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Autore: atriodeigentili

“… a proposito della guerra”

Frammenti di riflessione per non far tacere le coscienze

Vi proponiamo alcune iniziative diverse intorno al tema della guerra del Kosovo: non abbiamo una tesi precisa da sostenere.  Ma crediamo che vivere in pace e sicurezza sia desiderio e diritto di tutti e insieme che tutti i desideri devono fare i conti con la realtà e trovare dunque modi e percorsi per diventare veri, con la fatica di cercare dialoghi, regole comuni, accordi, personali e politici. Proponiamo quindi occasioni di riflessione e confronto e un’unica azione che mira solo a ridare spazio, ragioni e dignità alla politica, difficile arte di trovare accordi comuni e modalità per farli rispettare. E chiediamo a quelli che tra noi sono credenti di trovare almeno una voce di preghiera perché le intelligenze, le volontà e le coscienze degli uomini e delle donne sappiano cercare e trovare strade di pace”.

Proiezione del film: “Prima della pioggia”

Mercoledì
16 giugno 1999
ore 20:45
ITIS “Vallauri”  Via S.Michele, 68 Fossano

Soggetto e sceneggiatura: Milcho Manchevski
Regia: Milcho Manchevski
Fotografia: Manuel Teran
Musica: Anastasia
Origine: Macedonia, Francia, Gran Bretagna, 1994
Durata: 115′


“Prima della Pioggia” è vincitore del Leone d’Oro alla 51° Mostra del cinema di Venezia ed è stato candidato all’Oscar come miglior film straniero.

Milcho Manchevski ha lasciato New York e le produzioni di video per Mtv per girare nel 1995 quest’opera prima in cui racconta la situazione della sua terra d’origine, la Macedonia, mentre nella vicina Bosnia i rapporti erano ormai degenerati nel sangue.

Con grande tecnica, il film ha forse una delle migliori fotografie degli ultimi anni. I paesaggi sono di una bellezza sconvolgente, elegiaca, magica che contrasta con la crudezza degli animi. Diviso in tre episodi, rende con un artificio narrativo il cerchio del destino e gli intrecci delle storie personali, ma alla fine resterà un paradosso temporale che forse rappresenta in sé una possibilità di fuga, o forse sottolinea l’assurdità degli eventi stessi.

Parole. Kiril, un giovane monaco macedone che ha fatto voto di silenzio, salva Zamira, una ragazza albanese braccata da un gruppo di macedoni che vogliono vendicare l’assassinio di un loro familiare. I due vengono scoperti dal superiore della comunità e costretti a lasciare il convento. Kiril vorrebbe andare a Londra dove vive lo zio, un famoso fotoreporter. Ma vengono raggiunti dal nonno e dai cugini di Zamira che per fatalità uccidono la ragazza.

Volti. La scena si sposta a Londra, dove un fotoreporter macedone, Aleksander, dopo aver ricevuto il premio Pulitzer vuole tornare nel suo paese e chiede ad Anne di partire con lui. Anne va a cena con il marito, con cui è in piena crisi matrimoniale, per decidere cosa fare. Mentre di due discutono, l’elegante ristorante londinese è sconvolto dagli spari di un serbo assassino. Il bel volto del marito di Anne è devastato dalla furia omicida che non conosce più ostacoli.

Immagini. Aleksander torna in Macedonia e la trova lacerata dai conflitti tra le diverse etnie e i credi religiosi che fino al quel momento avevano vissuto in pace tra loro: le tensioni con la minoranza albanese si sono esacerbate e i suoi parenti gli parlano di riscatto da 500 anni di dominazione musulmana. Il fotoreporter cerca di riportare la pace tra i diversi gruppi, anche lui alla ricerca del suo antico amore, una donna musulmana. Ma anche lui deve cedere all’odio insensato, ucciso dal cugino mentre mette in salvo una giovane ragazza albanese, Zamira, che corre verso il convento dove si trova Kiril…

Manchevski ci avverte di una situazione che sebbene non è una guerra è già un conflitto interno a bassa intensità (la violenza tra macedoni ortodossi e albanesi musulmani ha preso la forma di faide familiari che dividono i villaggi e due delle vittime più significative nel film sono uccise dai loro stessi parenti). E turba verificare in questi giorni di guerra nei Balcani il rifiuto dei profughi kosovari da parte del governo macedone; per tutelare “equilibri demografici” interni, si dice, definizione fumosa per noi occidentali che questo film, nella sua tragicità, aiuta a capire meglio.

“Prima della pioggia” nasce dalle impressioni del ritorno a casa. Tre anni fa sono tornato in Macedonia dopo un’assenza di sei anni. Il cambiamento era sconvolgente, indefinibile, oppressivo come un cielo minaccioso e cupo, carico di nuvole prima di un temporale. Erano le esplosioni di quell’egoismo collettivo che genera il nazionalismo e che riaffiorava dai secoli passati. La guerra non si vedeva, ma era nell’aria. Non potrei raccontare la guerra nei Balcani, potrei farne solo la cronologia, perché non so spiegare com’è cominciata, e per me niente può giustificare la violenza di una guerra civile.

(Milcho Manchevski)


Tavola rotonda

Mercoledì
23 giugno 1999
ore 20:45

Interverranno:

  • don Ermis Segatti (teologo e storico),
  • il prof. Stefano Siccardi (docente di diritto presso l’Università di Torino),
  • don Corrado Avagnina, moderatore (direttore de “La Fedeltà” e “L’Unione Monregalese”)

Salone di Via Vescovado, 12
Fossano

Per riflettere su questa tematica:

(i link esterni potrebbero non essere più attivi nel momento in cui si consulta questa pagina)

La confessione

Meditazione di Padre Cesare Falletti

Pra d’ Mill, 13 giugno 1999

Sintesi dell’intervento

Parlare della confessione oggi è toccare un argomento che contemporaneamente crea difficoltà ed attira.

La ” pratica ” di questo sacramento è molto cambiata; se da una parte non usa più confessarsi per routine, o perché “serve per l’acquisto delle indulgenze” (ed allora si faceva ogni quindici giorni), dall’altra se ne sente il bisogno, ma non è mai il momento, non si trova il tempo, non si riesce a darsi una ragione valida per doverlo fare. Si aggiunge a questo il fatto che il confessore, oggi più di una volta, è ricercato anche per un dialogo umano e spesso uno sconosciuto “non dice niente” e in più i preti sono sempre di meno.

Cominciamo allora a chiederci cos’è questo sacramento, di cosa è il segno reale ed efficace, per capire cosa è importante vivere in esso e dunque anche “come farlo”.

Un sacramento è sempre una realtà umana, espressa in modo umano e semplice, senza riti misterici o magici, che ci porta ad un incontro con Dio. Certo occorre anche avere un significato per i segni e occorre riceverli con un atto di fede, sapendo che, come per incontrarci e salvarci Dio ha scelto la via dell’Incarnazione, così per farci ottenere la sua Grazia Egli sceglie dei segni e dei mezzi che parlano all’uomo.

Ora, nel sacramento della riconciliazione, quale è il significato? Quando la si chiamava, e la si chiama ancora, “confessione” l’impressione era, e può ancora essere, che la cosa importante sia dire i peccati e se ne è fatta perfino una mistica dell’umiltà, quasi a dire “mi umilio e sono perdonato”.

Questo è un modo per mettere al centro l’uomo e il suo operare, mentre in tutta la nostra fede è Dio che è al centro e che opera per primo.

La riconciliazione è innanzitutto un atto liturgico, anche se è celebrata al di fuori di uno spazio sacro, fra due sole persone, e senza una forma molto fissa.

In quanto tale è una celebrazione: celebrazione della gloria di Dio che si manifesta nella sua infinita misericordia. Andarsi a confessare è celebrare e, dunque, pregare e lodare Dio perché è buono, perché eterna è la sua misericordia.

D’altra parte in latino il verbo che si traduce con confessare significa anche riconoscere pubblicamente. Il Credo è una confessione della fede.

La prima cosa dunque alla quale bisogna prestare attenzione è questo riconoscimento della bontà del Signore, che celebriamo con un rito, per semplice e informale che sia. E questo rito, questa “confessione”, opera realmente in me, come ogni sacramento, una grazia che mi santifica, mi cambia, restaurando in me l’immagine di Dio.

Perché lodo il Signore? Perché nonostante quello che ho fatto, la discordanza del mio comportamento, la lontananza del mio cuore da Dio, Egli mi precede offrendomi il perdono, dicendomi che per lui è più importante la comunione con me che una rigida giustizia, che il suo stesso onore, che la necessità di riparare.

Da una parte dunque è necessario che io riconosca che sono diventato dissimile, per mia responsabilità o anche per la sola fragilità umana, perché altrimenti non si capirebbe perché ringrazio, ma dall’altra celebro un sacramento con un atto di fede dicendo: l’amore di Dio è più grande del mio peccato che sparisce come nebbia al sole se con la mia volontà lo pongo davanti al Signore, o, meglio, acconsento che Dio lo perdoni.

Posso fare questo solamente con un atto di fede circa il fatto che quando chiedo perdono Dio mi ha già perdonato, mi ha preceduto, perché altrimenti non potrei assolutamente fare un tale passo, che mi santifica e mi restaura nella intimità divina.

E’ dunque importante saper dire i propri peccati per riconoscere che Dio non ama l’ideale di uomo che non sono, ma ama proprio me con la mia fragilità, la mia cattiveria, le mie ambiguità, la mia drammatica dissomiglianza dal Creatore, ma anche dalla creatura come l’ha voluta il Creatore. A questa creatura Dio non dice “mi hai deluso”, ma “rialzati e cammina”.

Ma è ancor più importante celebrare con tutto il cuore la grandezza dell’amore divino che mi aspetta sulla porta, anzi esce dalla casa per venirmi incontro, abbracciarmi e dire “rivestitelo dell’abito di festa”.

Questo avviene prima del sacramento e allora perché dover andare da un uomo e non porre semplicemente un atto di fede e di lode nel proprio cuore?

Bisogna ricordare il perché dei sacramenti, di questi gesti umani con cui Dio tocca l’uomo, come i gesti di guarigione operati da Gesù. E così anche il perdono deve essere detto con parole umane, ascoltato e accolto da orecchie di uomo, occorrono gesti umani come l’andare, l’incontrare, il parlarsi. Se sono già perdonato, questo è da parte di Dio. Se vado a confessarmi è perché io devo dire, con gesti miei, che accolgo, acconsento al perdono.

Mi sembra però che c’è un’altra ragione molto importante per la presenza di un altro uomo in questo meraviglioso incontro fra Dio Salvatore e l’uomo peccatore: ogni gesto umano ha una profonda ripercussione su tutta l’umanità. L’unica natura che ci unisce ci rende tutti solidali. Per questo Dio incarnandosi ci ha salvati tutti. “Ogni anima che si eleva, eleva il mondo”. E così ogni anima che si abbassa, abbassa il “tasso di carità” che impregna tutti gli uomini, abbassa il mondo. Di ogni nostro gesto siamo responsabili davanti ai nostri fratelli.

Ma come essere perdonati da tutti coloro che abbiamo ferito, quando tanto spesso (pensiamo alla maldicenza) non possiamo neanche riparare materialmente il male fatto? Anche se chiedessimo perdono a tutti coloro che incontriamo non potremmo mai essere totalmente perdonati. La Chiesa si fa carico di questo dramma del peccato, e, mandata dall’Onnipotente, l’unico che può veramente riparare il male che abbiamo fatto, annuncia efficacemente il perdono, non solo di Dio, ma anche degli uomini. Il prete è mandato a portare questo annuncio. Nulla è irreparabile, e il mio essere perdonato, il ricevere la grazia della Misericordia divina, guarisce, in modo misterioso anche se non tangibile, anche le ferite che ho inflitto agli altri.

E allora cosa dire? Cosa confessare? Il mio peccato vero non lo conosco neppure io. Il vero unico peccato è non essere come Gesù, il Figlio diletto, adoratore perfetto del Padre. A volte questo “fondo di peccato” che è in me appare in un fatto evidente, allora so cosa dire; altre volte, la mia imperfezione non è dicibile se non con parole ripetitive e banali. Queste non sono da disprezzare: come per la preghiera, le parole veicolano l’indicibile. Non posso dire il mio peccato, allora dico i miei peccati. Gravi o leggeri che siano. Perché neppure io so se sono gravi o leggeri. Il mio rapporto con Dio e l’importanza della carità verso gli uomini sono tali che nessuna colpa è leggera e nello stesso tempo la mia debolezza è tale che sembra che nessuna colpa sia veramente grande. Occorre vivere con semplicità, dunque. Stando ben attenti a non cadere negli scrupoli.

E lodare Dio perché è lui che importante e non noi; ciò che fa lui e non ciò che facciamo noi!

Sei parole per il Giubileo

Presentazione del seminario

Sei parole, che traiamo dalla Bolla di indizione del Giubileo, per guidare la nostra riflessione verso una comprensione di questo evento ecclesiale che tenga conto della nostra condizione di laici credenti.

Si tratta infatti di un evento spirituale, in primo luogo, che dunque interpella la nostra fede nel suo incarnarsi nella condizione concreta in cui la viviamo, per noi la nostra vocazione di laicità. “Spirituale” significa infatti capace di articolare fede e vita secondo la Spirito nella quotidianità, con un anima alta e una concretezza semplice.

Si tratta poi di un evento ecclesiale, che dunque chiede di superare una dimensione puramente personale, anche se sempre la suppone.

Proviamo dunque a fare l’esercizio di declinare le parole chiave che la Bolla di indizione del Giubileo ci consegna per farle diventare strumenti spirituali e ecclesiali della nostra vita di credenti.

Registrazioni

Introduzione di Stella Morra
Lectio: Rm 12,1-2 e 1Gv 4,7-5,13

Il libro

“Sei parole per il Giubileo”
(a cura del settore Adulti di Azione Cattolica,
fondazione Apostolicam Actuositatem
Ave, Roma 1999, pagine 144, lire 9.000)

Il libro declina le 6 parola chiave della “Incarnationis Mysterium” – la bolla con la quale Giovanni Paolo II ha indetto il grande Giubileo dell’anno 2000 – attraverso otto prospettive di approfondimento.

Si trovano per ciascuna parola otto contributi, utili per la lettura personale e per articolare un itinerario associativo per il gruppo del settore Adulti in parrocchia.

La riflessione antropologica introduce l’interpretazione della parola in riferimento al Giubileo (a cura della teologa fossanese Stella Morra); seguono poi alcune indicazioni per una ricerca che può diventare più ampia con il contributo e la creatività di tutti: una proposta di letture bibliche (Elisabetta Obara); un richiamo alle fonti patristiche e alcuni brevi racconti (Roberta Russo); la segnalazione di materiali e strumenti culturali in ambito musicale (Daniele Lippi), cinematografico (Pier Mario Mignone), librario (Maria Grazia Tibaldi). Conclude il volume un rimando agli itinerari formativi (“Conformi all’immagine del figlio.”Itinerari di formazione per laici adulti” (voll. I, II, III, IV), Roma 1995/98, Ave) offerti in questi anni dal settore Adulti di Aci (mons.Tino Mariani).

L’ipertesto

A partire dal contenuto del libro è stato realizzato l’ipertesto “Sei parole per il Giubileo” (praticamente un mini-sito consultabile con il consueto browser del computer).

Istruzioni:

  • scaricare sul computer il file GIUBILEO.ZIP contenente l’ipertesto;
  • scompattare il file (doppio clic);
  • eseguire l’ipertesto facendo doppio clic su “giubileo.htm” all’interno della cartella “giubileo”.

In attesa di una profezia d’amore

L’Atrio dei Gentili, l’Azione Cattolica di Fossano e l’Editrice Esperienze, con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Fossano, propongono quattro appuntamenti sul tema “In attesa di una profezia d’amore”.

Nella società che va in frantumi, mentre i rapporti con le persone si stanno spesso scompaginando e mentre tra le vicende esistenziali ci si smarrisce, emerge sempre più urgente il bisogno di essere accolti, accettati, aiutati, riconciliati.

Programma

Materiali

  • Materiale di lavoro per l’incontro “La ferita dell’olocausto” (PDF)

Registrazioni

Don Bruno Maggioni: “Il Dio della tenerezza”

Concerto di Massimo Bubola

Presentazione

Le Associazioni Culturali “L’Atrio dei Gentili” e “Musica Viva” organizzano l’incontro “Parole & Musica”, che avrà come protagonista il cantautore Massimo Bubola.

Come recita il titolo della serata, non sarà un semplice concerto, ma l’occasione di sentirsi raccontare – con le canzoni ma anche nel dialogo con un intervistatore e con il pubblico – i piccoli e grandi fatti di una vita, i desideri, i sogni, gli ideali, le delusioni, insomma tutto ciò che crea emozioni e quindi può diventare canzone.

La serata si svolgerà sabato 28 novembre 1998 alle ore 20,45 nell’Aula Magna dell’Itis “G.Vallauri”, in via S.Michele 83, a Fossano. L’ingresso è gratuito.

Scheda su Massimo Bubola

Massimo Bubola, originario della provincia di Verona, ha inciso il suo primo disco, dal titolo “Nastro Giallo”, nel 1976 ma ha raggiunto la popolarità grazie alle sue collaborazioni con Fabrizio De Andrè, di cui è stato coautore nei dischi “Rimini” e “Fabrizio De Andrè”. Sono sue canzoni come “Sally”, “Una storia sbagliata”, “don Raffaè”. Ha scritto canzoni per Milva, Cristiano De Andrè e Fiorella Mannoia, che ha portato al successo alcuni tra i pezzi più famosi di Bubola, come “Il cielo d’Irlanda”, “Camicie rosse”, “I venti del cuore”. Come produttore ha curato lavori di Cristiano De Andrè, Kaballà, The Gang, Estra.

l suo ultimo lavoro, dal titolo “Mon Tresor”, edito da alcuni mesi, conferma le sue doti di autore e musicista: 13 pezzi molto belli e dall’ispirazione varia: si va dai riferimenti a personaggi famosi (“Dino Campana”) a richiami di luoghi solo in parte ideali (“Svegliati S. Giovanni”); tuttavia il tema ricorrente nei testi è l’amore con le sue mille sfaccettature (“Addio & goodbye”, “Ma non ho te”, “Spegni la luce”), mai reso in maniera banale. C’è anche spazio per le storie come “Cuori ribelli” e “Corvi”, due canzoni di lotta, e per una preghiera “Davanti a te”.

Rassegna stampa

Articolo pubblicato su “La Fedeltà” del 2 dicembre 1998

Massimo Bubola
l’uomo e l’artista

Erano più di trecento le persone che hanno assistito, sabato scorso, all’incontro con Massimo Bubola organizzato dalle associazioni “Musica Viva” e “L’Atrio dei Gentili”.

In un clima di profondo ascolto, il cantautore veronese ha raccontato il suo rapporto con la poesia e la musica, rispondendo alle domande di un intervistatore e del pubblico ed offrendo una performance di quasi tre ore, da solo sul palco con chitarre ed armonica.

Ci ha raccontato piccole e grandi storie di dolore che sono entrate nelle sue canzoni, dalle guerre combattute con lo scopo di cancellare interi popoli e culture (gli indiani di Fiume St. Creek, i Bosniaci di Corvi) alle vicende personali, come la morte del fratello a 12 anni (Un doppio lungo addio) o la perdita di un amore (Niente passa invano).

Si è identificato negli eterni studenti e sognatori che hanno seguito per il mondo Giuseppe Garibaldi (Camicie rosse), ci ha fatto ripensare con ironia ad estemporanei eventi di casa nostra raccontandoci la storia di un gruppetto di texani che lo scorso anno si barricò in un capanno dichiarando guerra agli Stati Uniti e proclamando l’indipendenza del proprio stato (Cuori ribelli).

Attraverso canzoni come Davanti a te e Quello che non ho Bubola ha parlato di sé come credente, dei suoi incontri con le esperienze monastiche, della sua consuetudine con i testi biblici.

Ovviamente ampio spazio è stato dedicato alle sue canzoni più famose, quelle che solitamente vengono attribuite all’estro di De André, mentre in realtà Bubola ne è autore o almeno coautore, da Sally – scritta al Liceo durante un’ora di inglese – a Quello che non ho, da Don Raffaè a Hotel Supramonte, a Volta la carta.

Per molti, comunque, la lieta scoperta di alcune canzoni mai ascoltate che meriterebbero sicuramente altrettanto successo: Dove scendono le stradeUn angelo in meno, la bellissima Tre rose.

Insomma una serata in cui il pubblico – un certo numero di “aficionados”, ma per lo più persone che conoscevano poco o nulla del cantautore ospite – ha potuto scoprire o riscoprire un artista dalle ottime qualità vocali, capace di far “rendere” musicalmente con il solo contributo di voce, chitarra e armonica anche brani di rock puro e di coinvolgere profondamente con le proprie canzoni.

Il tono colloquiale, le battute scherzose, la disponibilità a raccontare i percorsi più o meno tortuosi della propria vita, gli ideali, le disillusioni hanno comunque permesso alla platea di apprezzare in Massimo Bubola non solo l’artista ma anche l’uomo, che si è rivelato profondo conoscitore della poesia e puntuale osservatore delle vicende storiche contemporanee.

Molto soddisfatti della serata gli organizzatori per il numero di spettatori presenti ma soprattutto perché – come ha commentato all’uscita una ragazza di Asti – una serata come questa permette di apprezzare nel protagonista qualcosa che va oltre l’esibizione, lo spettacolo, e perché apre alla riflessione su temi e aspetti della vita che non sono “di moda” o per cui si fatica a trovare le parole per comunicarli senza scadere nel banale: la bellezza, la spiritualità, l’amore, la morte.

Per chi volesse conoscere più da vicino il cantautore veronese, ricordiamo che è attivo in provincia un “Massimo Bubola fan club” a Dogliani e che il suo ultimo CD in vendita da alcuni mesi si intitola “Mon Tresor“.


Articolo pubblicato su “La Piazza Grande” del 4 dicembre 1998

Bubola. parole e musica
A proposito dell’incontro con il cantautore veneto

Dino Campana e Fedor Dostoevskij. All’uno e all’altro, Massimo Bubola ha dedicato due delle sue (tante) canzoni. Le ha anche cantate, sabato scorso all’Itis, chitarra in mano, armonica a bocca e camicia bianca, in una serata che forse, ad un certo punto, è sfuggita di mano – in senso più che positivo – un po’ a tutti, a lui Massimo Bubola per primo: “Non mi era mai successa una cosa così” ha comunicato, con la sua voce forte, calda e gradevole, e quell’espressione candida, un po’ stupefatta, difficilmente rinvenibile nel volto di un qualsiasi adulto.

E sì che la proposta dell’Atrio dei Gentili e Musica viva doveva essere un qualcosa di spurio, mix di parole, musica, canzoni, racconto autobiografico: ma ad un certo punto, il pubblico, davvero numeroso, oltre che appartenente a tutte le fasce d’età, è entrato a viva forza nel concerto, subissando Bubola di richieste, quasi tutte esaudite, nonchè di domande. Massimo Bubola, dal canto suo, al gioco c’è stato: ha cantato molto, moltissimo. Per poi raccontarsi, tra un “pezzo” e l’altro: quasi un monologo interiore, quello di Massimo Bubola, un flusso di parole guidato più dalle emozioni, dalla memoria, e come tale soggetto a sfilacciamenti, battute d’arresto, ripensamenti, passaggi talvolta “arditi”, non sempre logici. Inevitabile, quando si parla di amore, morte, dolore, bene, male, bellezza (“sono un po’ socratico: per me la bellezza coincide con la bontà”), Dio, fede, pace, guerra, sogni. Chi è, in fondo, Massimo Bubola? “Sono una persona assolutamente normale. Quando mi trovo con gli amici scherzo, dico sciocchezze”. E’ uno che non sopporta la banalità, intendendo per banalità “la calunnia, il basso pettegolezzo”, che fugge le “solitudini rumorose” del giorno d’oggi, i “supplementi” (tv, cellulari), la celebrità, l’illogica secondo la quale “più vendi, più sei bravo”. Portando sempre in cuore l’insegnamento di suo padre che, quando gli mise in mano Mallarmé per la prima volta, gli consigliò vivamente di evitare di voler capirci troppo, rischiando così di ammazzare l’essenza stessa della poesia. Fedele a ciò, Bubola canta la vita, alieno da ogni cerebralismo, riflessione estenuante o qualsivoglia interpretazione.

Tra quanto è rimasto inespresso, da parte del pubblico – soprattutto per questioni di tempo -, ci siano concesse due note personali. Al di là delle gabbianelle e gatti Zorba, forse forse bisognerebbe andarci cauti ad etichettare Luis Sepulveda come “New Age”. “Il vecchio che leggeva romanzi d’amore”, ad esempio, non mi pare rientri troppo nel genere. E poi, siamo proprio sicuri che, in generale, quando uno non ha niente di meglio da fare compone canzoni d’amore? Viene quasi il dubbio che Bubola non abbia mai ascoltato “E ti vengo a cercare” o “La cura” di Franco Battiato: non sono proprio cose “campate” là. O, forse, molto più semplicemente, certe situazioni (il pubblico, il palco) ti portano a fare certe affermazioni un po’ tagliate con l’accetta. Tipiche, comunque, dei caratteri e delle personalità mai banali e travolgenti.

Chiara Vergano

Concittadini dei santi e famigliari di Dio

Pensare e amare la Chiesa

Seminario speciale

Fossano, 19 aprile 1998

Il cristianesimo nasce lì
dove il palo fu piantato
“sul cranio di Adamo”
e qualcuno, a pochi passi da lì,
trovò vuota la tomba.

S. DIANICH, Il Messia sconfitto.
L’enigma della morte di Gesù , Piemme, 214.

Qualche testo per approfondire

  • B. HARING, II coraggio di una svolta nella Chiesa, Queriniana.
  • L. SARTORI, Per una teologia in Italia. Scritti scelti , Vol. III, EMP.
  • M. KEHL, Dove va la Chiesa? Una diagnosi del nostro tempo , Queriniana.
  • U. NERI, Ho creduto perciò ho parlato. L’intelligenza della fede , EDB.

1. Il luogo della riflessione sulla Chiesa

I fase: l’identità definisce l’appartenenza

II fase: l’appartenenza definisce l’identità
cortocircuito
introduzione della soggettività e della storicità

ORA (da Vaticano II) abbandono della dialettica appartenenza/identità
(rischi) e introduzione del tema “segno del Regno” (l’alterità della storia)

Ma: struttura e autorità sono pensati e costruiti in termini di appartenenza/identità

2. Movimenti nella Chiesa o della Chiesa?

La struttura è territoriale, non in sè, ma perché legata ad una organizzazione territoriale dell’autorità (il Vescovo, in termini giuridici, si chiama “ordinario del luogo”).

Ma questo rischia di non rispondere alle esigenze dell’dentità della fede e nascono i “movimenti”; ma la vera questione è il loro legame alla autorità.

3. Verso una autorità eucaristica

4. Pensare e agire la Tradizione

Lectio: Mt 26,26-29

Materiali

  • Schema del seminario (PDF)

Registrazioni

Introduzione di Stella Morra

La speranza non muore, ma dove sta?

L’Atrio dei Gentili, l’Azione Cattolica di Fossano e l’Editrice Esperienze, con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Fossano, propongono tre appuntamenti sul tema “La speranza non muore, ma dove sta?” per riflettere sull’uscita dalle tante crisi di oggi.

Misurarsi sulla qualità della speranza

Dietro le quinte della paura

Mentre è in corso il conto alla rovescia che scandisce l’arrivo imminente dell’anno 2000, sembra riproporsi con forza ed anche con confusione un tema cruciale per la vita di ciascuno. Si tratta della speranza, che è spesso messa alle corde, ma che è anche una risorsa sorprendente oltreché una prospettiva interessante. Non mancano, sulla frontiera della speranza, i segnali confortanti, le testimonianze forti, le risposte profetiche. Ma ci sono pure tante incertezze, tante fragilità, tante paure. Da uomini e da credenti diventa urgente misurarsi sulla tenuta e sul rilancio della speranza appunto, sul suo spessore, sulla sua qualità.

Magari si fa pure doverosa una riflessione sulle storture o le vie traverse in cui la speranza può finire, con delusioni e frustrazioni, se non sconfitte che pesano.

Con questo intento l’Editrice Esperienze, l’Atrio dei Gentili e l’Azione Cattolica di Fossano hanno predisposto tre momenti di approfondimento, di ascolto e di confronto, partendo dalla speranza e ritornando alla speranza.

Programma

Lunedì 9 marzo 1998 ore 20:45
Sperare da cristiani alle soglie del 2000
mons. Pino Scabini
assistente nazionale MEIC e docente della Pontificia Università del Laterano.

Venerdì 20 marzo 1998 ore 20:45
Affidare la speranza alle nuove religiosità?
prof. Walter Maccantelli
collaboratore del CESNUR (Centro Studi Nuove Religiosità).

Venerdì 27 marzo 1998 ore 20:45
La speranza nasce nel buio dopo la violenza (testimonianza)
Rita Borsellino, sorella del giudice Paolo Borsellino
vice-presidente dell’Associazione Libera (contro le mafie).

In cerca di una mappa…

Povertà, castità, obbedienza: verso una regola di vita

Fossano, 7 febbraio 1998

“L’attività di lettura presenta, al contrario, tutti i tratti di una produzione silenziosa: movimento di deriva attraverso la pagina, metamorfosi del testo da parte dell’occhio che la percorre viaggiando, improvvisazione e attesa di significati indotti da qualche parola, scavalcamento degli spazi scritti, effimera danza. Ma, inadatto all’accumulazione (salvo nel caso scriva o «annoti»), il lettore non garantisce se stesso dall’usura del tempo (egli dimentica sè leggendo e dimentica ciò che ha letto), se non attraverso l’acquisto di un oggetto (libro, immagine) che non è altro che l’ersatz (la traccia o la promessa) di istanti «perduti» a leggere. Insinua le astuzie del piacere e di una riappropriazione nel testo dell’altro: egli ne diventa bracconiere, ne è trasportato, si fa plurale come dei rumori del corpo. Rumore, metafora, attività combinatoria, anche questa produzione è una «invenzione»di memoria. Essa fa delle parole il tessuto di storie mute. Il leggibile si muta in memorabile: Barthes legge Proust nel testo di Stendhal; lo spettatore legge il paesaggio della sua infanzia in un reportage di attualità. La sottile pellicola dello scritto diventa un movimento di strati, un gioco di spazi. Un mondo diverso (quello del lettore) si introduce nel luogo dell’autore.”

M. DE CERTEAU, L’invention du quotidien, tomo I, Arts de faire, Paris, 1980, p. 24.

Qualche dato storico

Distinzione tra precetto e consiglio

  • registro della gratuità
  • funzionano come eccedenze critiche

Croce degli interpreti: il giovane ricco

Al loro fissarsi in tre (XII-XIII sec) non si presentano come un contenuto esaustivo del Vangelo: sono piuttosto una struttura offerta all’esistenza evangelica, creare nell’uomo uno spazio in cui il discorso della montagna abbia uno sviluppo ideale

L’immagine

La memoria come attività di lettura

“Pensiamo alla azione che compiamo leggendo: scorriamo un testo, che è prodotto da un altro, dal suo pensiero, dal suo mondo, o, meglio, è il segno sulla carta che il mondo di un altro ha lasciato. E’ come la fissazione di un gesto, fotografia che blocca l’attimo di un movimento. Leggendo, rimettiamo in movimento il testo, con l’inserire questo “momento” di un altro nello scorrere della nostra vita: leggiamo con il nostro passato e ci porteremo dietro da lì in poi, comunque, anche se lo dimentichiamo, quello che abbiamo letto. E produciamo in noi stessi, a partire dalla lettura, qualcosa di nuovo che non sapevamo di possedere e che, a volte, siamo convinti sia nel testo, ma poi non lo ritroviamo!

La lettura è dunque una operazione: non un dato, nè un concetto: invece una successione di atti concatenati, che operano tanto su materiale esterno a noi (il testo e il mondo del suo autore attraverso esso), quanto su materiale della nostra interiorità (il nostro passato, il nostro sapere, le nostre domande….). La nostra interiorità diventa il laboratorio di questa operazione.

La figura della lettura è buona trama con cui cominciare a parlare della memoria; anch’essa è una operazione, non un dato, nè un concetto, non un “qualcosa”, un oggetto: è invece una successione di atti complessi il cui laboratorio è la nostra interiorità o, nel caso di una memoria collettiva, è “l’interiorità comune”, la capacità di comunità o gruppi di elaborare continuamente i dati esterni (il testo di una regola, gli scritti sul carisma, il mondo e la vita secondo lo Spirito del fondatore) e i dati interni (la vita quotidiana delle comunità, i problemi che si trovano ad incontrare nella storia….).

Altro dato fondamentale è che la memoria agisce su un arco di tempo, un paradigma generativo, dal passato per la produzione del futuro: un segno, una traccia del passato ci raggiunge, e nel suo raggiungerci ritrova vita, la nostra vita, nel presente, e attraverso questo diventa un elemento di costruzione del futuro.

L’arco di tempo che viene così ricollegato dall’operazione della memoria diventa, in un qualche modo, compresente: passato e futuro si incontrano in un presente che è il nostro, e la memoria funziona come paradigma generativo.” 

Ma memoria di che? Memoria del Battesimo

nel presente: la povertà

“Questa appropriazione non è solo una operazione descrittiva: non si tratta cioè semplicemente di sapere (o peggio ancora di dire) di sè, anche se già questa è una attitudine non così diffusa nella nostra situazione odierna. Si tratta piuttosto di coniugare il sè, la dinamica psichica del presente, con la sua radice spirituale, quella che la teologia classica chiama la coscienza del proprio stato di creaturalità. Questa coniugazione ci è offerta nella mediazione possibile del consiglio della povertà: il nostro presente, che è l’unico territorio che ci è dato per assumere in pienezza e con responsabilità le legge della perfetta carità, è insieme segnato dalla limitazione della nostra condizione di creature, che è la nostra povertà radicale e fontale. Non siamo Dio, e da Lui dipendiamo, radicalmente.”

nel passato: l’obbedienza

“L’accettazione nell’obbedienza di un dato che ci raggiunge dall’esterno, come altrove elaborato, e che chiama a reintegrazione di sè, come esperienza non di disperante autoritarismo, ma di discernimento possibile, tutto questo si presenta come il luogo concreto e storico dove si riceve il passato del carisma, come passato vivente e non museale, e incarnato dalle persone che sono chiamate a farne testimonianza.”

nel futuro: la castità

“Qui la forma descrittiva prende la forma della progettualità volontaristica che, pare, altro non ci sia dato rispetto al futuro che di esprimere pie intenzioni. Ma più interessante sembra invece la prospettiva offertaci dal paradigma della castità, capacità e virtù del fermarsi sulla soglia del mistero che non ci appartiene, concretizzata dal fermarsi sulla soglia del mistero dell’altro, senza violarlo, neppure per amore.

Esercizio di discrezione sul mistero come coniugazione del desiderio/progetto che in forma di impegno esprimiamo su un futuro che non ci appartiene e della sua radice teologica, il riconoscimento della Signoria totale di Dio sul tempo, sulla storia, sui progetti. L’appropriazione del futuro si esprime come desiderio discreto, vibrazione del cuore e della volontà che sa di non avere in sè la possibilità di compiersi.” 

fedeintelletto
scienza
consiglio
puri di cuore
coloro che piangono
misericordiosi
castità
speranzatimor di Dio
fortezza
poveri in spirito
affamati di giustizia
perseguitati
povertà
caritàpietà
sapienza
miti
operatori di pace
obbedienza

“Chi si lascia guidare dai doni dello Spirito Santo si può paragonare a una nave che voga a piene vele, con il vento in poppa; chi invece si lascia guidare dalle sue sole virtù e non dai doni, a una scialuppa che si fa avanzare a forza di remi, con più lentezza e molta maggior fatica e rumore”.

L. LALLEMANT, La dottrina spirituale

Lectio

  • Mt 19,16-30

Materiali e registrazioni

  • Schema di lavoro (PDF)
  • Un brano di Erri de Luca sulla castità (PDF)
Introduzione di Stella Morra
Lectio Mt 19,16-30