La salvezza non è nelle nostre mani; noi siamo responsabili della nostra vita e della felicità che viviamo. La salvezza è avere ancora tempo e non dipende da noi quanto tempo abbiamo e avremo: tempo della nostra vita e anche dell’eternità che non ci appartiene.

* “C’è ancora tempo” vuol dire che ciò che è impossibile agli uomini è possibile a Dio che ha mandato suo Figlio per salvarci. (cfr Nicodemo): Dio non ha mandato suo Figlio per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui, abbia tutto il tempo necessario.

Questa è la buona notizia, l’Evangelo.

Il problema sono i nostri giorni, la nostra vita, le nostre opere, non quanto tempo avremo, non la salvezza; non ci dobbiamo preoccupare perché si è già preoccupato Gesù che è morto per la salvezza.