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17 Dicembre 2022
Stella Morra

3. Essere giusti?

Commento a: Sal 91


Riprendiamo il nostro percorso, stavamo lasciando risuonare la Parola intorno al tema della preghiera con quel titolo strano, “Mano respiro parola: la carne dell’incontro” perché l’idea era di uscire un po’ da schematismi troppo rigidi della preghiera che fanno corrispondere a certi comportamenti, tipi di parole o atteggiamenti la preghiera come se tutto il resto non lo fosse. Oppure, teoricamente diciamo: “no ma tutto può essere preghiera” però poi come se non riuscissimo a ritrovarci in un gusto di preghiera fatto di incontro, di una carne dell’incontro, cioè della vita com’è, delle cose del tempo, dei nostri movimenti interiori ed esteriori, delle cose che accadono. Il tentativo è quello di andare in qualche modo a cercare un senso paradossalmente semplice e profondo di questa realtà che è in qualche modo “mano respiro e parola”, cioè prende le forme del nostro essere al mondo.

Il punto di partenza della riflessione che abbiamo compiuto è un testo molto amato e percorso dall’Atrio, Tobia (Tb 3, 1-17); una preghiera di questo genere si radica in un desiderio, che è il punto di partenza. Però in quel testo il desiderio di Tobia era un desiderio di morire, un desiderio disperato e stanco che ci prende quando facciamo un’esperienza per cui  tutte le nostre risorse, intelligenza organizzazione e scelte, sembrano portare solo sterilità oppure, come nel racconto di Tobia, cadaveri. L’incontro con Dio nasce in questa distanza, nell’esperienza di ciò che noi siamo, e non siamo poco, siamo molto. Siamo progetti, possibilità di fare il bene, di fare secondo giustizia e questo ci tocca, ci spetta, ma noi questo lo viviamo come la nostra vita. Poi la distanza tra questo e il desiderio che ci muove, che è sempre una misura extra large rispetto alle nostre vite che finiscono per sembrare small, per questo uno dei problemi tipici degli adolescenti è “prego solo quando ho bisogno di qualcosa, non è giusto, bisognerebbe pregare gratuitamente”. invece è giusto perché semplicemente è la verità. È la sovrabbondanza rispetto a tutto ciò che possiamo percorrere con le nostre mani, il nostro respiro o le nostre parole. C’è un punto dove le cose non bastano e nasce un desiderio, che spesso è un desiderio di distruzione, di dire basta così, mi arrendo, sono arrivato, ho fatto tutto quello che potevo, l’ho fatto secondo il mio meglio e più in là di così non riesco ad andare.

Poi abbiamo visto il secondo passaggio (1 Re 19, 1-21) ed è che la realtà ci dice qualcosa; Elia fa l’esperienza di perdere quando vince, quando la sua mano sconfigge i sacerdoti dei Baal, e lui si trova da solo, anche lui misurato col desiderio di morire. C’è una grazia che lo raggiunge, il pane e il sonno gli dicono mangia e dormi perché lunga è la strada per il monte di Dio. Ci sarà poi quello strano e misterioso incontro con Dio che non risolve niente, per cui il versetto precedente all’incontro e il versetto seguente sono identici. Non cambia nulla, ma Elia attraversa questo desiderio, il suo desiderio, con la forza di quel pane e di quel sonno. Dovremmo dire che lo attraversa con un’altra forza perché la realtà gli ha detto qualcosa. È la realtà dei profeti di Baal, è la realtà di chi non lo capisce, del fatto che lo perseguitano perché è rimasto solo lui, come dice lui stesso. È la ricerca di un luogo dove potere ancora appoggiare i piedi e ricominciare a camminare, e gli vengono dati pane e riposo perché possa di nuovo camminare.

 

La lectio di oggi

Così arriviamo al testo che vi vorrei proporre oggi, sono abbastanza in dubbio perché per un verso questo testo per me risuona moltissimo.Mi è molto chiaro e mi è anche molto chiara la logica nei due passaggi che abbiamo detto. Dall’altra parte non sono affatto sicura di riuscire ad esprimerlo, anzi, mi sembra un passaggio delicato e molto difficile da spiegare quindi provo a condividerlo con voi e poi non so bene se ci riuscirò.

Il testo è il Salmo 91 ed è un salto di livello. C’è un desiderio, tutte le nostre vite sono abitate da un desiderio che supera la nostra capacità, e c’è la realtà che ci dà dei segnali che in genere sono di grammatica rovesciata, cioè la realtà molto spesso reagisce al contrario di come ci saremmo aspettati. Solo a scuola se uno fa tutti i compiti giusti gli danno dieci, nemmeno sempre, ma nella vita tu fai tutti i compiti giusti e a volte prendi tre, oppure dieci, oppure sei, perché la vita non funziona. Tu ti impegni ma questo non significa automaticamente che sei soddisfatto e contento e felice, anzi, spesso la grammatica è rovesciata, il rimando che la realtà ti manda è il contrario. Allora c’è un salto di livello che è il salto di una carne di incontro, cioè di un luogo dove succede un qualcosa che non è totalmente spiegabile, che succede dentro di noi e ci fa fare un salto in più. Ci fa entrare in un’altra dimensione che non è a nostra disposizione, che non possiamo semplicemente costruire ma che ci si offre come una grazia. Qui, credo, possiamo capirlo bene pensando ai nostri rapporti con le persone importanti, che ci accompagnano da tanti anni, per esempio figli, mariti, amici, genitori. Sono rapporti per cui ad un certo punto per tanti motivi (a volte senza motivo) ci rendiamo conto che quel rapporto lì è noi, non sappiamo bene spiegare perché, anzi, spesso gli altri ci dicono “lascia perdere, non è logico, stai mettendo troppe energie in quella cosa”, ma non possiamo lasciare perdere perché quella cosa lì è un passaggio, è una sintonia, una comprensione reciproca, è un essere presente l’uno all’altro di cui non vorremmo più fare a meno e non sappiamo bene neanche perché. C’è un punto in cui l’altro si mostra e ci incontra e questo è sempre un po’ frutto di un certo impegno, ma anche di una grande grazia. È chiaro che bisogna un po’ coltivare le amicizie, gli amori, gli affetti, in alcuni tempi bisogna coltivarli molto, ma c’è anche una grazia che è data senza motivo, una sintonia, un incontrarsi che semplicemente accade.

Il Salmo 91 per me dice questa cosa qua ed ho scelto un testo come questo, un Salmo, perché è lui stesso una preghiera, un paradigma di ciò di cui stiamo parlando e lo è nella forma della poesia, cioè mette in moto l’immaginazione. Questo Salmo è stato tradotto in un canto liturgico abbastanza famoso e tutte le volte che lo sento cantare, ad esempio a Pra ‘d Mill, l’immaginazione si mette in moto dentro di me come se ogni volta potessi masticare questo Salmo, sentirne lo spessore ed il sapore. Contemporaneamente, possiamo un po’ smontarlo e lavorarci ma ricordando che è una poesia, che ci mette su un altro livello dove lo smontarlo intellettualmente è solo un pezzo ma poi ci va altro, ci va cuore, gusto, sonorità.

 

Il testo: Sal 91

1 Tu che abiti al riparo dell’Altissimo
e dimori all’ombra dell’Onnipotente,
2 dì al Signore: «Mio rifugio e mia fortezza,
mio Dio, in cui confido».
3 Egli ti libererà dal laccio del cacciatore,
dalla peste che distrugge.
4 Ti coprirà con le sue penne
sotto le sue ali troverai rifugio.
5 La sua fedeltà ti sarà scudo e corazza;
non temerai i terrori della notte
né la freccia che vola di giorno,
6 la peste che vaga nelle tenebre,
lo sterminio che devasta a mezzogiorno.
7 Mille cadranno al tuo fianco
e diecimila alla tua destra;
ma nulla ti potrà colpire.
8 Solo che tu guardi, con i tuoi occhi
vedrai il castigo degli empi.
9 Poiché tuo rifugio è il Signore
e hai fatto dell’Altissimo la tua dimora,
10 non ti potrà colpire la sventura,
nessun colpo cadrà sulla tua tenda.
11 Egli darà ordine ai suoi angeli
di custodirti in tutti i tuoi passi.
12 Sulle loro mani ti porteranno
perché non inciampi nella pietra il tuo piede.
13 Camminerai su aspidi e vipere,
schiaccerai leoni e draghi.
14 Lo salverò, perché a me si è affidato;
lo esalterò, perché ha conosciuto il mio nome.
15 Mi invocherà e gli darò risposta;
presso di lui sarò nella sventura,
lo salverò e lo renderò glorioso.
16 Lo sazierò di lunghi giorni
e gli mostrerò la mia salvezza.

 

Commento:

1 Tu che abiti al riparo dell’Altissimo
e dimori all’ombra dell’Onnipotente,
2 dì al Signore: «Mio rifugio e mia fortezza,
mio Dio, in cui confido».

L’inizio è già travolgente. Abbiamo due immagini che ricorrono per tutta la prima metà del Salmo e costruiscono anche delle inclusioni letterarie (ora non le approfondiamo ma non sono casuali) che sono l’abitare e l’idea di rifugio. Abitare, dimorare, essere rifugio, trovare rifugio, cosa c’è di più di questo per sentirsi a casa? Sentirsi a casa è proprio l’esperienza di avere un luogo sulla terra che è il mio luogo, dove io sono al mondo senza bisogno di difendermi, con l’anima in pantofole, dove posso chiudere la porta e lasciare il mondo fuori. Oppure, dove posso fare della mia casa un luogo di accoglienza, aprendo la porta e offrendo casa a chi non ce l’ha, ma questo suppone che io sia una casa, che io abiti in un luogo, che io abbia un rifugio. Credo che tutti abbiamo fatto l’esperienza, come ho fatto io recentemente, in cui stai in ospedale o in clinica, trattata benissimo in una situazione oggettivamente confortevole ,e trattata con grande affetto, ma tutti diciamo “non è casa”, quando torni a casa è un’altra cosa. Ma perché? In clinica era tuto previsto per aiutarmi…sì, ma non è casa mia

1 Tu che abiti al riparo dell’Altissimo
e dimori all’ombra dell’Onnipotente,

Nel mondo antico, soprattutto in un mondo caldo come quello dove questi testi sono nati, abitare all’ombra dell’Onnipotente significa il massimo dell’essere al mondo in un luogo confortevole, essere al riparo. Le case antiche non avevano porte, c’erano dei teli o poco più e c’era sempre qualcuno che doveva vegliare di notte per via delle bestie feroci o perché nessuno entrasse. Abitare al riparo dell’Altissimo e dimorare all’ombra dell’Onnipotente vuol dire essere a casa propria con Costui.

2 dì al Signore: «Mio rifugio e mia fortezza,
mio Dio, in cui confido».
3 Egli ti libererà dal laccio del cacciatore,
dalla peste che distrugge.

Mio rifugio e mia fortezza, perché questo? Perché ti libererà dal laccio del cacciatore e dalla peste che distrugge. È molto interessante perché i due primi rischi che sono segnalati sono la cattiveria degli altri e il male senza motivo. Il cacciatore è colui che dà la caccia, è uno cattivo che vuole imprigionarti e fare di te una preda. C’è una possibile cattiveria di altri e c’è anche una possibile peste che distrugge, che non è cattiveria di nessuno, soprattutto nel mondo antico pre-scientifico. È il Covid, ciò che è quasi invisibile, che ci raggiunge senza motivo. I testi apocalittici: uno sarà preso e l’altro sarà lasciato, uno sarà tolto l’altro continuerà a vivere senza una distinzione di merito, di efficacia o di giustizia. Non so se riesco a trasmettere la potenza del suono di questa cosa: in poche righe si dice tutto un mondo, si dice tutta un’esperienza profonda di noi e del nostro essere al mondo.

Poi c’è un’immagine tenerissima:
4 Ti coprirà con le sue penne
sotto le sue ali troverai rifugio.

È lo sguardo di chi è abituato ad avere animali da cortile attorno ai piedi, ti coprirà con le sue penne come fanno le chiocce con i pulcini e troverai rifugio sotto le sue ali, è un’immagine tenerissima. Torna ancora il termine rifugio che punteggia tutta questa prima parte. A fronte del desiderio di morire e della grammatica rovesciata della realtà la grande domanda è quella di un rifugio. Sarà che in questo periodo mi sento molto stanca dentro, credo per molti di noi sia così, sentendo così poche energie profonde l’idea di un rifugio è proprio il massimo. Un posto dove mettersi sotto il piumino e stare lì dove nessuno ti raggiunge, magari con un po’ di scorzette al cioccolato.

5 La sua fedeltà ti sarà scudo e corazza;
non temerai i terrori della notte
né la freccia che vola di giorno,
6 la peste che vaga nelle tenebre,
lo sterminio che devasta a mezzogiorno.

Anche qui basta fermarsi un poco nelle parole e lasciarle risuonare. Ciò che ci fa da scudo e da corazza è la fedeltà di colui che è il nostro interlocutore. Anche questo lo sappiamo bene dalle esperienze umane che viviamo. Se coloro che amiamo rimangono accanto a noi e rimangono fedeli, con loro siamo in grado di affrontare più o meno tutto. Poi, non è divertente e possiamo fare fatica ma ce la si fa, la fedeltà di coloro che amiamo e da cui siamo amati è uno scudo e una corazza. Il tradimento di coloro che amiamo o da cui siamo amati rende insapore ed incolore anche le cose belle e questa fedeltà ,che è scudo e corazza, toglie la paura nel tempo. I terrori nella notte, la freccia di giorno, la peste nelle tenebre, lo sterminio a mezzogiorno, non c’è più l’ora della paura. Il senso profondo di rifugio è che non c’è più l’ora della paura. Manuela racconta spesso di quando raccontava una storia alla sua nipotina quando era piccola, ad un certo punto si è resa conto che la storia era diventata troppo paurosa e lei era troppo spaventata allora si è fermata e le ha detto: “vuoi che cambiamo storia? Ti fa troppo paura?”, e lei l’ha guardata con un’aria come per dire che i grandi non capiscono proprio niente ed ha risposto: “no, dammi la mano e continua la storia”. Non temerai i terrori della notte, la freccia di giorno, la peste nelle tenebre e lo sterminio che devasta a mezzogiorno. Tutte queste paure sono usate con i verbi della realtà, ci sono e continuano ad esserci, ma “dammi la mano e continua la storia” perché la paura non ha consistenza.

7 Mille cadranno al tuo fianco
e diecimila alla tua destra;
ma nulla ti potrà colpire.

L’immagine qua è da supereroe, in mezzo alla battaglia tutti cadono e muoiono ma nulla ti potrà colpire. Invincibile e intoccabile. Anche questa è un’immagine infantile e anche irrealistica, perché poi non è vero e la vita ci colpisce tante volte, alcune la prendiamo un po’ meglio altre un po’ peggio ma la vita ci raggiunge, non siamo né invincibili, né intoccabili.

Poi, c’è questa frase che insieme ai versetti 9 e 10 segna la rottura dell’inclusione, cioè della costruzione letteraria della prima parte che è tutta un crescendo fino a questi versetti e poi gira.

Il versetto 8 mi fa tanto arrabbiare:

8 Solo che tu guardi, con i tuoi occhi
vedrai il castigo degli empi.

È proprio l’esagerazione di portare al massimo l’apparente illogicità e irrealtà di questo testo. Col cavolo che basta guardare per vedere il castigo degli empi, trovo molto più realisti i Salmi che dicono che l’empio prospera, infatti “da quel giorno Erode e Pilato divennero amici”. Guardando possiamo vedere che l’empio prospera e nessuno lo ferma perché ci vanno energia, coraggio, prezzi personali per fermare gli empi.

I versetti 9 e 10 riprendono:

9 Poiché tuo rifugio è il Signore
e hai fatto dell’Altissimo la tua dimora,
10 non ti potrà colpire la sventura,
nessun colpo cadrà sulla tua tenda.

È la chiusura di tutto questo grande inizio, di questa prima parte del Salmo che su un piano poetico ci dice: “fai del Signore la tua casa, fai di questo incontro il tuo rifugio, stai lì sotto quella fedeltà perché così ce la puoi fare”. Tutto diventa chiaro: c’è un rifugio, c’è un luogo dove stare. Al fondo di questa prima metà arriviamo con la domanda: “va bene ma non è vero, anzi, è particolarmente falso”, ed ecco che ci sono gli ultimi versetti che danno la svolta.

11 Egli darà ordine ai suoi angeli
di custodirti in tutti i tuoi passi.
12 Sulle loro mani ti porteranno
perché non inciampi nella pietra il tuo piede.
13 Camminerai su aspidi e vipere,
schiaccerai leoni e draghi.
14 Lo salverò, perché a me si è affidato;
lo esalterò, perché ha conosciuto il mio nome.
15 Mi invocherà e gli darò risposta;
presso di lui sarò nella sventura,
lo salverò e lo renderò glorioso.
16 Lo sazierò di lunghi giorni
e gli mostrerò la mia salvezza.

Quest’ultima parte ci sposta. Di fronte alla questione “ma tutto questo è irreale” ci viene proposta una logica di angeli, cioè ci viene detto: “infatti, mica darò ordine ai nemici di morire o di diventare buoni e di convertirsi, darò ordine agli angeli perché ti sostengano e perché il tuo piede non inciampi”. È su un altro piano, è dentro un’altra logica ed è in questa altra logica che veniamo attirati, chiamati. Una delle mie grandi esperienze di preghiera è quella di chiedermi alla sera quanti e quali angeli ho incontrato. Se uno comincia ad esercitarsi un po’ scopre che ne incontriamo molti ogni giorno e che forse dieci volte al giorno il nostro piede ancora inciampa ma senza quegli angeli sarebbe inciampato venti volte. Perché ciò che non accade non lo valutiamo, siamo custoditi in tutti i nostri passi. In questa fase sono molto ricettiva su queste cose, tipo la lettura di domenica: “irrobustite le ginocchia fiacche”, capisco di cosa si parla… Così qui, custodirti in tutti i tuoi passi quando il passo è incerto, essere custoditi nei passi, camminare su aspidi e vipere, leoni e draghi. Qui si dice chiaramente che mentre gli angeli bisogna sforzarsi di vederli, gli scorpioni le vipere i leoni e i draghi no, di quelli ce ne sono tanti e si vedono, bisogna farsi coraggio per camminarci sopra, per essere più forti di loro.

14 Lo salverò, perché a me si è affidato;
lo esalterò, perché ha conosciuto il mio nome.

Qui c’è il grande segreto, che non è un segreto: l’unico motivo per cui lo salverò non è perché se lo merita, è giusto, è corretto, ma perché me lo ha chiesto, perché ha bisogno di me. Questa è l’esperienza che ciascuno di noi fa quando ama qualcuno, me ne occupo perché ne ha bisogno, è molto semplice. Non so se lo merita o no, ma ne ha bisogno.

14 Lo salverò, perché a me si è affidato;
lo esalterò, perché ha conosciuto il mio nome.
15 Mi invocherà e gli darò risposta;
presso di lui sarò nella sventura,
lo salverò e lo renderò glorioso.


Tutta la prima parte dice che noi abitiamo presso Dio, in questo incontro, poi qui si dice che Dio abita presso di noi. È un bel Salmo per prepararsi al Natale.

presso di lui sarò nella sventura,
lo salverò e lo renderò glorioso.
16 Lo sazierò di lunghi giorni
e gli mostrerò la mia salvezza.

Il problema di ogni rapporto amoroso con qualcun altro è che in genere ci vogliono così bene che ci regalano la loro salvezza e facciamo fatica nei rapporti amorosi umani ad accettare che la misura della salvezza è quella che l’altro percepisce, che non coincide mai esattamente con ciò che io percepisco, come la mia salvezza, con ciò che vorrei. Ci va tempo, lo sappiamo tutti, vita condivisa, intimità quotidiana per trovare una misura. Si passa in genere attraverso il grande dolore dello sperimentare che in certe occasioni, l’altro mi offre il meglio che ha e per me non è abbastanza o non è niente o viceversa, io gli offro quello che ho e rischia di non essere niente. La domanda dunque diventa quella del titolo della Lectio: essere giusti?

Questo Salmo butta tutto all’aria: la questione della preghiera non ha niente a che vedere con la giustizia nel senso classico del tema, dell’essere corretti, coerenti piuttosto che buoni. Questo fa parte della nostra vita, della lettura di via, del campare un giorno dopo l’altro, dell’avere bisogno di forze ed energia per andare avanti, del cercare di essere un po’ giusti rispetto agli altri e a sé stessi. Questo fa parte del nostro quotidiano. Qui c’è un altro livello che è un nuovo punto della poesia, cioè è il luogo in cui essere giusti significa abitare conoscere e ricevere dall’altro ciò che l’altro mi dà. Abitare questo incontro, conoscerlo e stare lì, sotto questa fedeltà.

Dubito fortemente di essere riuscita ad esprimere ciò che volevo esprimere. Trovo questo testo un testo molto prezioso ed anche lo trovo una scuola di preghiera, forse uno dei modi migliori di pregare è entrare in questa logica un po’ poetica, un po’ illogica che lascia salire a galla il desiderio e la fatica e i messaggi più o meno confusi della realtà, ma poi li acquieta sotto una fedeltà.

Fossano, 17 dicembre 2022
Testo non rivisto dall’autore


A conclusione della Lectio, Stella Morra ha citato questa poesia di Alda Merini:

Bambino

Bambino, se trovi l’aquilone della tua fantasia
legalo con l’intelligenza del cuore.
Vedrai sorgere giardini incantati
e tua madre diventerà una pianta
che ti coprirà con le sue foglie.
Fa’ delle tue mani due bianche colombe
e portino la pace ovunque
e l’ordine delle cose.
Ma prima di imparare a scrivere
guardati nell’acqua del sentimento

Lectio 2022/2023

DataTitoloCommento a:
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