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Il rapporto tra cattolicesimo e modernità

Gruppo del venerdì
Maggio 2003

Vi è stato, dapprima, un irrigidimento del cristianesimo rispetto al mutare dei tempi. La teologia, cercando un’espressione culturalmente “esatta” della fede cristiana e provocata dalle questioni poste dagli uomini e dalle donne della modernità, ha avuto il coraggio di mettersi in gioco, fino in un certo senso a far vacillare lo stesso edificio istituzionale della chiesa, e condurla così alla riforma di Vaticano II.

Il peso sulla coscienza dell’individuo, segnato solo dal senso del peccato originale e dall’ossessione del tema della salvezza, aveva determinato un orizzonte triste. Da questo era nata la rigidità di verità da credere e di doveri da praticare.

Il cristiano era stato inoltre privato nei secoli della consolazione delle Scritture che avrebbero mitigato il quadro complessivo” dominato da un mondo sacerdotale la cui autorità veniva dal fatto che era il solo capace di perdonare i peccati e garantire così la salvezza, il solo a dire il vero con autorità. In questa cornice, l’unica sorgente vitale era la tenerezza dei santi ancora viventi e l’intercessione di quelli che erano morti.

Non ci si è più chiesto come il cristianesimo potesse ”mutare” per adeguarsi al mutamento. Infatti non c’è in assoluto una forma giusta e permanente, le verità eterne di Dio hanno nella storia le forme che quella storia richiede.

La grande questione che la modernità ha insegnato al cristianesimo è che il problema della inculturazione della fede in un tempo è questione tutta interna, altrimenti nella staticità si genera un universo teologico triste.

Un possibile riassunto di temi per costruire una uscita da questa situazione:

a) riaprire la teologia cristiana al campo del simbolico. In tale dimensione i due momenti più significanti diventano il nascere ed il morire, momenti che l’individuo non può controllare. Proprio su questo terreno si desidera la trasgressione. Il nascere, aspetto del creare; il morire, aspetto della distruzione: amore e violenza, con il sesso come momento simbolico privilegiato. Il simbolo valorizza e privilegia la dimensione evocativa del linguaggio attraverso l’uso dei gesti, rispetto al linguaggio della definizione.

La liturgia è il campo della relazione simbolica con Dio. Si potrebbe dire semplicemente “della relazione”, perché, quando si parla di Dio, l’espressione e, in generale la religione, possono essere altro che simboliche? C’è prima di tutto una coscienza nuova del soggetto autentico della liturgia: una comunità (strutturata certamente) in stato d’invocazione, cioè di slancio simbolico verso Dio, dal quale riceve (o in vista del quale pratica) uno slancio simbolico fra i suoi membri. All’interno di questa comunità simbolica fondamentale che è la chiesa, le parole ed i gesti, che hanno prima di tutto valore verso Dio e verso gli uomini, hanno anche valore evocativo, cioè suggeriscono, riproducono, la grande simbolica di Dio con gli uomini in Gesù Cristo, oggetto non anzitutto di conoscenza dottrinale, ma di racconto, di testimonianza e di fede; hanno infine valore di impulso etico nella misura in cui celebrano la morte e la risurrezione del Cristo in favore di tutti gli uomini.

b) riaprire la teologia cristiana alla dimensione storica della fede, ossia alla dimensione sia della realtà storica, sia della conoscenza del tempo, ossia ancora rafforzare la riscoperta del simbolo con quella della storia. Predicare, scoprire l’uomo servendo la verità.

“Ciò vale prima di tutto per la Sacra Scrittura; la grande questione qui è il riconoscimento di diverse storicità: quella dei cammini umani attraverso e lungo i quali si è manifestato ed attuato il disegno di salvezza di Dio; quella della vita autenticamente umana di Gesù di Nazareth, nella sua relazione con Dio Padre, con se stesso e con gli uomini che veniva a evangelizzare; quella della chiesa, essenzialmente articolata con la storia umana, distinta da essa, ma non separata, e alla quale è dato il tempo senza dubbio per predicare il Vangelo ovunque ci siano degli uomini, ma anche per scoprire l’uomo e la comunità nella loro verità immanente e di fronte a Dio e servirli”.

c) ambientare le forme istituzionali, sia a livello di pensiero, sia nella pratica, entro le forme istituzionali che le comunità umane hanno elaborato, compreso l’orizzonte democratico che negli ultimi due secoli ha avuto un’importanza crescente sul palcoscenico della storia.

La questione è quindi quella della piena comprensione del fenomeno storico, di come si formano le volontà collettive, soprattutto sul terreno delle organizzazioni sopranazionali in vista di un governo del mondo nella sua complessità.

Rispetto alla vita interna della chiesa, il rapporto con la democrazia fa rileggere la storia superando la visione pessimistica che si è avuta da Gregorio VII in poi. Il pessimismo nei confronti della salvezza non corrisponde più alla visione dell’uomo moderno. Il Concilio Vaticano II ha dato inizio al lavoro di revisione; sul piano canonico si registra ancora un ritardo che potrebbe manifestarsi pericoloso.

d) introdurre nei rapporti tra ragione e fede il rispetto della competenza dell’una e della trascendenza dell’altra, ristabilire un equilibrio creativo e reciproco tra le due, uscendo dalla ossessione della razionalizzazione e guardandosi dal rischio dello spiritualismo, evitare gi estrinsecismi, ridare misura, luogo e ruolo all’uso di ragione e all’affidamento al mistero che oggi rischiamo di vivere come giustapposti.