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Storia della Chiesa (XIII)

Gruppo del venerdì
Aprile 2002

Riforma protestante e riforma cattolica: ho già detto che questo è un nodo centralissimo.

Le cose di cui ci stiamo occupando ruotano attorno ad un’idea che è quella di vedere come tutta una serie di elementi che per noi sono “la chiesa cattolica”, forme, modi, prassi, modelli, abitudini di fare le cose, in realtà sono l’articolazione di un alfabeto che comincia intorno al 900, al 1000 e hanno una parabola della quale noi siamo al fondo, che raggiunge il suo massimo di organizzazione e di sistemazione più efficace tra il 1300 e il 1500, tra la nascita delle università e la Riforma. Qui sta tutta una parte creativa in cui l’esperienza credente, che per una serie di secoli è stata un’esperienza poco più che personale, e comunque di circoli di persone, poi si è mano a mano articolata dentro le realtà sociali, e acquista quella che noi chiameremmo una “visibilità sociale e istituzionale compiuta” tra il 1000 e il 1300 e dà i suoi frutti migliori tra il 1300 e il 1500, e non è un caso che questi siano i secoli d’oro della teologia, quella che poi si userà fino al Concilio Vaticano II, quasi invariata.

Il 1500, con il Concilio di Trento, è il punto massimo di produzione positiva di  creatività e, contemporaneamente, tutto viene cristallizzato e congelato, e nulla si potrà più “inventare”.

Dal 1500 al Vaticano II la discesa è costante. Si aggiungeranno tuttavia molte cose nuove in termini di visibilità: prassi, devozioni, usi. La struttura però resta  immobile e tutto casca dentro un quadro percepito come solido e antichissimo e che è quello che proviene dal decimo secolo.

La cosa è dimostrata dal fatto che moltissime di queste cose aggiunte, anche alla fine dell’ottocento, vengono percepite come se fossero esistite da sempre. Questo succede perché si sono piazzate via via dentro uno schema percepito come antico; ad esempio la prassi reale di un clero ufficialmente celibatario che avviene alla fine del 1700 e viene percepita come esistita da sempre. Oppure tutti gli elementi di devozione, come il Rosario, l’Adorazione eucaristica, che nascono  verso il XVII secolo e sono chiamati devotio moderna e per quasi un secolo sono guardati con estremo sospetto, come una stranissima innovazione e la prassi della comunione ai bambini molto piccoli, con la festa della prima comunione, risale alla fine dell’ottocento, mentre noi la percepiamo come sempre esistita. 

Tutto viene inserito in questo quadro immobile e non c’è una creatività reale capace di spostarlo.

Dal cinquecento in poi la fissazione è totale e avviene intorno a due questioni: 1) l’idea, allora totalmente nuova, di governo della Chiesa, cioè del fatto che fosse necessaria un’autorità nelle chiese e che questa autorità abbia anche delle contropartite, delle forme storiche, sociali, visibili e che questa autorità vada esercitata in modo centralizzato per cui si sappia chi deve decidere e che cosa. Questa innovazione, che risale, di fatto, al cinquecento a noi sembra uno degli elementi genetici della Chiesa Cattolica, una delle cose che la caratterizzano.

2) Quella che si chiama “la centralizzazione romana”, cioè la costituzione di un certo ruolo del Romano Pontefice, la formalizzazione di questa idea, il percepire che è così e non può essere che così, proprio come lo riteniamo oggi, anche questo scaturisce nel ‘500 e, data la sua importanza, bloccherà tutto.

Nella misura in cui si ha un’autorità centralizzata e questa autorità comincia ad avere diritto di parola su tutto e non ci sono ancora meccanismi, prassi, di come si deve fare, si ricorre alle scomuniche.

Si attuano in seguito delle prassi che sono prassi di governo, come quello della Curia, ecc.

Originariamente i cardinali erano i parroci di alcune chiese basilicali di Roma: nessuno avrebbe accettato un  potere di governo universale da parte di un vescovo, in questo caso del Vescovo di Roma, il Papa, perciò si diceva che era la Chiesa di Roma ad avere questo primato, dunque c’era il Vescovo di Roma con il suo presbiterio di parroci. Questo nasce con un’idea di base di collegialità rispetto all’autorità personale del Vescovo di Roma.

(Oggi viene invertita la prassi: prima viene nominato il cardinale, poi gli si dà il titolo di una basilica romana).