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Autore: atriodeigentili

“Molti altri segni fece Gesù”: seminario estivo 2006

“Molti altri segni fece Gesù…” (Gv 20,30)

Segni dell’Evangelo, da riconoscere e da mostrare

Pra d’ Mill (Bagnolo P.te),
presso il Monastero “Dominus Tecum”,
da venerdì 7 luglio a domenica 9 luglio 2006

Il tema del seminario viene sviluppato a partire da quattro lectio di altrettanti brani del vangelo di Giovanni, alternate alla riflessione personale e alla discussione in gruppo e in assemblea. Obiettivo dei momenti di confronto in gruppo/assemblea è, a partire dall’ascolto della Parola, chiederci, sia in termini di analisi dello stato dei fatti, che di prospettive/desideri, quali segni possiamo riconoscere e dobbiamo mostrare, a vari livelli: interiore/invisibile – esterno/visibile; personale – sociale; noi come chiesa – chiesa come istituzione.

 Scansione oraria

(tenendo conto degli orari della preghiera monastica)

Brano 1          Gv 2,1-12: il segno della festa
Brano 2          Gv 11,1-44: il segno della vita
Brano 3          Gv 19,12-42: il segno della croce
Brano 4          Gv 20,19 – 21,14: il segno della risurrezione

Venerdì 7 luglio

09,30 – 11,30introduzione al Vangelo di Giovanni e al percorso “sotto il regime dei segni”; brano 1
14,30 – 15,15brano 2
15,30 – 17,00 primo spazio di confronto a gruppo

Sabato 8 luglio

09,30 – 10,15brano 3
10,30 – 11,30secondo spazio di confronto a gruppo
15,30 – 17,00terzo spazio di confronto a gruppo

Domenica 9 luglio

08,45 – 10,00brano 4
15,30 – 17,00confronto in assemblea e conclusioni

Fede con Arte 2006

Carissimi soci ed amici,

da alcuni anni l’associazione culturale “L’Atrio dei Gentili” promuove, in piena sintonia con le proprie finalità, iniziative di carattere artistico-culturale. Dal 2000 questi appuntamenti sono confluiti nel “contenitore” denominato «Fede con Arte», una serie di eventi organizzati insieme alla Diocesi che si svolgono nel mese di maggio e trovano la loro collocazione nella chiesa della SS. Trinità (Battuti Rossi) e in altri spazi, a Fossano. “Fede con arte” si pone l’obiettivo di offrire agli spettatori serate di alto profilo culturale in compagnia di espressioni artistiche come musica, fotografia, pittura, danza. Come potete leggere nel depliant allegato, tre sono le serate di questo maggio 2006, tutte ad ingresso libero.

In particolare, vi segnalo i due appuntamenti realizzati dall’Atrio dei Gentili in collaborazione con il fotografo braidese Roberto Tibaldi. Domenica 14 maggio (ore 21,30) proporremo lo spettacolo “La bellezza salverà il mondo – Il Fregio Beethoven di Gustav Klimt”. La multivisione, già presentata nella rassegna del 2001, è stata riscritta in vista dell’esecuzione dal vivo di alcune parti della celebre sinfonia n. 9 di Beethoven, nella versione per pianoforte, e dell’ “Inno alla gioia”, grazie all’Accademia Corale Città di Saluzzo. Sabato 27 maggio (ore 21,30) riproporremo“A Immagine e Somiglianza – Marc Chagall: una pittura di carne e ali”, che lo scorso anno ha riscosso un notevole successo. Se le condizioni atmosferiche saranno favorevoli, questa multivisione – dedicata all’affascinante mondo del pittore Chagall e ai suoi famosi quadri ospitati al Musée du Message Biblique di Nizza – verrà presentata all’aperto, nel cortile del vecchio seminario a Fossano.

A nome di tutto il Consiglio Direttivo porgo cordiali saluti.

IL PRESIDENTE
(Carlo Barolo)

1. La bellezza salverà il mondo

2. Missa Trust in Jesus

3. A immagine e somiglianza

La metà oscura: fare i conti con il negativo della vita e della storia

Casa natale di don Alberione
San Lorenzo di Fossano, 12 marzo 2006

Vogliamo provare a riflettere sul fatto che le nostre vite personali così come la storia fanno i conti con una perenne “metà oscura” che prende molte forme: dolore, male provocato da noi o da noi subito, frustrazione del desiderio, separazione, limite…. Come rapportarci con dignità e libertà a questa esperienza? Come capire le varie forme in cui si presenta? Come includere questa esperienza in una vita credente?

Programma

  • ore  9,00     Ritrovo presso la Casa natale di don Alberione
  • ore  9,15     Recita delle lodi, presiedute da don Pierangelo Chiaramello
  • ore  9,30     Relazioni di Duilio Albarello e Manuela Terribile
  • ore 10,45    Pausa
  • ore 11,15    Riflessione a gruppi o individuale; segue dibattito in assemblea
  • ore 12,30    Pranzo (verranno offerti un piatto di pasta e le bevande)
  • ore 14,45    Prosegue la riflessione in assemblea
  • ore 16,00    Lectio conclusiva (a cura di Stella Morra)
  • ore 16,30    Termine dei lavori

Relatori

  • Don Duilio Albarello, docente di Teologia Fondamentale presso lo Studio Teologico Interdiocesano e l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Fossano.
  • Prof.ssa Manuela Terribile, ecclesiologa, insegnante di religione nella scuola superiore.

Materiali

  • Relazioni di don Duilio Albarello e Manuela Terribile (PDF)

Quali Chiese per cristiani adulti?

Organizzato da:

  • Associazione Culturale “L’Atrio dei Gentili”
  • Studio Teologico Interdiocesano
  • Istituto Superiore di Scienze Religiose
  • Consiglio Pastorale della Diocesi di Fossano

Seminario interdiocesano
Fossano, 20-21 febbraio 2006

Presentazione

L’associazione culturale “L’Atrio dei Gentili”, ormai da alcuni anni, si sta interrogando sulla Chiesa in generale (o su aspetti che la caratterizzano o comunque ad essa legati). La riflessione interna si è espressa attraverso incontri e seminari offerti a tutti e ha trovato un suo primo momento di sintesi nel panel-tavola rotonda svoltasi nel dicembre scorso presso l’Editrice Esperienze, a Fossano, sul tema “La Chiesa, nostra madre e sorella”. Ora l’associazione, in collaborazione con lo Studio Teologico interdiocesano, l’Istituto Superiore di Scienze Religiose e il Consiglio Pastorale diocesano, propone sul tema un nuovo appuntamento che si terrà a Fossano il 20 e 21 febbraio. Ospite di questa due giorni sarà il teologo tedesco Elmar Salmann, monaco benedettino e professore di filosofia e dogmatica presso il Pontificio Istituto “Sant’Anselmo” e l’Università Gregoriana di Roma.

Due saranno gli incontri, entrambi presso i locali del Seminario Interdiocesano a Fossano: lunedì 20 febbraio, ore 21, Salmann svilupperà il tema: “Quali chiese per cristiani adulti?”. Questo primo incontro è aperto a tutti, in particolare a quanti lavorano a diverso titolo e con compiti diversi nelle parrocchie, negli organismi pastorali, nei gruppi, movimenti e associazioni, a quanti frequentano l’Issr. Il medesimo tema verrà ripreso nella mattinata di martedì 21 febbraio (dalle 9 alle 10,30) in un incontro con i professori e gli studenti dello Studio Teologico Interdiocesano, aperto anche ai sacerdoti e a persone interessate.

Il prof. Elmar Salmann, nato nel 1948 ad Hagen, in Germania, ha studiato lettere e filosofia a Paderborn, Vienna e Munster. Entra nell’Abbazia benedettina di Gerleve. Dal 1981 è docente di filosofia e teologia presso le Università romane “S.Anselmo” e “Gregoriana”. Al suo attivo numerose pubblicazioni sulla teoria della mistica, su sant’Anselmo e san Tommaso, ma soprattutto sul rapporto tra evo moderno e cristianesimo. Si occupa di poesia e teologia, ebraismo e fede cristiana, modernità e cristianesimo.

Registrazioni degli interventi del prof. Elmar Salmann

Intervento del 20 febbraio 2006 – Incontro aperto a tutti
Intervento del 21 febbraio 2006 – Incontro per professori e studenti dello S.T.I.

Trascrizione della relazione del prof. Elmar Salmann (20/02/2006)

Introduzione: cosa ci è successo in questi ultimi cinquant’anni

È arduo, quasi impossibile dare corpo linguistico, esprimere, spiegare il passaggio tra due epoche. Ancora più impossibile comprendere l’epoca nella quale ci tocca vivere perché non abbiamo una vedetta, una specola per poter fare una supervisione nei confronti di noi stessi e del nostro tempo.

“Un cambiamento di clima, di atmosfera, di stile, di gestualità – come scrive Luigi Pintor, famoso giornalista del Manifesto, nel suo libro “Servabo” –. Lungo un quarto di secolo era mutato il rumore delle strade, il linguaggio delle persone, il valore delle cose, l’umore dei giovani, il passo delle donne. Non solo nei grandi continenti ma nella stanza accanto, tra le pareti di casa. Era cambiato tutto, meno la cosa che decide di ogni altra, l’inimicizia come spirito del mondo”. Un altro passaggio da questo libricino: “Non cesserò di pensare che i mondi sono due (ovviamente lui è comunista e ci tiene… stranamente, ma c’è anche questo, ndr), ma imparerò che la linea divisoria non è segnata su nessun atlante e passa fin dentro il cuore dell’uomo. Stare da una parte diventerà più complicato ma più necessario”. E ancora: “In verità la ruota della storia gira benissimo all’indietro o su se stessa come una trottola. Ne concluderò che le tenaci passioni, i nobili ideali, le generose intenzioni, le fatiche e gli errori sono una favola folle? No di certo. Sono in ogni tempo il sale della terra. Così è stato anche in questi decenni. Ma basta una pioggia a lavare la terra e il sale si scioglie in acqua”.

Cosa ci è successo in questi ultimi cinquant’anni? Da quando questo seminario è stato costruito? Mi pare siano stati decenni che nessun’anima possa comprendere, smaltire e trasformare in sapienza. Ci è successo troppo. Mi ricordo benissimo degli anni cinquanta il “piccolo mondo antico” cattolico, la società democristiana, poi il Concilio nel bene e nel male, il sessantotto che ha derealizzato le conquiste del Concilio per certi versi o le ha esasperate o enfatizzate… chi lo sa? Non ci è dato avere una giudizio sulla storia. Poi gli anni novanta, in Italia “mani pulite”, in Germania la riunificazione… e adesso?

Cosa è successo? Cosa ha attraversato la storia della nostra anima, della nostra sensibilità, del nostro essere femmina o maschio, prete o laico, politico da De Gasperi a Berlusconi… è un progresso? Chi lo sa?

Sicuramente siamo, almeno fittiziamente, passati da una Chiesa gerarchica, maschile, sacrale, maggioritaria, centrata sull’amministrazione degli strumenti di grazia ad una Chiesa – almeno in Europa, non ancora del tutto in Italia (il card. Ruini ci crede ancora) – minoritaria, esposta, fraterna, comunitaria, o sgangherata, che ha perso la bussola? Chissà…

Come uccelli in tempo di muta

Alcuni sintomi o piste o prospettive. Quasi nessuno, tranne il mio connazionale che è papa, parla ancora di verità, quasi nessuno predica più sull’escatologia, su colpa e redenzione, sui temi abissali, torvi e grandiosi del Cristianesimo. Al limite proponiamo un discorso di possibile senso di vita, di apertura, di solidarietà, di comunità, di ricerca. Cosa è successo?

Dietro, forse, c’è un cambiamento paradigmatico, viscerale e dimensionale di cui non riusciamo ancora a capire la portata.

Penso che abbiamo perso lo smalto, lo charme e l’inesorabilità del mondo platonico che ha accompagnato e sorretto il Cristianesimo da Origene, cioè dal II secolo fino a H. U. Von Balthasar, a Paolo VI e in fondo ancora è l’olio lubrificante del parlare del papa attuale. Quando lui parla di verità, di simbologia, lì tutto ancora risente di questo platonismo, dunque di un primato chiaro della verità dell’essere sul parlare, dell’alto sul basso, del cielo sulla terra, della ragione sui sentimenti, della sostanzialità sulla relatività, della volontà sulle emozioni e sugli affetti. Dunque una gerarchia chiara che ha determinato il pathos del cattolicesimo per 1600-1700 anni.

Nella nostra sensibilità tutto questo si è rovesciato: adesso il corpo, il benessere ha il sopravvento sull’anima, il temporale sull’eterno, le emozioni e gli affetti sui ragione e volontà, il senso e la comunicazione e la mobilità sulla stabilità della verità, e così via… Straordinario, liberante! Ma non abbiamo ancora una forma religiosa per un Cristianesimo senza platonismo. Per questo siamo come uccelli in tempo di muta.

Abbiamo lasciato il paradigma aristotelico; nessuno parla più dell’essere, di sostanza e transustanziazione, di principio e causa, di virtù, di temperanza, di medietas, della via media e della sua sapienza… nooo, vogliamo essere estremisti! Avere sentimenti estremi, fare esperienze… un altro cosmo. Il seminario è ancora costruito da caserma per funzionari del sacro con dentro i ragazzini di oggi: come può funzionare? Abbiamo lasciato il sistema romano-costantiniano, la chiesa di potere… almeno esteriormente abbiamo parzialmente lasciato, non abbiamo ancora rinunciato che è un’altra cosa. Dunque la vicinanza tra stato, società e chiesa. Una chiesa che fa parte dell’ingranaggio della società, dell’ordine, dell’amministrazione di pietas et virtus. Tutto questo si è frantumato. In Italia abbiamo ancora qualche rimasuglio, qualche zattera alla quale si aggrappa ancora qualche cardinale, qualche prete… ma sono frantumi che dopo il crollo della DC è ormai obsoleto. In Spagna non parliamo.

Ancora più interiormente si è sfaldato il pathos paolino-agostiniano della religione, del dogma cristiano. Il teodramma, il nesso fra peccato, redenzione per la croce, grazia, assoluzione che ha fornito la griglia, la gestualità sacramentale e la morale alla chiesa, fatalmente legato ad una pathos della morte e della sessualità. Per questo il “punctum sextum” in questa macchina infernale, in questa camera oscura del confessionale era la cosa più importante. Questo sistema è crollato del tutto, nel bene e nel male. Nessuno parla più i questi termini se non qualche cappuccino invecchiato. Mi ricordo ancora dei predicatori cappuccini degli anni cinquanta che facevano cadere foglie secche dai pulpiti (c’erano pulpiti, non questi ambonini, per la messa in scena)… un mondo del tutto tramontato, quasi ridicolo. E oggi? Abbiamo qualche ragazza che maltratta la chitarra, un prete che fa una piccola meditazione se mai, una omelia che ripete maldestramente i testi recitati normalmente in tono insopportabile. Dunque dai predicatori cappuccini a questa performance un po’ goffa alla quale assistiamo oggi che si chiama banchetto fraterno… un’altra bugia semantica, perché non c’è né banchetto né fraternità. Il Post Concilio ha partorito una sequenza immensa di bugie semantiche. Una parrocchia, per esempio, non è mai una comunità, non è possibile, quattromila persone non fanno una comunità, è una parrocchia. Ha ragione di esistere ancora? In Germania noi ormai dissolviamo le parrocchie. Ma di questo parlerò nella seconda parte.

Ecco, vedete, dietro c’è un po’ tutto questo, è imponente. Allo sfondo platonico, aristotelico, romano, agostiniano, paolino… (per questo anche i Luterani sono in grande crisi, perché il luteranesimo si fondavo sull’agostinismo forte) è subentrato il mondo ebraico secolarizzato, che vede tutto dal basso, dall’ottica della vittima, che non crede più in un centro della storia, in una redenzione, in una totalità. Anzi, denuncia ogni totalità come fascista, come germe della logica del campo di concentramento. Fenomenologicamente ancora più da vicino potremo concretizzare il cambiamento, la trasformazione che stiamo per vivere, subire, gestire, in questi termini. Prima il vecchio testamento garantiva ed enfatizzava l’ordine reale, sacrale, sacerdotale,  il tempio, il Messia, Sion, Gerusalemme, il culto… Adesso il vecchio testamento viene ricordato per l’esodo, forse anche per il profetismo esposto, per uno sguardo dal basso da parte delle vittime, degli sconfitti… Un cambiamento straordinario, fino a trent’anni tutta la storiografia verteva sui vincitori che avevano sempre ragione; nella chiesa, nella storia del dogma gli eretici erano massa dannata che non contavano. Adesso tutti, in modo quasi spudorato, guardano la storia dall’ottica delle vittime e, ahimé, ognuno si sente vittima di un sistema, della chiesa, della società, ecc. c’è quasi una gara non sacra nel ritenersi vittima.

Ecco siamo passati in tutto questo da un Gesù Signore, divino, al fratello che ci accompagna sul cammino; da una religiosità giuridica ad una religiosità privata, personale che scivola ormai verso un panteismo buddista sferico; da un Dio giudice ad un Dio personale che oggi si fa più sfocato, nebbioso, cosmico, atmosferico; da un sistema autoreferenziale ad un’idea xenologica, aperta cioè per l’estraneo, l’alieno che si vede da fuori. Per la prima volta nei documenti del Vaticano II la chiesa si vede da fuori con gli occhi delle altre religioni, degli Ebrei, del mondo, dei segni dei tempi… Ovviamente ci vogliono centro anni per smaltire una tale rivoluzione con tutti gli andirivieni. L’anima è molto lenta nello smaltire e nel digerire, non è un velocista, ma un fondista. Anche l’anima della Chiesa. E questo non è un rimprovero, ma è così, forse anche grazie a Dio è così. Per questo la nostra anima ha tante stratificazioni geologiche, con i terremoti che ci vogliono ovviamente.

Da una chiesa europea a una chiesa mondiale; da un sistema moraleggiante, molto spesso proibitivo, a una concezione promovente dell’uomo; da un sistema di rappresentazione simbolica a una semiologia aperta, plurale almeno a volte nel linguaggio e negli intenti, ancora non nella realtà, è ovvio. E così potrei ancora continuare a lungo…

Forse merita ancora attenzione almeno un altro fatto. Per la prima volta da quarant’anni viviamo in una società del benessere, del superfluo il cui problema è lo smaltimento dei rifiuti, non il mondo di procacciarsi i beni necessari sotto la condizione della mancanza e del bisogno. La religione fin dagli esordi è legata ad una società della mancanza, della contingenza e ovviamente è difficile sviluppare una religione per una società che sta bene, anzi che affonda per certi versi nel superfluo. Tutto questo si è affastellato, costellato, sedimentato e da lì deriva anche il carattere cangiante del nostro tempo. I testi del Vaticano II hanno cercato di dare un’incastonatura primordiale, quasi profetica, a questo cambiamento. Ma sono testi descrittivi, teologicamente belli a volte anche compromessi storicamente, che non hanno uno statuto, che non incidono sulla prassi giuridica, istituzionale, spicciola, della chiesa. E’ già difficile dargli uno statuto, definirne il genere letterario. Poi ovviamente nel Concilio la chiesa ha adottato con 150-200 anni di ritardo molte istanze dell’Illuminismo e nel momento di questa ratifica è stato superato dal movimento postmoderno del sessantotto, con la rivoluzione dei costumi, del ruolo della donna, delle mode, dei linguaggi…

E’ stato un doppio salto mortale.

Una chance per il Cristianesimo in cinque… “spuntini”

Come interpretare tutto questo in chiave di una chance del Cristianesimo? Io da quarant’anni cerco con tanti tentennamenti, tergiversazioni, svolte, di accompagnare i tempi con il minimo risentimento possibile, perché il risentimento è la soluzione più facile ma anche la più micidiale.

Alcune piste di una fede adulta, non più infantile come Freud e Nietzsche avevano insinuato pensando al Cristianesimo (il Cristianesimo come fissazione infantile ad un Dio iperpaterno o di una falsa identificazione con la sofferenza, la proibizione, il super io…).

Vi offro cinque “spuntini”, cinque sfiziosità.

1. La storia della povertà: cura dimagrante per il Cristianesimo

Finora abbiamo sempre parlato di patrimonio, del tesoro della grazia, della potenza del clero, della potestas, abbiamo amato molto la messa in scena dell’inalberarsi, dell’impettirsi, i papi su troni immensi con corone, tutt’ora i vescovi portano questo strano cappello (non ci sono più monaci ma questo cappello è rimasto)… strano tutto questo, c’è qualcosa di surreale.

La povertà. Mi pare che la storia della povertà nel Cristianesimo vada di pari passo con la scoperta della sua essenza mistica e della sua fisionomia che si lascia anche individuare da fuori fenomenologicamente. San Benedetto lo lascio in disparte perché non vorrei parlare “pro domo”. Iniziamo con San Francesco, l’uomo nudo, esposto davanti al Dio nudo ed esposto, nel mistero del presepio della nascita e della morte. Straordinario! Da lì nasce uno spirito di sprezzatura, di spigliatezza, di gioia  della creazione, di elementarietà. Un Cristianesimo elementare. Nel maestro Eckhart e nella mistica domenicana tedesca questa povertà diventa nudità dell’anima, spogliarsi da ogni immagine, da ogni mediazione, da ogni fissazione dogmatica, da ogni piglio di dominio affinché il Verbo divino possa nascere nella mia interiorità; nasce la coscienza credente potremmo dire. Non casualmente il maestro Eckhart va tanto di moda oggi, ovviamente la moda corrompe anche il fenomeno, ma…

Lutero e san Giovanni della Croce, i Carmelitani: lì persino la fede perde le sue penne arrabbiate, i suoi orpelli. E’ la fede nuda. Una cura di dimagrimento straordinaria: solus Christus, sola Grazia, sola Scrittura, sola fede. La fede stessa diventa elementare, non ha più un sostegno, un piglio. Non è casuale che Guardini, 500 anni dopo, nel suo libro “La fine dell’era moderna” torni ad una tale concezione di una fede aspra e disadorna, senza poter ancora vantarsi di se stessa. I Gesuiti lasciano il coro, il chiostro, le belle abbazie; il chiostro ed il coro vanno dentro la volontà, dunque vengono interiorizzati nell’atteggiamento dell’indifferenza (lasciarsi mandare dove uno non vuole andare, magari in India). E finalmente la spiritualità francese: dal seicento fino a Charles de Foucauld e ai preti operai e a tante comunità di base recenti, dove tutto verte sulla adorazione del Dio esposto, sulla condivisione della presenza di Dio nell’anonimato, in ambienti non ecclesiali, in modo quasi non riconoscibile; rendersi anonimi con la presenza del Verbo divino che non è stato riconosciuto quando è apparso su questa terra. E non è casuale che i grandi teologi del XX secolo K. Rahner e Von Balthasar parlino della anonimità di Dio. Dio non è più riconoscibile, non si dimostra più in miracoli; forse oggi si dimostra in eventi, nelle messe in scena del papa defunto, mah… Ma anche lì non si contraddistingue, quasi sparisce in un entusiasmo che si brucia anche facilmente; difficile giudicarlo, anzi, non ci spetta un giudizio, su niente. In tutto questo emerge l’essenza del Cristianesimo sulla quale tornerò brevemente alla fine.

Storia della povertà: a volte penso che oggi ci tocca vivere l’essenza di questa somma, ma siamo ancora lontani da riconoscerlo.

2. Una fenomenologia profetica, capace di salutare i vari fenomeni

Tutto questo, abbiamo visto, è vicino a ciò che si chiama mistica. Che non è una cosa esotica, esoterica o avere sentimenti misti nella pancia o essere turbati di mente. No. Significa non poter definirsi senza il rapporto a Dio, come nel matrimonio non posso e non voglio d’ora in poi definirmi senza il legame all’altro, senza il noi con l’altro, anche quando l’altro non c’è. Senza però ingoiare Dio, senza voler possederlo, conquistarlo, anzi più sono preso da questo rapporto, da una tale presenza qualificante, più sento anche la sua estraneità, la lontananza. Lo viviamo nei rapporti interpersonali: più una persona mi è vicina più sentiamo anche quanto è diversa; più nasce e più rinasce anche la mia solitudine. E questa mistica potrebbe promuovere una presenza profetica, di sprezzatura, spigliata, descrivente nei confronti della società.

Chi ha attraversato questo cammino descrittivo della povertà, della mistica (almeno intuendola) è libero nel descrivere le cose che si svolgono tra di noi, può salutare i progressi della medicina in tutti i campi, ma descrivere anche per ogni cosa umana gli effetti collaterali. Da quando la vita umana si prolunga abbiamo le case di riposo piene di dementi, sopravviviamo a noi stessi; interveniamo sui feti e sugli embrioni in modo salvifico spesso, mah… e il peso di decidere? Si è persa molta paura con la pillola, l’emancipazione delle donne, un altro rapporto alla sessualità, la diagnosi prenatale… raramente però sento un prete parlare di queste cose, prevale sempre un atteggiamento di sospetto.

Tutto ciò va salutato, ma poi ne va descritto il punto critico quando il fenomeno si ritorce su se stesso. E non c’è fenomeno che non abbia un punto critico.

Anche essere troppo devoti, farsi baciapile, perché poi i devoti fanno gli scherzi da prete e si crea un sottobosco. E quando si percepisce alla radio quel tono untuoso… subito uno pensa, ah… è un prete! E’ inimitabile… persino mons. Ravasi – l’ho sentito domenica in una trasmissione di RaiTre con Cesare Romiti – ha questa flessione untuosa e melliflua, davvero insopportabile per il mio gusto; spero di non averlo, ma naturalmente anch’io ne sono inficiato. E poi sempre un po’ sibilante e insinuante… stranissimo. Venendo da una cultura protestante, da teatro, lo percepisco immediatamente.

Ogni cosa, la medicina, il progresso, ovviamente anche la nostra perplessità nei confronti della nascita e della morte, la salute, ecc: chi sarebbe all’altezza di descrivere, accompagnare, far respirare, salutare tutti questi fenomeni se non di per sé una istanza ecclesiale con una sapienza e una tradizione alle spalle che non ha riscontro? I meccanismi della politically correctness, della nostra tolleranza che non è per nulla tollerante quando gli altri sono davvero altri, per es. gli islamici. Lì diversi dogmi della politically correctness multiculturale si mordono. Io descrivo soltanto.

E quale religiosità potrà reggere ad una religione elementare e rituale come l’Islam? Reggere, né cedere, né scusarsi, né dialogare nel senso floscio della parola. E poi come si fa dialogare con l’Islam? Singole persone possono se mai dialogare e già questo raramente succede. Dialogo, un’altra parola abusata dopo il Concilio. Come resistere, cosa proporre, come configurarsi cristianamente? Nei confronti di una religiosità sostanziosa, forte, intransigente, imponente? Noi da 50 anni non abbiamo una cosa del genere; ora propagandiamo i diritti dell’uomo che fino a 50 anni fa abbiamo condannato… anche un minimo di memoria storica farebbe bene per relativizzare il nostro pseudoilluminismo. Non è che l’Occidente sia soltanto ciò che noi riteniamo oggi lo standard. Ci sono tante cose da scoprire.

Ecco, è questo che chiamo fenomenologia profetica.

3. L’istituzione, oltre la parrocchia: una cura d’anime della benedizione

Alcuni esempi. In Germania pensiamo in alcune diocesi a sopprimere e trasformare le parrocchie. Nel capoluogo della provincia dove c’è il mio convento chiudiamo quest’anno 5 delle otto chiese; nella diocesi di Essen abbiamo ridotto le parrocchie da 280 a 40. Le trasformiano in centri cattolici di aggregazione perché le chiese non sono più finanziabili… in fondo la chiesa impara soltanto attraverso il linguaggio della finanza! La conversione avviene mediante questo, ahinoi! Io potrei immaginare, non è l’unica ricetta certo, che nelle grandi città o in molti distretti o regioni abbiamo alcuni centri dove collaborano comunità di base, laici, preti; potrei anche benissimo immaginare un laico come capo di un tale centro e i preti come figure spirituali, con un’offerta qualificata, culturale, mistagogica, sociale e psicologica, dove il Cristianesimo si propone senza la pretesa di voler avere tutti in Chiesa. Adesso incassiamo autogol: la domenica, dopo la prima comunione di 50 ragazzi, forse 4 sono ancora in chiesa! Quale parroco può sopravvivere a lungo a una tale serie di sconfitte? Peggio ancora con la cresima, meglio non parlarne. Dunque una tale pastorale, almeno da noi, sta per crollare, dobbiamo sviluppare un altro principio di presenza, del resto la parrocchia non è mica stata fondata da Gesù! Forse ci vuole un’altra concezione più attraente, più sciolta, più qualificata anche. Ovviamente da lì nasce anche un altro tipo di collaborazione tra preti e laici. Oggi essere preti è una cosa altrettanto friabile che non essere sposati, ormai abbiamo una quota di 35-38% di divorzi, la stessa quota del fallimento di preti. Ovviamente ci vuole anche un altro tipo di associazione, di sostegno fra celibi, sposati, diverse forme di comunità di base. Non è la salvezza, per carità… è un’ottica.

Finora abbiamo o parrocchia o niente, o uno si fa prete o non ha nessun ruolo, o si sposa in chiesa o non c’è niente, o viene battezzato o non c’è niente. Io mi batto per una cura d’anime della benedizione, del sacramentale: abbiamo le benedizioni delle case, perché non aggiungervi, dopo un tempo di distacco, di accompagnamento – come noi facciamo in una parte della Germania – una benedizione delle coppie di fatto in casa, con l’ammissione ai sacramenti ovviamente? Non è possibile che una percentuale così grande sia aprioristicamente esclusa! E’ un autogol per la chiesa e poi siamo assenti sui fronti decisivi. Molti bambini non sono battezzabili perché manca del tutto il contesto; ma anche lì ci vuole un rito che possa dare un’incastonatura alla vita. Nella diocesi di Erfurt, come in quasi tutte le diocesi della Germania orientale, si sono creati diverse forme di questa benedizione in modo ancora più ardito. La diocesi di Erfurt, che ha un territorio grande quasi come il Lazio, con 160mila cattolici su una popolazione di 2 milioni 600 mila di cui quasi 80% sono non battezzati. Queste sono le nostre realtà. Il vescovo e il nuovo vescovo ausiliare in questi 20 anni hanno inventato nuovi riti, per esempio, una cresima per non battezzati in chiesa, cioè una benedizione per adolescenti sulla soglia della vita adulta, con tre mesi di istruzione-introduzione cauta nel paesaggio del cristianesimo e una istruzione elementare di etica e un aiuto a trovare uno stile di vita. Ogni primo venerdì del mese celebrano una memoria dei morti, un rito al quale partecipano i non credenti. La logica è offrire qualcosa a quanti non hanno niente. Nel giorno di san Valentino hanno una benedizione di tutti gli innamorati, delle coppie di fatto.

O prete o laico, o parrocchia o vita religiosa o niente… ma quali altri tipi di sequela qualificata, cioè con una fisionomia propria, potrebbero configurarsi? Secondo me dovremmo incoraggiare tante iniziative, come le comunità di base, ecc. Lo stesso vale per la sinodalità. Sono stato invitato a parlare da due sinodi della chiesa protestante della chiesa nord elbica di Amburgo (con due milioni di protestanti e una vescovessa): per costituzione due terzi del sinodo devono essere laici… ovviamente lì c’è un altro clima, non dobbiamo mica imitarlo, ma fa pensare.

Voglio farvi intravedere cosa ci aspetta… vorrei stuzzicare soltanto l’appetito della curiosità, dell’inventività senza imporre un nuovo dogma; perché io sono un benedettino tardoborghese, dunque sto nella mia tana.

4. Ecumenismo: rispettarsi e ospitarsi (anche sacramentalmente)

Preghiamo permanentemente per l’unità delle chiese ma facciamo di tutto perché non avvenga. Io vorrei rovesciare il laboratorio: per me va benissimo che ci siano diverse chiese che non si lasciano né unire né frammischiare; i Protestanti sono un’altra “razza”, per non parlare delle chiese orientali… la chiesa russa e bulgara con un buon cattolico romano non centra per niente! E l’Europa spaccata tra le chiese statali d’Oriente, dove stato e religione fanno ancora sintesi? Ciò che noi abbiamo sviluppato come differenziazione da mille anni con tanta fatica lì non è ancora nemmeno avviata… Non si può mescolare Kandinskij, Klee e Mondrian… Ma rispettandosi, ospitandosi anche sacramentalmente quando c’è l’occasione, c’è il momento kairologico, pastorale. Se da questa ospitalità, da questa correzione fraterna, da questo arricchimento reciproco nascerà qualcosa come unità, chi sono io per oppormi allo Spirito Santo? Ma prima lasciamo vivere le differenze, anche in modo sofferto.

L’Islam è una religiosità imponente, un po’ come eravamo noi cattolici fino alla fine degli anni cinquanta: andare in chiesa tre volte, il bisbiglio del confessionale, digiuno, pellegrinaggio… Adesso queste cose le abbiamo di nuovo, sotto forma di cose importate. Quale tipo di religiosità sviluppare? Su quali differenze insistere? Come reagire politicamente e soprattutto anche interiormente? Noi oscilliamo tra tolleranza post moderna, disprezzo, terrore, intolleranza. Quale la nostra attitudine? Mi pare ci sia molto da scoprire ed esplorare.

5. L’essenza del Cristianesimo

In fondo abbiamo sempre vissuto con un monoteismo: un Dio, un papa, un parroco, un maschio; un Dio osservatore romano potremmo dire, che guarda e osserva e sbircia, mentre il Dio cristiano non è questo. Trinità significa che in Dio vi sono prospettive diverse, istanze diverse, incommensurabilmente differenti. In Dio stesso c’è differenza, dialogo, dialettica, polarità, ci sono prospettive che non hanno uguaglianza. Questo Dio si è fatto uomo, gesto, presenza, sguardo, tocco, passione… E il Verbo divino quando si fa carne non si è fatto Magistero né professore di dogmatica (con mia grande vergogna…), ma artigiano, predicatore, scellerato, vulnerabile; ha raccontato parabole attraverso le quali ha mostrato un cammino di trasformazione dalla fissazione a una apertura, dalla logica della proibizione e contrazione a una logica della trasformazione verso una maggior presenza divina. Strano gesto quello Gesù, come ha raccontato, toccato, parlato.

Mi pare l’essenza del cristianesimo andrebbe riscoperta in questo senso: il Dio trinitario, dialogico, multiprospettico; il gesto di Gesù e l’intimità della grazia, una bellissima parola italiana. Essa dice contemporaneamente tutta l’eleganza femminile, l’avvenenza, la graziosità, e ancora riconoscenza, cioè riconoscersi riconosciuti, dono e promessa… tutto questo si trova in questa parola intraducibile.

Trinità, Gesù, grazia: un ritmo da riconiugare e da rideclinare.

Chiudo con una citazione di D. Bonhoeffer, tratta dalla conclusione del suo prologo (“Dieci anni dopo – Un bilancio sul limitare del 1943”) di “Resistenza e Resa” dal titolo “lo sguardo dal basso”, scritto dalla prigione di Tegel (Berlino) dove era rinchiuso:

“Resta un’esperienza di eccezionale valore l’aver imparato infine a guardare i grandi eventi della storia universale dal basso, dalla prospettiva degli esclusi, dei sospetti, degli impotenti ed oppressi, in una parola dei sofferenti. Se in questi tempi l’amarezza e l’astio non ci hanno corroso il cuore; se dunque vediamo con occhi nuovi le grandi e le piccole cose, la felicità e l’infelicità, la forza e la debolezza; e se la nostra capacità di vedere la grandezza, l’umanità, il diritto e la misericordia è diventata più chiara, più libera, più incorruttibile; se, anzi, la sofferenza personale è diventata una buona chiave, un principio fecondo nel rendere il mondo accessibile attraverso la contemplazione e l’azione: tutto questo è una fortuna personale. Tutto sta nel non far diventare questa prospettiva dal basso un prender partito per gli eterni insoddisfatti, ma nel rispondere alle esigenze della vita in tutte le sue dimensioni; e nell’accettarla nella prospettiva di una soddisfazione più alta, il cui fondamento sta veramente al di là del basso e dell’alto”.

Così vi congedo, almeno per questa prima parte.

Alcuni spunti dal dibattito

Domande

  1. Perché la Chiesa ha sempre bisogno di una “necessità”, di una spinta esterna per cambiare e riformarsi?
  2. Sull’essenza del Cristianesimo: perché oggi i grandi teologi non insistono maggiormente su questa essenzialità, il Cristo nudo e crudo?
  3. Sulla povertà, stimolati da D.M. Turoldo “Tempo è di ritornare poveri”: ci può indicare qualche pista profetica per il mondo oggi nel vivere questa povertà?
  4. Sulle parrocchie: centri attraenti, sciolti, qualificati, capaci di ospitare la vita della gente senza chiedere nulla in cambio (neppure la fede)… potrebbe essere una pista per riformare le nostre parrocchie?
  5. In che modo le pratiche credenti rientrano nel quadro che lei ha dipinto?

 

Risposte

a) Rinunciare signorilmente, prevedere profeticamente

L’uomo è fatto così, sembra che impari soltanto sotto la pressione della necessità. Molte cose che ho detto stasera anch’io le ho imparate sotto il peso della esperienza della vita. Sono stato giovane prete responsabile per la riduzione allo stato laicale di preti in cinque grandi diocesi; ovviamente lì ho imparato moltissimo, fino ai limiti della propria sopportabilità. Sono stato per dieci anni cappellano in un manicomio specializzato nella cura di sacerdoti… Si imparano cose sul valore dell’uomo, sullo spessore delle persone e vale anche per il matrimonio, il rapporto con i figli… In tedesco chiamiamo questo la “svolta dell’emergenza”.

Ma lei ha anche un po’ ragione. Anch’io soffro tanto per le molte lentezze e intransigenze inutili della Chiesa. Per es. in Germania abbiamo ancora tantissime facoltà teologiche ma non ci sono studenti! Dovremmo proporre allo Stato che finanzia tutto questo di chiudere almeno due terzi delle facoltà. No, continuiamo ad insistere su un diritto che non ha più ragione di essere, finché un giorno lo Stato deciderà lui. Oppure pensiamo all’Italia, ai molti tentativi di voler ancora determinare la politica, influenzare non so chi mediante i vari Casini e Casoni e Fisichella… Noo, è un balletto inaccettabile! Ci vuole un po’ di chiarezza, di distacco anche per la stima della propria e altrui istituzione. Rinunciare signorilmente, prevedere profeticamente… Anche questo mi rattrista: che la Chiesa non rinunci mai volontariamente ad alcunché: per una religione della croce è grave…

b) Rabdomanti di tracce del Dio passato

L’essenza del Cristianesimo è ancora una bella traccia. Forse Dio non è più presente in modo sfarzoso, imponente, potente… viviamo oggi un’epoca ammaestrati da questo mistero elementare a diventare rabdomanti di tracce del Dio passato. Ci sono tante tracce della presenza, spessore, lucidità, amabilità della vita. Mi sembra questa anche una bella e incoraggiante immagine dell’atteggiamento ecclesiale e pastorale.

San Tommaso, Nicolò Cusano, Agostino, Metilde di Magdeburgo, santa Teresa D’Avila, la piccola Teresina, Schleiermacher, Goethe, ecc… tutti costoro e tanti altri io li chiamo “amici”. Chiedo ai miei studenti di leggere le loro opere per un mese o due per entrare in dimestichezza, affiatarsi, respirare questi grandi autori, conoscere le loro biografie. Ho cercato di trasformare il peso della complicatezza della tradizione in un rapporto amichevole con alcune figure: santi, letterati, poeti, teologi, filosofi… Per me che ho scelto il celibato, del resto, è fondamentale popolare la solitudine. Mi pare sia un bel modello di tradizione viva, anche riconoscendo ovviamente l’ambivalenza che ogni grande figura porta con sé (“Ogni grande figura getta tre, quattro, cinque ombre”, Amos Oz).

c) Un compito profetico per la Chiesa

Come vivere la povertà? Mi pare sarebbe già molto accogliere la cura di dimagrimento che stiamo per vivere… e non è facile. Nel mio convento siamo passati negli ultimi trent’anni da 80 a 50 monaci, stiamo diventando un convento di vecchietti, una nicchia riscaldata di gente che si è arrangiata. Subire questa morte lenta, farlo senza troppi risentimenti non è una cosa facile… c’è tutta un’ascesi mistica da investire.

Il mio lavoro di descrizione, sospeso tra malinconia, umorismo, realismo, profetismo, ricerca di piste per il futuro, è anche una forma di povertà, di reggere alla poliedricità della realtà. E tutto questo con un pizzico di speranza, di senso dell’avventura.

La nostra povertà non è più solo quella materiale: questa arriverà anche perché, demograficamente e politicamente, non siamo più finanziabili! Nelle mie prediche preparo chi mi ascolta e anche la mia anima a nuove forme di ridimensionamento del nostro stato sociale e del nostro stile di vita.

Un compito profetico della Chiesa sarebbe proprio questo: descrivere tutto questo, senza allarmismi e disfattismi, senza autocompiacimenti (ah… se la gente è più povera va di più in chiesa), assistere in modo incoraggiante ai processi di trasformazione della nostra società.

d) Un cristianesimo forte e umile, non debole

Questi centri, di cui parlavo nel punto 3, non sono in concorrenza con le parrocchie. Penso però che in molte città e regioni della Germania tali centri potrebbero e dovrebbero sostituire nei prossimi vent’anni il sistema parrocchiale. Dunque un cristianesimo che non si basa più sulla partecipazione e coappartenenza coatta, ma sull’adesione volontaria, adulta (in molte parrocchie abbiamo già più battesimi di adulti che non di bambini). Ovviamente tutto questo per l’Italia è ancora oltre l’orizzonte.

Io non propago niente, ma descrivo uno scenario che ci attende in Europa (Svizzera, Olanda, Francia, ormai anche in Spagna; in quest’ultimo paese si è passati in trent’anni da una chiesa statale franchista ad una chiesa del tutto minoritaria). E mi auspicherei anche ad intra un altro effetto dell’organizzazione, del sentirsi chiesa.

Molte delle cose che ho detto stasera non corrispondono al mio gusto personale e al mio stile di vita: in fondo io rimango un benedettino classico che ama le liturgie in latino… Non è dunque che abbia un programma di salvezza che mi piaccia. Però io vedo queste cose, assisto all’emergere e cerco di dar loro un corpo linguistico e gestuale. Cerco di cogliere queste cose dai segni dei tempi e di accettarle dal Dio che ci accompagna.

E se il mondo continua a trasformarsi ad una tale velocità e sotto così tanti aspetti come è accaduto negli ultimi 40 anni, allora ci aspetta ancora parecchio, ne vedremo di tutti i colori!

Cerco di essere coraggioso e di reggere a queste prospettive con fantasia e con umiltà. Ho cercato di proporre un cristianesimo forte e umile, ma non debole. Non è facile, cerco di affiatarmi a questo, a volte anche contro di me.

e) Sciolti e colti per accogliere le persone in modo libero e liberante

Ho toccato en passant l’argomento delle pratiche credenti quando ho parlato dell’Islam come religione elementare e rituale che ci costringe a fare i conti con la nostra dimenticanza di queste cose. L’uomo è gesto, è devozione, è preghiera. Al momento la nostra chiesa a livello quotidiano e parrocchiale non offre granché: la cinghia di preghiera tra tradizione e quotidianità si è parzialmente rotta e abbiamo perso tantissime forme di devozione e preghiera. Io penso – e lo pratico anche – che ci vorrà tanta fantasia del possibile riallacciandosi alla Tradizione, alle diverse tradizioni e cercando nuove forme. Per es. oggi le messe hanno tutte la stessa forma… Io penso che un terzo Concilio Vaticano dovrà ridefinire diverse forme di liturgia eucaristica. Una liturgia veramente comunicativa, dove si spezza il pane attorno ad un tavolo, come io faccio con le comunità di base; una liturgia davvero festiva, adorativa; una liturgia essenziale per i giorni feriali (la “missa sicca” della tradizione) dove si può anche pregare e non sempre vedere e sentire la voce a volte stridula (amplificata dal microfono) del prete. Lo stesso vale per il terreno immenso fra adorazione e meditazione: in giro abbiamo tantissimi circoli di meditazione zen, yoga, ecc. ma nella nostra chiesa di tutto questo praticamente non si trova niente.

Oppure pensiamo ai funerali e alle tante bugie semantiche che si dicono nelle liturgie funebri nei confronti di persone che magari da 40 anni non hanno più messo piede in una chiesa. Io per es. in molti funerali uso gli schemi della parrocchia universitaria di Amsterdam che contengono preghiere straordinarie tra meditazione e invocazione creaturale… “preghiere a tentoni”, con uno stile invitante che apre uno spiraglio, che aiuta religiosamente a dare una forma alla vita. Lo stesso per il battesimo…

Dunque ci aspetta una bella rivisitazione della nostra tradizione, una bella avventura. Occorre promuovere questa prassi dove quotidianità, esperienza di vita, il nostro agnosticismo misticheggiante e forme classiche della chiesa si incontrano, si salutano ed si elevano.

La domanda mi ha dato l’opportunità di parlare di questo laboratorio che è molto importante nella mia vita. Cerco di coniugare il massimo della tradizione, che studio e amo, con il massimo della scioltezza. Sciolti e colti per accogliere molte persone in modo libero e liberante: questo mi pare sarebbe il motto di una pastorale incisiva e invitante.

Fossano, 20 febbraio 2006
(testo non rivisto dal relatore)

Panel: “La Chiesa, nostra madre e sorella”

Organizzato da:

  • Associazione Culturale “L’Atrio dei Gentili”
  • Studio Teologico Interdiocesano
  • Consiglio Pastorale della Diocesi di Fossano

Editrice Esperienze – Fossano
Domenica 4 dicembre 2005 ore 15:30 – 18

Presentazione del panel di esperti

Lo scorso anno fece parecchio discutere in Italia, dentro e fuori la comunità ecclesiale, un libro dal titolo “Chiesa madre, chiesa matrigna – Un discorso storico sul cristianesimo che cambia”. Nel volume lo storico Alberto Melloni, con coraggio e profondità di intuito, cercava di leggere ciò che agita il vasto e complesso mondo cristiano e la chiesa cattolica in questo tempo, tra le decisioni prese e mancate al Vaticano II e i cambiamenti (oltre le crisi o i trionfi) che ne stanno ridisegnando la fisionomia.

Seguendo le orme di questo fortunato libro, l’associazione culturale l’Atrio dei Gentili, in collaborazione con lo Studio Teologico Interdiocesano e il Consiglio Pastorale della diocesi di Fossano, ha organizzato per domenica 4 dicembre, dalle 15,30 alle 18 circa, presso la sede dell’Editrice Esperienze a Fossano (in via San Michele 81), un “panel”, cioè una specie di tavola rotonda dove sei persone esperte discuteranno e si confronteranno sul tema “La Chiesa, nostra madre e sorella”. Si tratta di uomini  e donne, sacerdoti e laici, che vivono esperienze varie e hanno competenze diverse all’interno della Chiesa.

Interverranno il prof. Ermis Segatti, responsabile dell’Ufficio Cultura della diocesi di Torino,  esperto di nuove religioni, Chiesa e paesi dell’est; il prof. Gianluca Zurra, docente di ecclesiologia allo Sti e Issr di Fossano; Eliana Brizio, educatrice professionale e animatrice di catechesi degli adulti; Andrea Morezzi, già Segretario nazionale Fuci e Meic Torino; Paolo Baggia, già Presidente dell’Atrio dei Gentili; prof. Paolo Romeo, insegnante di religione al Liceo Scientifico di Cuneo. A moderare il confronto sarà don Corrado Avagnina, direttore de La Fedeltà e dell’Unione Monregalese. Ognuno degli “esperti” illustrerà, in un breve intervento, quelli che ritiene i nodi problematici ma anche le chanches positive della Chiesa odierna, a partire dal livello locale ma con uno sguardo universale, e proverà a tracciare un’agenda delle cose da fare. Dopo un break, i sei relatori interloquiranno tra di loro, riprendendo e sviluppando i nodi emersi durante la prima parte.

All’inizio dell’incontro ci sarà spazio anche per un breve ricordo di don Mario Picco, a 15 anni dalla sua morte.

Il “panel” è aperto a tutti; ovviamente sono caldamente invitati a partecipare quanti fanno parte del Consiglio Pastorale diocesano, i responsabili dei vari settori della pastorale in diocesi, nelle unità pastorali e nelle parrocchie, sacerdoti, catechisti, animatori, il vasto mondo delle associazioni ecclesiali.

Registrazione

Trascrizione degli interventi

Il metodo: si tratta di una discussione tra esperti (6-7 persone) che prima esprimono in modo sintetico la loro posizione su due/tre domande precise in un tempo breve (10’ a testa); poi discutono tra loro, tentando di giungere il più possibile ad un incremento di posizione comune. Il pubblico assiste, ma senza intervenire. Se possibile, gli esperti indicano testi di riferimento.

Le domande che vorremmo proporci in questa occasione sono le seguenti:

–     Avendo come riferimento di orizzonte LG e GS, quali sono le più significative aree problematiche dell’attuale situazione della Chiesa, italiana e/o locale? A quale livello si pongono (di necessità, di chiarimento teologico, di applicazione pratica, di elaborazione di struttura e di principi giuridici…)?

–    Quali priorità e opzioni ci sembrerebbero da fare, a partire da questa analisi e nell’ambito di una chiesa locale? Quali attenzioni vanno attuate per maturare e costruire queste opzioni come scelte comuni?

Sintesi

Don Ermis Segatti (responsabile Ufficio cultura della Diocesi di Torino, esperto di nuove religioni, Chiesa e paesi dell’Est, religioni orientali)

(Citazione da Domenico Savonarola)

  1. Premessa. Nei confronti della Chiesa come nei confronti di altre situazioni conviene una sana messianicità; la Chiesa non finisce in questo tempo, la sua escatologia sta nella possibilità di arrivare al fondo del messaggio rivolto a lei in qualunque tempo. Non bisogna pensare che sia finita o al massimo del suo trionfo, un middle range dell’escatologia non sta male nei confronti della Chiesa.
  2. Alcune note:
    •  l’arcigno volto del Magistero (come qualcuno ha detto di recente in un libro)? Oggi però non è più attraverso il potere che si esercita influenza, che “si comanda”, tanto più alzando la voce. Anzi, l’illusione di poterlo fare porta solo a grandi insuccessi. Invece si può avere un altro atteggiamento: la forza della Chiesa sta nella capacità di convincere e di raggiungere i fedeli.
    • L’illusione ottica in cui si può cadere tra lo sfolgorante carisma di Giovanni Paolo II e il dolorante sottobosco della Pastorale. Questo vale per l’Italia e i paesi latini, ma non direi per altre aree del globo. Farei attenzione quindi a tratteggiare un volto di Chiesa pensando solo alla nostra realtà più prossima. In Europa c’è una partita aperta con la laicità e con la presa di distanza dalla Chiesa. Ma in altre parti del mondo questi problemi non sono così rivelanti, dalla Chiesa ci si attende altri riferimenti, ad es. una parola dopo tanta repressione ( Birmania, Vietnam, Cina). Quindi bisogna fare attenzione a non proiettare sul mondo le allergie che abbiamo noi qui in Europa; al tempo stesso occorre prendere seriamente in mano la questione della laicità (che prima o poi diventerà rilevante anche in altre parti del mondo).
    • Uno dei lasciti passivi di Giovanni Paolo II è stato quello di rendere muto l’episcopato italiano (De Rita, Repubblica). E’ una situazione che si spera venga superata nei prossimi decenni dai vescovi, con l’aiuto dei teologi, dei laici che fino ad ora non hanno avuto grande voce nonostante la teologia dopo Vaticano II.
  3. Punti da risolvere delicati in questo pontificato:
    •  ruolo di egemonia, sotto il primato del Papa, di alcuni movimenti come portatori di un cristianesimo più autentico. C’è chi sostiene che addirittura in loro vi sia il futuro della Chiesa. No! Chi pensa così sbaglia ed è completamente fuori tempo.
    • I protestanti hanno la bibbia-mania, mentre nel sud Europa si parla più di Chiesa ed episcopato che non di Gesù Cristo, ci si scontra più nell’anticamera che nel ‘Sancta Sanctorum’ della fede. Bisogna fare attenzione al rischio di parlare solo di cose periferiche.
    • Vescovi conformisti? Io stesso l’ho affermato dicendo della sudditanza a GPII. Bisogna riconoscere però che i nostri vescovi, facendo un’operazione tipicamente levantina, si sono occupati del sottobosco, sviluppando una così detta ‘Pastorale del sottobosco’ che ha permesso in Italia di non perdere (come invece è avvenuto in Francia) il contatto tra la Chiesa e la gente.
    • Ci aspetta un compito molto grande nel futuro: dobbiamo prepararci a parlare di Gesù Cristo. Nel confronto con le religioni e le culture del mondo ci dovremo chiedere, dopo esserci confrontati bene all’interno, in quale Dio crediamo.

Paolo Romeo (insegnante di religione al Liceo Scientifico di Cuneo)

Aree problematiche:

  • Auto comprensione della Chiesa in termini eccessivamente giuridici.
  • Eccesso di moralismo e di dottrinalismo.
  • Centralismo del potere romano.
  • Eccessiva caratterizzazione del primato petrino.
  • Rischio di ipertrofia della Chiesa con una comunità di credenti che passa il tempo ad organizzare la propria organizzazione.
  • Mancanza di una reale sinodalità.
  • Mancanza di parresia, di senso critico, di voci fuori dal coro, di pluralismo. Manca una cultura del conflitto.
  • Sui contenuti la Chiesa mi pare sollecita a dare indicazioni concrete sul piano della morale della vita individuale ma mi pare trattenuta a esprimersi altrettanto chiaramente e in modo forte sul piano sociale, per esempio sul primato  assoluto del mercato e del consumismo che mina alla radice il cristianesimo.
  • Rischio di rinuncia della profezia.

Priorità e opzioni:

  • Ascoltare le domande degli uomini d’oggi e non solo dare delle risposte già confezionate. Lasciare che di fronte a queste domande profonde il Vangelo ci riduca tutti al silenzio.
  • Riscoprire che “Dio non è il dogma che ci tiene in Chiesa, ma la relazione che ci tiene in vita” (Sequeri).
  • Partire dalle esperienze umane promettenti.
  • Chiesa come luogo di estrema libertà.
  • Chiesa povera, famiglie sobrie, comunità religiose più severe, tempo adeguato ala preghiera, rifiuto di compromessi.
  • Chiesa che accetti il suo ruolo di minoranza, per avvicinarsi al dialogo interreligioso.

Don Gianluca Zurra (docente di ecclesiologia allo Sti e Issr di Fossano)

Riprenderei il senso dell’immagine Chiesa Madre e Chiesa Sorella che mi sembra molto indicativa di questo tempo.

Madre: in rapporto con il fondamento, non esiste in relazione a sé ma all’evento di Cristo che la rende possibile. È la gratuita e radicale testimonianza perché a Gesù Cristo si creda. Genera alla fede, ad una fede adulta, che si prende in mano la propria vita e cammina sulle sue gambe.

Sorella: è difficile dirlo a volte, soprattutto di fronte a certe posizioni. Nessuna idea di Chiesa che si identifica con la sua posizione giuridico istituzionale come appare dai mass media.

Provocazioni alla luce di queste immagini:

·        Decisiva è la riconduzione della Chiesa al suo carattere e alla sua ragion d’essere originariamente testimoniale, lasciando che tutto il suo agire, anche il momento istituzionale, anche il ministero, esibisca e confessi senza remore la sua differenza rispetto a Gesù, e insieme ad una rendere testimonianza in un modo assolutamente gratuito.

·        Ne conseguono due indicazioni forti:

–          Revisione del concetto di appartenenza alla Chiesa: c’è da domandarsi se sia legittimo ancora parlare di appartenenza alla Chiesa in senso stretto. Bensì non dovrebbe esserci altro criterio se non l’interesse e la passione condivisa per l’Evangelo, prima della distinzione di compiti e di ministeri, prima della questione delle corresponsabilità nella Chiesa. Altrimenti si corre il rischio di continuare a pensare il cristiano come colui che è impegnato in parrocchia, cristiano nella sua forma ecclesiastica più che nella sua forma umana, che vive di Gesù Cristo là dov’è, anche nel dubbio, nelle incomprensioni. Questo vuol dire attivare il cosiddetto allargamento dello spazio ecclesiale: intercettare l’ambito assolutamente consistente della ricerca e della quotidianità della vita di fede che mai sfocerebbe in un impegno ecclesiale, intercettare coloro che stanno “sulla soglia”.

–          Diverso atteggiamento nel dialogo ecumenico e interreligioso.

·        La questione della località della Chiesa: parrocchia, chiesa tra le case. Bisognerebbe ritornare al dettato di Vaticano II “Non esiste Chiesa se non a partire e dentro le chiese particolari”.

Andrea Morezzi (già Segretario Nazionale FUCI e MEIC Torino)

Chiesa madre e sorella di chi? La Chiesa ha il compito di dire agli uomini che DIO LI AMA, E BASTA! Lo fa? Se proviamo a vedere quanti vengono avvicinati dalla Chiesa all’amore di Dio e invece quanti ne vengono allontanati… il bilancio mi sembra un po’ in perdita.

Di questo dovremo tutti rendere conto.

Cosa il Concilio Vaticano II ha portato come novità al riguardo?

La rilevazione procede nella storia attraverso mediazioni, nessuno è padrone della verità assoluta, siamo depositari di una verità che ci trascende, che non comprendiamo.

I laici devono insegnate ai vescovi quello che i vescovi non sanno.

I laici sono posti al confine tra Chiesa e mondo, operano nel mondo attraverso gli strumenti nel mondo ricchi di quella fede trasmessa dalla tradizione e con in mano uno strumento formidabile, la scrittura: laici fate teologia!

Questo significa che i laici hanno uno spazio di autonomia, di libertà responsabile. Dunque, per es., la morale non può essere più pensata per precetti, ma per principi, quindi si deve cambiare il modo di fare pastorale e di fare magistero.

Una conseguenza ancora: non posso distinguere il mondo tra buoni e cattivi se tutti sono portatori di verità. La Chiesa sta perdendo il contatto con il suo popolo, non gli parla più. Perché vige un meccanismo di esclusione, la gente si sente esclusa.

Paolo Baggia (informatico, già presidente Atrio dei Gentili)

La storia della Chiesa è tortuosa, lunga nel tempo, larga nello spazio. Si adatta nei secoli a culture diverse, con gioie e dolori inferti e subiti (vedi martirologio romano).

L’Atrio dei Gentili è un tentativo di offrire uno spazio comune di discussione sui problemi della vita. Un luogo in cui le persone possono esser se stesse, con i loro problemi reali, con la possibilità di mettere in comune le domande fondamentali. Ho vissuto per anni riunioni in associazioni di volontariato e nelle varie realtà della Chiesa locale: il linguaggio utilizzato era impersonale, non metteva in comune la vita di ciascuno, quanto piuttosto delle prassi.

Ancora sul linguaggio: poiché i linguaggi cambiano abbiamo provato come associazione a individuare linguaggi più attuali capaci di dire altre cose (vedi l’esperienza di Fede con Arte).

Il tema della formazione è fondamentale, ma va pensato non tanto nella forma cattedratica, quanto nella forma di dialogo e di condivisione delle domande comuni.

Eliana Brizio (educatrice professionale, animatrice catechesi per adulti)

Mi fa sorridere come il rapporto tra donne e uomini in un luogo dove si discute sia così a sfavore delle donne. Le domande delle donne sull’esperienza ecclesiale… questo sì mi sembra un tema importante da affrontare!

Parlo portando anche l’esperienza del mio lavoro con la gente in difficoltà, con stranieri, con bambini con disturbi di comportamento.

Avvicinandomi al tema come credente, ma ancor prima come donna del mio tempo, ho provato a raccogliere le suggestioni che questi due termini fanno emergere in me.

I tanti volti dell’essere madre

La maternità si manifesta fin dal suo inizio come “capacità”, come attitudine cioè, e disponibilità a contenere, a portare dentro per custodire e alimentare una nuova vita fino al momento di “darla alla luce”, stupefacente meraviglia che viene da dentro ma anche da un altrove misterioso da cui proviene la nostra stessa vita. Maternità evoca il nutrimento, la protezione, la cura, la dedizione, il dono di sé, la premura verso i più piccoli e fragili ma ancor più potentemente la capacità di accompagnamento del figlio all’acquisizione del linguaggio che lo inserisce nella famiglia umana e lo rende via via più autonomo, e l’iniziazione paziente e continua al senso della vita, all’amore, al perdono, alla lotta, alla gratitudine attraverso l’esempio e le parole che introducono alla dimensione profonda di ogni cosa. Mi è sembrato interessante notare come, pur ricordando tutti questi aspetti, i figli percepiscano in modo diverso il ruolo materno nei diversi momenti della loro vita: è normale, quindi, ma non troppo tollerato, che vi siano, in riferimento alla Chiesa-madre, posizioni e atteggiamenti tanto diversi, anche all’interno della stessa comunità dei credenti. Quanto è diverso, infatti, l’atteggiamento di un bambino piccolo che in tutto dipende dalla mamma da quello di distacco e spesso di rottura di un adolescente che cerca la propria identità e libertà in contrasto con i genitori; quanto diverso l’atteggiamento di una figlia che diventa madre a sua volta e comprende tanti insegnamenti ritenuti in precedenza poco significativi da quello di un figlio che vede il declino fisico, emotivo e mentale della propria madre nella vecchiaia! Ogni credente si trova a fare i conti con il mutare della propria percezione della Chiesa anche a partire dal momento della vita che sta attraversando. La Chiesa, che come una madre cresce e cambia con i propri figli pur restando se stessa, in che modo vive oggi queste dimensioni del suo essere? E come lo manifesta ai suoi figli e ai contemporanei?

Mi sembra di poter dire che per molti aspetti la Chiesa continui a nutrire i suoi figli, ad accoglierli e accompagnarli come meglio può durante il loro percorso vitale. Di fronte alla sfida del mondo contemporaneo, però, nel quale si confrontano e a volte scontrano visioni del mondo e della vita tanto diverse tra le diverse culture e religioni, di fronte allo smarrimento delle coscienze, penso che la Chiesa non riesca a manifestare in pieno la propria dimensione materna. Mi riferisco soprattutto alla fatica di trovare un linguaggio e uno stile di vita capace di iniziare gli uomini e le donne al senso profondo del vivere che è Cristo. Spesso i contemporanei lamentano una scarsa attenzione della Chiesa alle reali condizioni di vita delle persone, una fatica a comprendere le difficoltà di chi vive sempre più come minoranza la fede cristiana; un linguaggio difficile da comprendere, che spesso allontana invece che avvicinare le persone ad un cammino di fede attraverso la dimensione comunitaria dell’esperienza credente. Mi sembra che stia venendo progressivamente a mancare la “sapienza pratica” dell’iniziazione a causa di un’enfasi eccessiva sul “dare il buon esempio” e un parallelo raffreddamento nel vivere le esigenze del Vangelo. Come può la comunità cristiana farsi carico di questa sfida così pressante? Forse solo attraverso un ascolto più attento della voce dei suoi figli e uno sforzo di trovare i luoghi e le forme più adatte perché ognuno possa fare l’esperienza trasformante dell’amore che perdona, della speranza che nasce dall’incontro con la persona viva del Cristo.

Fratelli e sorelle nati dallo stesso amore

Quando, infine, rifletto sulla dimensione dell’esserci sorella della Chiesa, penso all’esperienza umana in cui il fratello e la sorella mi dicono la mia posizione “alla pari” con un altro da me, la condivisione degli spazi, dei tempi e dell’amore dei genitori; il passaggio da “questo è mio” a “questo è nostro”, la scuola della condivisione, dell’aiuto reciproco, ma anche la competizione per l’affetto, per un’identità diversa da quella dei fratelli, la tensione nei rapporti, la fatica e la forza nell’uscire dai ruoli nei quali i genitori ci collocano; la gioia dello stare insieme, il ruolo importante di mantenere e tramandare le tradizioni della famiglia. Penso alla fraternità che emerge in modo unico e potente quando ci si ritrova su ciò che è davvero il cuore: essere stati amati e generati dagli stessi genitori.

In che modo la comunità cristiana vive questi aspetti? E la “sonorità” di cui parliamo riguarda solo i credenti o l’umanità intera? Dalla risposta a questo interrogativo derivano atteggiamenti e comportamenti per molti aspetti diversi.

Riescono i cristiani a sentirsi “sulla stessa terra, sotto lo stesso cielo, con fratelli e sorelle nati dallo stesso inesauribile amore?”.

Se sì, come fare in modo che l’impegno per la giustizia e la verità diventino prioritarie per la Chiesa nel mondo?

Se sì, come incontrare la multiformità delle esperienze religiose umane senza perdere la propria unicità? Come disporsi realmente all’incontro con uomini e donne che diciamo “fratelli e sorelle” e che vivono in modo diverso da noi la fede? Pensiamo a quanto questo interrogativo sfidi il cammino ecumenico con i fratelli di altre confessioni cristiane o con i nostri “fratelli maggiori” gli ebrei.

Esiste nella Chiesa questa reale apertura? Ed è atteggiamento comune, diffuso, condiviso dai credenti?

Se siamo figli dello stesso Padre che ci ha creati come possiamo raccontare ad ogni uomo e donna che incontriamo l’amore con il quale siamo amati, la dedizione di Dio che si rivela a noi in Cristo, il dono del perdono e della misericordia? Come fare della Parola che ci accomuna la strada per raggiungere l’esistenza dell’uomo e rendere la nostra vita una trasparenza del Vangelo?

Seconda parte: spunti dal dibattito

Don Ermis Segatti 

–          Chi è l’altro con cui dovremmo interloquire? Abbiamo nelle nostre comunità ecclesiali in Italia  la più vasta gamma di ‘altri’ che sia mai esistita: non ci sono altre aggregazioni italiane con tanti ‘altri’ come la Chiesa.

–          La scelta dei poveri: in una discussione a Manaus, in Brasile, salta su uno dicendo: “È sbagliato dire che la Chiesa deve scegliere i poveri perché li ha già, basta trovare gli strumenti per accorgersene”.

–          Oggi la vocazione unica e prioritaria è essere Cristiani: in questo sta la sinodalità reale della nostra situazione attuale.

Paolo Romeo

–         Intercettare l’umano: è importante, ma l’impressione è che molti non si fanno nemmeno più il problema della Chiesa; perciò occorre reimparare la grammatica umana elementare.

–         Riconoscimento di una verità che ci trascende: cioè la dimensione di una storicità della verità. Per quanto noi possediamo Gesù Cristo, Egli è ancora sempre al dì la dall’essere posseduto.

Don Gianluca Zurra

–         Mi è piaciuto quanto detto sull’iniziazione alla fede che è anche iniziazione alla vita. Sentirsi parte di una comunità cristiana che ormai deve diventare qualcosa di plurale e assolutamente umano, dove la riconduzione al Vangelo è la riconduzione ad una vita pienamente vissuta. La sfida della presenza della Chiesa è la sfida di come il cristianesimo si gioca nella storia e per la storia. “La parrocchia è la soglia bassa del cristianesimo, dove tutti si possono ritrovare, senza etichette di sorta, vivendo di Gesù Cristo nel tuo quartiere, nel tuo paese” (F. G. Brambilla).

–         Sul futuro del cristianesimo mi piace la “La quarta ipotesi” di Maurice Bellet: 1ª ipotesi) il cristianesimo scomparirà; 2) la religione civile, in cui il cristianesimo si svuota dall’interno; 3) il cristianesimo continuerà, con una botta di conservatorismo o di progressivismo;  4) davanti a noi si apre uno spazio inaugurale, in cui dovrà finalmente comparire una nuova comprensione dell’uomo, perché oggi, in un contesto nuovo che ancora non conosciamo, il vangelo di Gesù Cristo possa risuonare.

Andrea Morezzi

–         Le cose accadono perché qualcuno vuole che accadano: non possiamo lamentarci del fatto che esistano i movimenti così come sono fatti, che la comunità ecclesiale esclude e non include, che la sinodalità è un dover essere dopo quarant’anni, ecc. se non prendiamo atto che le cose accadono perché qualcuno vuole che accadano.

–         La Chiesa è un popolo in conversione, prendiamone atto e con tanta umiltà insegniamo l’un l’altro in che cosa si deve cambiare… ma dobbiamo cambiare! Tutti. A partire dai nostri ministri. Dire che la Chiesa è sinodale vuol dire attivare un percorso di circolarità interno. Per es. basta percorsi pastorali che partono dai vescovi, si articolano sui preti che danno ordini ai laici.

–         L’umano non esiste, esistono le persone. E’ un soggetto che mi si mostrerà se avrò voglia di ascoltarlo e di stargli accanto prima ancora di aprire bocca.

–         Sull’idea di creare una “scuola della chiesa locale”: la vera rivoluzione di Vat. II sta nel fatto che mette la Scrittura in mano ai credenti, innescando dinamiche che non sono più verticistiche. Se dovessi fondare una nuova scuola ripartirei da questo concetto. La Chiesa non parte dalla parrocchia ma dall’altare, lì ci riuniamo come Chiesa. Ripartiamo di lì. Anche in relazione al problema della mancanza di preti.

Paolo Baggia

–         Sulle forme di Chiesa dobbiamo creare, pensare luoghi diversi, nuovi per fare uscire l’umano, la vita delle persone.

–          Sulla pastorale l’impressione è quella di un sistema gerarchico, è vero: l’obiettivo è riuscire ad agganciare le persone, così la pastorale può diventare una sintesi più alta con la vita delle persone.

Eliana Brizio

–          Quando penso ad una “scuola della chiesa locale” mi chiedo se non sia ancora una volta un servizio di lusso. Forse è un rischio. Vedendo la Chiesa dal basso, mi chiedo come si può fare a creare dei luoghi dove parlarsi per raggiungere la gente comune che sta aspettando di incontrare ancora adesso la misericordia e il perdono… non so se una scuola sia sufficiente.

–          Rispetto agli scenari di oggi, non so se ci rendiamo conto della forza con cui questo mondo sta cambiando. Mi chiedo fino a quando potremo continuare ad interrogarci sul destino della Chiesa nei termini di struttura, di comunità, quando è chiarissimo che sono le singole persone (prima delle parrocchie) ad essere interpellate singolarmente. Perché la domanda sarà “vuoi esser cristiano oppure no”? Vuoi stare all’interno della Chiesa, vuoi far parte della parrocchia o del movimento? Per te il cristianesimo, l’avventura di una relazione con Gesù Cristo personale, è una cosa reale o no? Ti spiega la vita o no? La tua speranza dove la trovi?

–          Le persone sono interpellate già oggi a livello individuale, ma la Chiesa spesso bypassa le risposte individuali e si dà risposte collettive. Vorrei sapere come la Chiesa raccoglie la quantità di risposte che la gente cerca di darsi, vorrei sapere come la Chiesa si sta attrezzando a mettere davvero in comunicazione l’uomo con Gesù. Spesso ho l’impressione che la Chiesa, invece di essere trasparente all’evento Gesù, spesso si presenta come un muro insormontabile. Ad es. certe affermazioni del Magistero sulla morale sembrano dei posti di blocco… Peccato che se riesci a forzare il primo dopo vai via che è una meraviglia, non c’è nessuno a controllare. Gli unici percorsi che hanno un vero check point sono quelli sulla morale sessuale. Sul magistero sociale, sulle risorse umane, sulle risorse ambientali… niente, nessun controllo!

(Sintesi non rivista dai relatori)


COMMENTO (Stella Morra)

UNA CHIESA MADRE E SORELLA

“Da molti mesi, una volta al mese, parte da Finale Emilia un piccolo convoglio. Gli amici della carovana pregano il loro rosario ogni giorno, ascoltano messa in croato, salgono sulla collina delle apparizioni. Calcano cose sacre nei passi e nella voce. Sento la differenza da loro in questo strano spessore che i miei gesti non hanno. Il mio scaricare casse è solo quello, non porta altro, il loro scaricare casse è invece come un coccio di vetro che da terra rifrange luce in tutte le direzioni, ma soprattutto in cielo.

Perciò intendo a mio modo, poco, che i loro gesti durano e i miei no. Sono solo uno che legge la Bibbia, loro sono quelli che la reggono. Non sono dei loro, sono di passaggio, anche se forse ritornerò in queste regioni: loro sono i residenti in terra. Conservo il mio pezzo sgualcito d’identità come un palloncino nel vento, perché loro hanno a volte una piena che può denudare un uomo adulto e incallito di sé, quale io sono diventato. Resisto al loro trascinarmi, seguo però, seguo zitto i loro passi e scrivo”.

(Erri De Luca, Pianoterra, p. 91-94)

Mi sono spesso chiesta, leggendo questo bel testo di Erri De Luca, se chi incontra me possa riconoscere nei gesti e nelle parole “come un coccio di vetro che da terra rifrange luce in tutte le direzioni, ma soprattutto in cielo”… E il desiderio non riguarda solo le nostre singole persone, ma la comunità ecclesiale tutta: chi incontra le nostre chiese, anche se decide di “resistere” al trascinarlo, è portato a riconoscere ciò che dura?

Infatti siamo noi, i credenti (coloro che esercitano il participio presente del verbo credere!) che abbiamo in primo luogo bisogno per noi che le nostre chiese siano il segno di ciò che dura, dei residenti in terra, e cocci di vetro che rifrangano luce. Di queste domande si nutre il percorso di riflessione degli ultimi anni dell’Atrio dei Gentili, e ancora una volta abbiamo voluto condividere questi pensieri nel dicembre scorso con un panel di discussione dal titolo: “La Chiesa nostra madre e nostra sorella”, con interventi a più voci. Ed è stato il nostro modo di ricordare anche don Mario Picco, a 15 anni dalla sua morte: da lui molti di noi hanno imparato ad amare la propria e l’altrui vita e la Chiesa, con lo stesso amore.

Il vescovo Giuseppe ha voluto passare a salutarci e ci ha offerto due sottolineature, a partire dal titolo, che ci piacerebbe offrire alla riflessione di tutti. Dall’idea di Chiesa madre, con la risonanza dell’uso che ne hanno fatto i Padri della Chiesa nei primi secoli emerge il tema del nutrimento, dell’accudimento, del generare per rendere autonomi, della delicatezza tutta speciale verso i figli più deboli, malati o fragili. Di uno sguardo di cura, dunque, che diventa stile dominante, di ogni credente verso tutti e in special modo di chi ha responsabilità, pastorali e ministeriali, verso chi gli è affidato.

Dall’idea di Chiesa sorella emerge il tema della sinodalità, dell’avere ognuno e tutti insieme il diritto/dovere ad aver voce, a dare e ricevere ascolto, a dare e ricevere valorizzazione per ciò che si fa e si è. In una relazione schietta, libera, fraterna, appunto. E questo in primo luogo all’interno della vita delle chiese, a tutti i livelli.

E ci chiediamo dunque: perché tutto ciò non resti solo una bella intuizione, perché non sia solo un volontaristico e personalistico desiderio, quale forme e percorsi possiamo darci? Come “far funzionare” questo metodo e questo stile non “senza” la buona volontà e l’impegno dei singoli, ma, partendo da questo, “con” forme stabili e sovrapersonali, che diano luoghi, tempi e modalità al desiderio di un volto di Chiesa così?

È la domanda su cui vorremmo continuare a riflettere, per essere anche noi gente che “segue, zitta e scrive”.


COMMENTO (Carlo Barolo)

TORNARE AL CUORE DELLA FEDE

“I Protestanti sono caratterizzati dalla ‘Bibbia-mania’, mentre nel sud Europa si parla più di Chiesa ed episcopato che di Gesù Cristo, ci si scontra più nell’anticamera che nel ‘Sancta sanctorum’ della fede. Bisogna fare attenzione al rischio di parlare solo di cose periferiche…”. È una frase di don Ermis Segatti (responsabile per la cultura della diocesi di Torino) che colgo dalla trascrizione degli interventi di quanti hanno partecipato al panel di discussione “La Chiesa, nostra madre e sorella”, organizzato dall’associazione culturale “L’Atrio dei Gentili” all’inizio dello scorso dicembre. Su questo incontro e sui numerosi stimoli da esso emersi vogliamo ancora tornare, dopo l’articolo di Stella Morra pubblicato su “La Fedeltà” dell’11 gennaio. La frase riportata in apertura è emblematica del clima un po’ asfissiante in cui siamo immersi, soprattutto perché pronunciata da chi, come don Segatti, è un grande conoscitore del cristianesimo contemporaneo a livello mondiale e dei fermenti religiosi che agitano il nostro pianeta. Coglie in modo efficace uno dei problemi chiave della Chiesa di oggi, in particolare in Italia. Una Chiesa – come ha ben sintetizzato il prof. Paolo Romeo di Cuneo, intervenuto al panel – ridotta spesso ad “una comunità di credenti che passa il tempo ad organizzare la propria organizzazione”.

E allora non è un caso se per il prossimo convegno nazionale di Verona i vescovi italiani, dopo qualche incertezza, hanno scelto come tema: “Testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo”. Il che equivale a dire che, quando non si sa più dove andare a parare, si ritorna ancora una volta al cuore del cristianesimo, a quell’annuncio originario (non solo nel senso cronologico) da cui è scaturito il Cristianesimo.

L’esigenza di tornare a parlare di questioni che stanno al centro dell’esperienza credente sembra emergere, almeno stando al titolo “Dio è amore”, anche dalla prima enciclica di Benedetto XVI che viene resa pubblica proprio oggi. Leggeremo con attenzione quanto papa Ratzinger scrive a tutti i fedeli del mondo per capire come viene declinato il tema dell’amore di Dio. E vedremo se a Verona si riuscirà a trovare il bandolo per sbrogliare la matassa di questi tempi così difficili, in cui le forme di Chiesa che ci sono state consegnate dalla tradizione cristiana sembrano mute, svuotate di significato e scarsamente efficaci e, nello stesso tempo, il nuovo ancora non s’intravvede, e non solo nell’ambito ecclesiale.

Vedremo se Verona saprà suggerire delle nuove forme per essere Chiesa, oltre i due estremi di un “fondamentalismo che procede solo per affermazioni corrette dal punto di vista dottrinale, ma prive della capacità di diventare vita, o contro un tentativo di annacquamento dell’esperienza credente volto a ridurre la fede a religione civile” (così si è espresso in un recente convegno mons. Domenico Sigalini, vescovo di Palestrina e presidente del Centro di orientamento pastorale). Per una Chiesa fatta di persone che sappiano davvero ascoltare le domande degli uomini di oggi e non solo dare delle risposte già confezionate.  


COMMENTO (Eliana Brizio)

UNA CHIESA CHE FATICA A MOSTRARE IL SUO VOLTO MATERNO  

“La Chiesa nostra madre e sorella”, titolo interessante per un interessantissimo confronto avvenuto nel mese di dicembre presso Editrice Esperienze a Fossano.

Avvicinandomi al tema come credente, ma ancor prima come donna del mio tempo, ho provato a raccogliere le suggestioni che questi due termini facevano emergere in me.

La maternità si manifesta fin dal suo inizio come “capacità”, come attitudine cioè, e disponibilità a contenere, a portare dentro per custodire e alimentare una nuova vita fino al momento di “darla alla luce”, stupefacente meraviglia che viene da dentro ma anche da un altrove misterioso da cui proviene la nostra stessa vita. Maternità evoca il nutrimento, la protezione, la cura, la dedizione, il dono di sé, la premura verso i più piccoli e fragili ma ancor più potentemente la capacità di accompagnamento del figlio all’acquisizione del linguaggio che lo inserisce nella famiglia umana e lo rende via via più autonomo, e l’iniziazione paziente e continua al senso della vita, all’amore, al perdono, alla lotta, alla gratitudine attraverso l’esempio e le parole che introducono alla dimensione profonda di ogni cosa. Mi è sembrato interessante notare come, pur ricordando tutti questi aspetti, i figli percepiscano in modo diverso il ruolo materno nei diversi momenti della loro vita: è normale, quindi, ma non troppo tollerato, che vi siano, in riferimento alla Chiesa-madre, posizioni e atteggiamenti tanto diversi, anche all’interno della stessa comunità dei credenti.

I tanti volti dell’essere madre

Quanto è diverso, infatti, l’atteggiamento di un bambino piccolo che in tutto dipende dalla mamma da quello di distacco e spesso di rottura di un adolescente che cerca la propria identità e libertà in contrasto con i genitori; quanto diverso l’atteggiamento di una figlia che diventa madre a sua volta e comprende tanti insegnamenti ritenuti in precedenza poco significativi da quello di un figlio che vede il declino fisico, emotivo e mentale della propria madre nella vecchiaia! Ogni credente si trova a fare i conti con il mutare della propria percezione della Chiesa anche a partire dal momento della vita che sta attraversando. La Chiesa, che come una madre cresce e cambia con i propri figli pur restando se stessa, in che modo vive oggi queste dimensioni del suo essere? E come lo manifesta ai suoi figli e ai contemporanei?

Mi sembra di poter dire che per molti aspetti la Chiesa continui a nutrire i suoi figli, ad accoglierli e accompagnarli come meglio può durante il loro percorso vitale. Di fronte alla sfida del mondo contemporaneo, però, nel quale si confrontano e a volte scontrano visioni del mondo e della vita tanto diverse tra le diverse culture e religioni, di fronte allo smarrimento delle coscienze, penso che la Chiesa non riesca a manifestare in pieno la propria dimensione materna. Mi riferisco soprattutto alla fatica di trovare un linguaggio e uno stile di vita capace di iniziare gli uomini e le donne al senso profondo del vivere che è Cristo. Spesso i contemporanei lamentano una scarsa attenzione della Chiesa alle reali condizioni di vita delle persone, una fatica a comprendere le difficoltà di chi vive sempre più come minoranza la fede cristiana; un linguaggio difficile da comprendere, che spesso allontana invece che avvicinare le persone ad un cammino di fede attraverso la dimensione comunitaria dell’esperienza credente. Mi sembra che stia venendo progressivamente a mancare la “sapienza pratica” dell’iniziazione a causa di un’enfasi eccessiva sul “dare il buon esempio” e un parallelo raffreddamento nel vivere le esigenze del Vangelo. Come può la comunità cristiana farsi carico di questa sfida così pressante? Forse solo attraverso un ascolto più attento della voce dei suoi figli e uno sforzo di trovare i luoghi e le forme più adatte perché ognuno possa fare l’esperienza trasformante dell’amore che perdona, della speranza che nasce dall’incontro con la persona viva del Cristo.

Fratelli e sorelle nati dallo stesso amore

Quando, infine, rifletto sulla dimensione dell’esserci sorella della Chiesa, penso all’esperienza umana in cui il fratello e la sorella mi dicono la mia posizione “alla pari” con un altro da me, la condivisione degli spazi, dei tempi e dell’amore dei genitori; il passaggio da “questo è mio” a “questo è nostro”, la scuola della condivisione, dell’aiuto reciproco, ma anche la competizione per l’affetto, per un’identità diversa da quella dei fratelli, la tensione nei rapporti, la fatica e la forza nell’uscire dai ruoli nei quali i genitori ci collocano; la gioia dello stare insieme, il ruolo importante di mantenere e tramandare le tradizioni della famiglia. Penso alla fraternità che emerge in modo unico e potente quando ci si ritrova su ciò che è davvero il cuore: essere stati amati e generati dagli stessi genitori.

In che modo la comunità cristiana vive questi aspetti? E la “sonorità” di cui parliamo riguarda solo i credenti o l’umanità intera? Dalla risposta a questo interrogativo derivano atteggiamenti e comportamenti per molti aspetti diversi.

Riescono i cristiani a sentirsi “sulla stessa terra, sotto lo stesso cielo, con fratelli e sorelle nati dallo stesso inesauribile amore?”.

 Se sì, come fare in modo che l’impegno per la giustizia e la verità diventino prioritarie per la Chiesa nel mondo?

Se sì, come incontrare la multiformità delle esperienze religiose umane senza perdere la propria unicità? Come disporsi realmente all’incontro con uomini e donne che diciamo “fratelli e sorelle” e che vivono in modo diverso da noi la fede? Pensiamo a quanto questo interrogativo sfidi il cammino ecumenico con i fratelli di altre confessioni cristiane o con i nostri “fratelli maggiori” gli ebrei.

Esiste nella Chiesa questa reale apertura? Ed è atteggiamento comune, diffuso, condiviso dai credenti?

Se siamo figli dello stesso Padre che ci ha creati come possiamo raccontare ad ogni uomo e donna che incontriamo l’amore con il quale siamo amati, la dedizione di Dio che si rivela a noi in Cristo, il dono del perdono e della misericordia? Come fare della Parola che ci accomuna la strada per raggiungere l’esistenza dell’uomo e rendere la nostra vita una trasparenza del Vangelo?


COMMENTO (Paolo Baggia)

ALCUNI NODI… DA SCIOGLIERE?

  Una riflessione sulla Chiesa è nata prima all’interno dell’associazione culturale “L’Atrio dei Gentili”, condotta tramite seminari di approfondimento ed incontri con esperti. Il tema era complesso: come rendere più trasparenti e più praticabili le forme di Chiesa in cui viviamo; tali da rispecchiare e riflettere la luce dell’esperienza vissuta di fede cristiana, ed allo stesso tempo rendendola rilevante per le persone che la vivono. Guardandosi intorno esistono analisi, riflessioni, sulla situazione attuale della Chiesa; per citarne una, il libro di Alberto Melloni dal titolo “Chiesa madre, chiesa matrigna”, (Einaudi 2004), ristampato più volte, oppure “Dove va la Chiesa?” di Medard Kehl (Queiriniana) di alcuni anni fa.

Il passaggio successivo, dall’analisi alle opzioni e alle proposte concrete, non sembra essere ancora emerso con chiarezza, per questo la riflessione interna all’associazione è stata allargata al Consiglio Pastorale diocesano, per coinvolgere nel cammino di ricerca altre componenti della nostra Chiesa locale. Lì è nata la proposta di realizzare un panel dal titolo “La Chiesa, nostra madre e sorella” che ha riunito persone di esperienza diversa a dialogare e a condividere la riflessione con il pubblico. L’incontro è avvenuto ad inizio dicembre presso l’editrice Esperienze a Fossano, luogo particolarmente azzeccato, simbolo di una riflessione all’avanguardia avvenuta a Fossano negli anni post-conciliari. All’inizio dell’incontro si è colta l’occasione per ricordare don Mario Picco, il suo sorriso, la sua cara presenza, a 15 anni dalla sua morte.

Il panel (io ero uno dei sette relatori) ha messo a fuoco alcune questioni, abbozzando dei nodi importanti, quali ad esempio: la sinodalità e lo spirito di accoglienza (mons. Giuseppe Cavallotto); l’ampiezza e la complessità del cristianesimo (don Ermis Segatti, responsabile cultura diocesi di Torino); un magistero in ascolto capace di intercettare i segnali dell’umano (Paolo Romeo, docente di religione); la revisione del concetto di appartenenza e la passione per la vita e per l’umanità (don Gianluca Zurra, docente Sti); il ruolo della laicità ed il richiamo conciliare (Andrea Morezzi, presidente Meic Torino); la valenza di una chiesa madre e la fatica di un linguaggio che sappia iniziare alla vita (questioni illustrate nello scorso numero di questo giornale da Eliana Brizio, educatore professionale).

È stato un primo passo, non certo l’ultimo, l’inizio di una riflessione più ampia che riteniamo importante e vitale per noi e per la nostra fede. Il prossimo sarà l’intervento di padre Elmar Salmann, monaco benedettino, teologo di fama mondiale, a Fossano lunedì prossimo che ci parlerà di “Quali chiese per cristiani adulti” (vedi articolo in questa pagina).

Speriamo che altri passi seguano e di procedere in questo cammino. 

“Tobia, 10 anni dopo”: seminario estivo 2005

TOBIA, 10 ANNI DOPO

Monastero “Dominus Tecum” – Pra ‘d Mill
8-10 luglio 2005

Programma (e registrazioni)

VENERDI’ 8 luglio

7, 30 = lodi

8, 45 = introduzione e lectio I UNITA’

            Tb 1-2: la questione della devozione. Un’analisi della situazione

9, 45 = Riflessione PERSONALE

            Un’analisi della mia situazione di fede

10, 45 = Assemblea

            Mettiamo insieme le domande, quasi senza risposta

11, 45 = Messa

14, 30 = lectio II UNITA’

Tb 3-4: il progetto e la “realtà”. O del non sapere dove andare

15, 15 = GRUPPI

            Confronto su analisi del mattino e su “quale progetto”?

17, 15 = Vespri e adorazione

Sera, dopo cena

            L’Atrio, dopo tutti questi anni….

SABATO 9 luglio

7, 30 = lodi

8, 45 = introduzione e lectio III UNITA’

     Tb 5: la compagnia o dello sbilanciamento. “Non significa dunque nulla per voi essere la festa di qualcuno?” (Roland Barthes)

9, 45 = Riflessione PERSONALE

               Quale compagnia per la mia fede? Quali chiese?

10, 45 = Assemblea

                 Mettiamo insieme le domande, quasi senza risposta

11, 45 = Messa

14, 30 = lectio IV UNITA’

Tb 6-7: la parola angelica. La vera realtà che cambia il reale è il cuore?

15, 15 = GRUPPI

                Confronto su analisi del mattino e su “quale Chiesa”?

17, 15 = Vespri e adorazione

Sera, dopo cena

                 Cosa vogliamo fare….

DOMENICA 10 luglio

7, 30 = lodi

8, 45 = introduzione e lectio V UNITA’

            Tb 8-11: pensieri di uomini, pensieri di Dio e angeli. Attese e ritorni, tutto qui?

9, 45 = Riflessione PERSONALE

               Quali pensieri di Dio per me?

10, 30 = Messa

14, 30 = lectio VI UNITA’

Tb 12-13-14: il vero lieto fine o dell’angelo rivelatore. Verso dove possiamo andare?

15, 15 = ASSEMBLEA

     Mettiamo insieme tutto…

17, 15 = Vespri e adorazione

Fede con Arte 2005: “A immagine e somiglianza”

Programma delle serate

Prima serata

Seconda serata

Terza serata (A immagine e somiglianza)

Articolo del settimanale “La Fedeltà” sulla serata organizzata dall’Atrio dei gentili

Grande pubblico per la spettacolare multivisione dell’Atrio dei Gentili

LA BIBBIA SOGNATA DA MARC CHAGALL
CHIUDE LE SERATE DI FEDE CON ARTE

La multivisione dedicata alle opere di Marc Chagall ha concluso domenica scorsa la rassegna Fede con Arte 2005. E anche quest’anno, la serata organizzata dall’associazione culturale L’Atrio dei Gentili sembra aver fatto centro, almeno così sembrano testimoniare il lungo applauso finale e alcune impressioni raccolte a caldo tra gli spettatori.

Protagonista dello spettacolo “A immagine e somiglianza: carne ed ali nella pittura di Marc Chagall” (allestito con il contributo della Fondazione CRF, per la regia di Elisabetta Baro) è il grande sogno di Dio sull’umanità letto e interpretato attraverso le tele di questo pittore ebreo-russo morto nel 1985; un pittore ma anche un poeta e un mistico affascinato dalla Bibbia, “alfabeto colorato – com’egli stesso ebbe a dire – in cui ho intinto i miei pennelli, principale fonte di poesia di tutti i tempi”. Davanti agli occhi di un pubblico molto eterogeneo e attento, sono sfilati i grandi quadri che sono ospitati al “Museo del messaggio biblico” di Nizza, più la Crocifissione bianca (conservata a Chicago), commentati e accompagnati da brani della Parola di Dio interpretati da una voce fuori campo, da alcuni interventi di una ballerina e dalla musica di un altro grande del novecento, Stravinskij (con cui lo stesso Chagall collaborò). Una multivisione di elevato livello culturale e di grande impatto spettacolare, con ben cinque schermi (e un totale di 700 diapositive) che invitavano lo spettatore ad entrare letteralmente nei quadri coloratissimi, pieni di simboli, di esseri alati, di figure fantastiche, ma anche delle tragedie della guerra.

Non sono mancati, purtroppo, alcuni problemi tecnici: uno dei 12 proiettori è finito fuori sincronia mentre l’acustica della chiesa (certamente non pensata per questi spettacoli) ha dimostrato tutti i suoi limiti. Per non parlare della capienza ormai non più sufficiente ad ospitare il numerosissimo pubblico intervenuto e in costante crescita di anno in anno, un fatto che ha colto di sorpresa gli stessi organizzatori… Forse per le prossime edizioni della rassegna occorrerà pensare ad un nuovo contenitore.

Tratto da “La Fedeltà” del 1 giugno 2005

La Chiesa, nostra sorella

LA CHIESA, NOSTRA SORELLA

SANTUARIO DI CUSSANIO (FOSSANO)
13 febbraio 2005

Presentazione

Proseguendo in qualche modo la riflessione di questi ultimi anni e attingendo ad un dibattito molto vivo in Italia (citiamo solo come esempio il recente volumetto di Alberto Melloni “Chiesa madre, chiesa matrigna”), vogliamo puntare la nostra attenzione sul tema della Chiesa. L’obiettivo è ricominciare a fare un’analisi della situazione pastorale e storica della chiesa, sia sul livello nazionale (e universale), sia sul livello locale: quali sono i problemi più urgenti? Qual è la lista di priorità per la chiesa italiana e, soprattutto, per le nostre comunità locali? Quali proposte concrete?

Vogliamo provare a far intervenire e dare la parola a più persone, soci dell’associazione, amici, in modo da far interagire punti di vista diversi, alcuni dei quali provenienti anche da altre diocesi. Naturalmente la riuscita del Seminario è legata alla capacità di ognuno di saper leggere tra le pieghe della propria esperienza ecclesiale e nei mille volti della quotidianità, per individuarne non solo problemi ma anche risorse e opportunità, in questo tempo complesso e faticoso, per tanti.


Programma

ore  9,00: Ritrovo a Cussanio

ore  9,15: Recita delle lodi, presiedute da don Pierangelo Chiaramello

ore  9,30: Introduzione, a cura di Stella Morra e altre voci

ore 10,30: Pausa

ore 11,00: Riflessione a gruppi o individuale; segue dibattito assembleare

ore 12,30: Pranzo al ristorante “Il Giardino dei tigli”

ore 14,45: Posegue la riflessione in assemblea, con alcune proposte concrete e altri interventi

ore 16,30: Messa in Santuario a Cussanio, celebrata da don Pierangelo Chiaramello

Serate cinema: “Immagini di potere”

Serate cinema

con Pier Mario MIGNONE
critico cinematografico

organizzato da “L’Atrio dei Gentili”
con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Fossano

Un percorso cinematografico che racconta aspetti diversi del potere:

  • il potere come tentazione e sopraffazione,
  • la forza dell’impotenza,
  • la paura del potere e il potere della paura,
  • il potere dei desideri…

Sede del CAI
Via G. Falletti, 28 – Fossano

Giovedì 2, 9 e 16 dicembre 2004
Ore 20:45

“Mai ti si concede un desiderio senza che inoltre ti sia concesso il potere di farlo avverare.
Può darsi che tu debba faticare per questo, tuttavia…”

(Richard Bach)

L’ingresso è gratuito: chi lo desidera può lasciare un’offerta libera per contribuire alle spese organizzative.

Locandina degli incontri

“CHE FARE?”: seminario estivo 2004

CHE FARE? Ricerca di prassi cristiane in questo tempo complesso


Casa di spiritualità “Regina Montis Regalis”
Vicoforte Mondovì
3-4 luglio 2004

Presentazione

Il Seminario è un’occasione di riflessione a partire dal dibattito che si è sviluppato nei mesi scorsi in Italia in seguito alla “Lettera aperta ai Vescovi italiani” che Franco Monaco, ex Presidente dell’AC di Milano, deputato del Centro-Sinistra, ha scritto nell’ottobre 2003. Le questioni poste sul campo (che riprendiamo nella traccia di domande allegata) sono poi state riprese da altri gruppi ed esponenti del cattolicesimo italiano. Tra questi: la “Lettera agli amici per l’Avvento 2003” della Comunità di Bose (dal titolo “Che ne sarà del Cristianesimo?”), l’editoriale di Aggiornamenti Sociali del gesuita Bartolomeo Sorge (“Il silenzio dei Vescovi sull’Italia”), lo speciale di Jesus aprile 2004 (mensile dei religiosi Paolini).

Programma

Sabato 3 luglio 2004:

  • 16,15 preghiera iniziale: recita di Ora Nona
  • 16,30 introduzione di Stella Morra: i termini del dibattito in corso
  • 17,00 Tavola rotonda sul tema del seminario: interverranno alcuni esponenti del mondo cattolico che hanno deciso di spendersi in politica.
  • 18,00 Break
  • 18,30 Dibattito
  • 19,30 cena
  •  21,00 serata libera

Domenica 4 luglio 2004:

  • 08,30 Colazione
  • 09,30 Ripresa contenuti della tavola rotonda; lettura materiali.
  • 11,00 Break
  • 11,30 Prosecuzione dei lavori in assemblea
  • 12,30 Pranzo
  • 15,00 Lectio teologica conclusiva, a cura di Stella Morra
  • 16,00 Messa in Santuario (se riusciamo a trovare qualche sacerdote, la messa verrà celebrata al mattino all’interno della Casa)
  • 17,00 Conclusione lavori

Materiali

Franco Monaco, “Lettera aperta ai Vescovi italiani, Jesus, ottobre 2003

 Comunità di Bose, Che ne sarà del cristianesimo?, dicembre 2003

 Bartolomeo Sorge; Il silenzio dei Vescovi sull’Italia“, Aggiornamenti Sociali, marzo 2004

 Pietro Scoppola, I rischi etici quando un governo si santifica

 Franco Monaco, Chiesa italiana e politica. Una lettera e i suoi critici, 1 aprile 2004

Alcune domande guida, per iniziare a pensare

  • Che giudizio date della situazione e come pensate si debba muovere un credente nella attuale situazione nazionale/ internazionale.
  • Quali sono secondo voi i criteri da usare (per giudicare la situazione).
  •  Quali ritenete siano le cose che la Chiesa (italiana) a livello istituzionale può fare/ha fatto/non ha fatto.
  • Secondo voi la scelta di Franco Monaco, di una lettera aperta ai Pastori, ha un senso e a quali condizioni.
  •  Condividete o no l’analisi fatta dalla Comunità di Bose nel testo (che alleghiamo) circa il futuro del cristianesimo in Italia.

Multivisione “Uno sguardo ancora”: Fede con Arte 2004

Tre serate originali

Le serate “Fede con Arte” vogliono aiutare i credenti e non credenti a riscoprire a piene mani la vita, in compagnia di arte, musica, letteratura. Sono un’occasione per vincere la troppo netta separazione di ragione e sentimento, arte e religione, ragione e fede.

Un’occasione alla portata di tutti per essere avvolti da una comunicazione nuova, ampia, calda, coinvolgente.

La multivisione riprende lo spettacolo “Uno sguardo ancora” proposto nel 2000 in occasione della rassegna “Giubileo con Arte”

La locandina

Programma delle serate

Perché non si può stare a guardare

Partecipazione, Democrazia e Politica

Salone del CAP
Sala Polivalente del Castello
11-18-26 marzo 2004 a Fossano

Organizzazione:
Comune di Fossano, L’Atrio dei Gentili, Azione Cattolica, Todomondo, Caritas, Editrice Esperienze,  Ufficio Diocesano di Pastorale del Lavoro, Comunità “Papa Giovanni XXIII”, Agesci, Acli.

Presentazione

Gli incontri