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Storia della Chiesa (IX)

Gruppo del venerdì
Dicembre 2001

Abbiamo considerato fino a qui alcuni grandi elementi della forma che la cristianità va progressivamente prendendo, di pari passo con la propria espansione e crescita di una solidità strutturale. In particolare abbiamo visto la questione della organizzazione per arre territoriali, la centralizzazione dell’autorità, la formalizzazione della liturgia, ed altro.

Vorremmo ora considerare tre elementi di crisi di tutto ciò, che sono rappresentati dalla nascita e espansione degli ordini dei predicatori, dalla repressione della eresia e dalla lotta verso i nemici esterni, in special modo ebrei e mussulmani.

Questi tre elementi, realmente critici rispetto alla forma che si è conformata dal VII secolo in poi, che si è andata progressivamente consolidando, sono i tre grandi elementi che creano veramente un problema reale e, per alcuni versi, un problema che in qualche modo resta irrisolto.

Il Concilio Vaticano II, di fatto, chiuderà con alcune di queste istanze, la famosa Nostra aetate con la questione degli ebrei, la scelta del rifiuto delle condanne, con la Gaudium et spes che riprende delle istanze originarie e anche alcuni discorsi della Lumen gentium, e con la questione del riposizionamento dei religiosi, della fine dell’accentramento romano degli ordini religiosi, ecc. Di fatto si chiudono i conti, ma non si risolve il problema. La forma attuale in cui il problema si sta riproponendo, è stata evidentissima all’ultimo sinodo dei vescovi, è una domanda ormai tematizzata sulla stessa questione che si è posta alla fine del grande periodo di effervescenze di cui stiamo parlando, con la crisi conciliatorista, tra il 1100 e il 1300, cioè la questione chiave sulla struttura della chiesa.

Questo periodo di effervescenza, questi tre grandi fattori, e tutti i secoli che sono seguiti, con oscillazioni di vario tipo, fanno sì che si purifichi la domanda: si capisce finalmente qual è il problema. Il problema è: la forma della chiesa.

Questo è un periodo fondamentale per capire quali sono le forme della crisi, anche oggi. Cioè: perché la forma di chiesa, che tuttavia ha retto per sette secoli, è una forma che pone dei problemi e che li lascia comunque irrisolti? Per esempio, è una forma dotata di un concetto di autorità personale inappellabile, centralizzata sul romano pontefice, fino al dogma dell’infallibilità.

Di queste tre questioni è interessante che una, la lotta con ebrei e mussulmani, è esterna per definizione: è come se intorno al 1200 si fosse consumata l’operazione di confessionalizzazione, cioè come se la differenza tra cristianesimo come eresia del giudaismo e cristianesimo come nuova religione fosse totalmente costruita. Il cristianesimo è oramai definitivamente un’altra cosa: non ha più il problema di essere confuso o di autoconfondersi. E dunque ha i giudei come interlocutore.

La questione delle eresie è un problema interno, invece, che diventa esterno, cioè che viene espulso: non si affronta, non si governa e si definisce come “fuori” ciò che non si può o non si vuole riconoscere come parte problematica della identità.

Gli ordini religiosi sono un problema interno, che, invece, rimane interno. Che viene metabolizzato all’interno della forma e diventa costitutivo (e perfino definitorio) dell’identità.

Sono i tre punti di attacco, cioè: uno di fronte, uno di dentro che diventa poi nemico, uno di dentro che rimane dentro.

 

La questione giudaica è una questione abbastanza antica; è l’antisemitismo di origine religiosa. Fino alla fine del 1200, inizio 1300, si era sempre presentato come un’espressione occasionale, usata come strumento di controllo sociale (quando non si sapeva più come governare il malcontento del popolo, si dava la colpa agli ebrei). E’ una forma occasionale, tematicamente percorsa, non ideologizzata, legata ad alcune situazioni, a fatti specifici, ecc. All’inizio del 1300 c’è un salto di qualità rispetto alla questione dei giudei, nel senso che i giudei socialmente, economicamente, politicamente, e anche religiosamente, non sono più sopportabili: sono un’alterità che per la sua stessa esistenza discute la forma che il cristianesimo ha preso.

Questo non solo perché i nascenti stati nazionali escludono gli ebrei dal possesso delle terre, ma anche per la questione del sapere. I due filoni praticabili dai giudei, infatti, che non comportano il possesso di beni stabili, sono la finanza e il commercio e tutte le professioni intellettuali e del sapere. Questo comincia a creare un problema nel momento in cui, per esempio, le università assumono una visibilità, in cui c’è  il problema di controllo della chiesa sull’università della conoscenza. Quello che era stato inventato come escamotage, per tagliare fuori gli ebrei da quello che era percepito come il centro del potere, nel momento in cui la realtà si sposta e il centro del potere si sposta altrove, diventa il luogo di una nuova e rischiosa centralità e quelli che si trovavano alla periferia si ritrovano centrali. Nel mondo feudale essere senza terra voleva dire non essere nessuno; in un mondo effervescente, cittadino, attivo nelle università, il commercio, il denaro e il sapere diventano le nuove chiavi del potere.

Cominciano così una serie di provvedimenti, tra cui l’istituzione del ghetto che, paradossalmente, nasce a Roma per proteggere gli ebrei dall’ira popolare, ecc. Infatti era diventato uno specie di “sport nazionale” il dare la caccia all’ebreo. Ma rimangono presenti voci contrastanti rispetto a questa nuova ideologia: San Bernardo, ad esempio, conduce una violentissima campagna contro l’antisemitismo.

Il III e il IV concilio  lateranense, che da questo punto di vista sono veramente pesanti, per la prima volta prendono misure che, teoricamente vengono imposte a tutti i cattolici, come misure di difesa.

Si comincia ad espellere gli ebrei da alcuni paesi e i procedimenti di espulsione si moltiplicheranno fino al 1492, nascita dell’Evo Moderno per il mondo ebraico, non per la scoperta dell’America, ma per il rogo dei Talmud e l’espulsione dalla Spagna.

Dal XIII secolo in poi si aggravano le misure contro gli ebrei. Si può citare una varia aneddotica. Per esempio: il Lateranense obbliga la comunità degli ebrei romani a sottoporsi, ogni venerdì, ad una predica obbligatoria, nelle chiese delle predicazioni obbligatorie che stavano ai quattro angoli del ghetto; tutti i maschi ebrei dovevano andare a sentire questa predica denigratoria contro gli ebrei. Pare che molti di loro avessero preso l’abitudine di andarvi con le orecchie piene di cera, per non sentire, per cui fu istituito un corpo di nobili romani che dovevano andare ad ispezionare le orecchie degli ebrei alle predicazioni. I vicari di Colonia instaurano l’abitudine per la quale il Venerdì Santo il rabbino capo della comunità ebraica della città doveva andare nella cattedrale a farsi schiaffeggiare pubblicamente durante la funzione, e così via.

Questi sono i primi esperimenti di una tattica che sarà molto percorsa, cioè quella di oggettivare, su un oggetto esterno, il disagio di una struttura che non riesce ad equilibrarsi all’interno. L’ebraismo è, per il mondo cristiano di quel momento, il soggetto ideale, perché è il fratello, cioè l’ombra: è tutto ciò che noi siamo, ma non esattamente tutto ciò che noi siamo. Soprattutto il mondo ebraico ha una grande colpa agli occhi della cristianità che si sta strutturando, ed è quella di essere sopravissuto apparentemente senza una struttura. La dispersione, senza una struttura centralizzata, la non territorialità, la mancanza di una forma di chiesa: questa è esattamente la memoria che la cristianità che si organizza tenta di cancellare. Questo è il segno del peccato: poiché sono deicidi, agli ebrei non è data nemmeno una chiesa.

 

Il secondo filone problematico è quello della cosiddetta protesta evangelica, quello cioè degli eretici. Dal punto di vista storico questa è una questione molto delicata, per una serie di motivi: di tutti costoro è stata operata una specie di damnatio memoriae, per cui tutti i documenti sono stati bruciati e noi ne abbiamo notizia dagli scritti di coloro che li hanno condannati. Con il privilegio che diamo al fatto che questi sicuramente ne parlavano troppo male il risultato è che spesso storicamente li abbiamo idealizzati. E’ molto difficile capire come sono andate esattamente alcune cose. I più grandi di questi movimenti hanno una memoria storica più assodata, come i Valdesi, o Albigesi, come venivano chiamati dai cattolici. Questo è un periodo di grande effervescenza, di cui non abbiamo notizie molto ampie: un’effervescenza che, come tutte le effervescenze, ha probabilmente raccolto anche una serie di questioni strampalate, di nevrotici o mattarelloni: piuttosto ingovernabile, anche dal punto di vista della lettura storica.

Ci sono almeno tre grossi filoni che possono essere individuati, seppure con forme molto disperse.

Uno è quello di Valdo e dei poveri di Lione, che ha una forma analoga alla questione francescana, ma accade in Francia, anziché nella Marca Pontificia, a cavallo del periodo che segna anche la questione di Avignone, la cosiddetta cattività avignonese. Qui si ha anche l’innescarsi di una serie di questioni, intrecci politici, geografici, di antipatie verso i cardinali francesi, ecc. che fanno fare a questa vicenda un percorso molto diverso da quello che sarà quella del francescanesimo. Ma dal punto di vista simbolico, strutturale, l’idea era analoga: un ritorno alla povertà evangelica, una responsabilità diretta rispetto all’Evangelo, il superamento dell’idea di appartenenza. Non il rifiuto all’obbedienza al romano pontefice, (che all’inizio non fa problema né a Valdo, né a Francesco), ma uno spostamento del ruolo del romano pontefice. La fede è una questione delle vite delle persone, dunque: la povertà, la questione del Vangelo senza mediazione, il rifiuto della necessità di autorizzazione per predicare, la centralizzazione del sacerdozio universale, ecc.

Nella questione valdese i rapporti si guastano quasi subito, per via della questione francese, del peso dei cardinali francesi nella corte romana, che volendo strafare nella difesa creano una serie di reazioni: la polemica si inasprisce, vengono richieste condizioni inaccettabili da una parte e dall’altra, per cui la cosa slitta sull’esterno.

Il secondo filone è quello “apocalittico”, non molto diffuso, ma l’unico documentato in modo preciso: l’idea di un mondo migliore, concreto (la rivolta di T.Munzer, le città che vengono prese e riorganizzate secondo la legge evangelica,ecc. Interessante, da questo punto di vista, è il romanzo di L. Blisset che si intitola Q ); riformare i rapporti, l’uso del denaro, il lavoro, le leggi, ecc. C’è una nettissima tendenza a ripensare una forma di chiesa molto diretta: quello che noi oggi chiameremmo messianismo storico, con una forma più o meno ingenua, più o meno fondamentalista, non tanto sui temi dell’organizzazione ecclesiale, quanto sulle cose. L’idea è che i tempi sono compiuti, il cristianesimo è instaurato dovunque, è stato predicato fino ai confini del mondo: questo è il Regno di Dio, non c’è altro da aspettare. Tutto questo, in un tempo di passaggio e di crisi come quello che stanno vivendo, nel quale la società feudale è finita, non sono ancora del tutto conformati gli stati nazionali, con confusione e incertezza nell’orientamento delle cose, diventa una miccia. Molti hanno la sensazione che si è trovata la risposta a tutti i problemi: Questo filone è forse quello numericamente più forte, ma più disperso, che non trova una coordinazione, molto legato a esperienze locali. Il fenomeno è molto diffuso nella marca tedesca.

Il terzo filone viene normalmente identificato come quello dei Catari. E’ l’unico filone veramente ereticale, dal punto di vista dei contenuti e delle dottrine, mentre i filoni valdese e apocalittico mantengono un impianto strutturalmente cristiano e diventano scismatici nelle forme. L’eresia catara nasce sulla questione della “perfezione”. E’ un filone che, periodicamente, nell’esperienza del cristianesimo, si ripropone. E’ la questione dei “migliori”, dei “puri”. Per di più, la grande questione tipica del cristianesimo, molto delicata, del rapporto tra impegno e grazia, tra salvezza come dono e salvezza raggiunta, si continua a porre. Su questo tema i catari hanno una posizione sostanzialmente ereticale, una concezione dualistica di bene e di male e si schierano dalla parte del bene condannando una serie di cose, come il matrimonio e il corpo. E’ l’eterna tentazione del cristianesimo: quello della chiesa dei puri, della perfezione.

Ci sono poi gli ordini religiosi, gli ordini mendicanti. Quelli che datano questo periodo sono sostanzialmente due: i Francescani e i Domenicani. Nascono da due istanze diverse, entrambi molto forti in quel momento. Quella di Francesco si rifà al Vangelo come esperienza liberante di pace, di gioia, di perdono; un cristianesimo lieve, puro, semplice, povero. I domenicani, in qualche modo, sono l’altra faccia della ricerca della riforma: l’idea dell’insegnamento, della predicazione (pensare, capire, studiare e spiegare). L’incontro con la questione dell’eresia albigese fa sì che diventino poi l’inquisizione. San Domenico, prima di fondare l’Ordine dei Domenicani, era un canonico regolare, mentre Francesco era, e rimane, un laico. Le due istanze rappresentano già i due modi di vedere il problema: da parte di uno che è dentro la struttura (la parte migliore, in quel momento, della struttura) e un battezzato, scapestrato convertito all’evangelo, che vede il problema di alleggerire la coscienza dei poveri. Questa è un’altra questione molto forte della forma della cristianità, verissima fino ad oggi. La questione è che gli addetti ai lavori vedono dei problemi che non sono falsi, ma non sono gli stessi problemi che vedono i battezzati normali, anche rispetto all’eventuale fedeltà all’Evangelo.

Questa è la situazione come si comincia a conformare: questi tre filoni pongono un problema rispetto alla forma della cristianità e lo pongono in modo radicale. Il tentativo della cristianità di autodifendersi sarà la repressione dell’eresia da una parte e la grande crisi conciliatorista dall’altra, cioè la crisi di quella parte dei vescovi che riconoscono l’istanza più positiva di queste ricerche di riforma, richieste che nascono dalla vita; si arriva alla grande domanda se ha maggiore autorità nella chiesa un concilio o un papa. E questa è una domanda che rimarrà aperta per molti secoli.