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Scritto il 11 Maggio 2003

“Quando le sculture parlano”: Fede con Arte 2003

“Quando le sculture parlano”: Fede con Arte 2003

Ascoltando le opere di Rodin

Domenica 11 maggio 2003 ore 20:45
Chiesa della SS. Trinità – Fossano

Lo spettacolo è stato realizzato con il contributo della
Fondazione Cassa di Risparmio di Fossano

Il testo e le immagini dello spettacolo

multivisione di Roberto Tibaldi
Studio fotografico IMMAGINARE – Bra

testi a cura di Stella Morra
scelte musicali di
 Maria Penna

musiche:
Sir Malcom Arnold “Dances”
Charles Gounod “Faust”

leggono i testi:
Marco Manzini e Manuela Celestino

coordinamento tecnico:
Romina Testa

Direzione artistica:
Elisabetta Baro

Presentazione

Vi proponiamo, questa sera, di compiere con noi un viaggio. L’occasione saranno le sculture di Auguste Rodin, artista vissuto nella seconda metà dell’ottocento e nei primi anni del novecento. Come per ogni viaggio, però, bisogna ricordare che saranno davvero solo un’occasione, un pre-testo. Non ci interessa “spiegare” Rodin, non sarà una lezione di storia dell’arte. Piuttosto vogliamo guardare dentro noi stessi e trovare parole e immagini per dire qualcosa che non sappiamo di saper dire e che, siamo convinti, ci accomuna e ci consente di riconoscerci.

Rodin è stato una figura assai controversa, un miscuglio complesso di grande talento, genialità, pessimo carattere, irrequietezza, relazioni umane dense e confuse, ricche e instabili. In questo è figura e immagine del nostro tempo e di noi: ci piacerebbe essere una cosa sola, capire una volta per tutte della realtà e delle persone se sono bianche o nere, buone o cattive. Invece, siamo molte cose insieme, il mondo e gli altri sono una cosa e l’altra, vicini e lontani, affascinanti e irritanti, buoni e malvagi…

E allora? L’unica conclusione possibile è un passivo e distaccato cinismo? L’unica strada è ritirarsi nella salvaguardia di sé?

Noi scommettiamo di no e vorremmo mostrarvi perché.

Rodin e il suo tempo

Sono gli anni della crisi dell’uno, della crisi dell’idea di totalità e di ordine; è la nascita dei molti, dei diversi, dei soggetti che hanno interessi divergenti. La fine di un tempo organizzato, socialmente e mentalmente, come una gerarchia e l’inizio di un tempo che sempre più diventa una galassia, fatta di universi non collegati che hanno ognuno il proprio centro e la propria forza di gravità.

Nostalgia di una forma, o dell’innocenza

L’Età del bronzo: figura a lungo rimodellata, come spesso ha fatto Rodin, e che ha cambiato titolo tante volte (Uomo che si risveglia alla natura, Uomo primitivo, Il vincitore…). Alla fine questa figura ideale e reale insieme, di una perfezione e bellezza che non sembrano finte, ma vive, desiderabili, reali, trova pace nel nome di una mitica età della classicità e della nascita delle umane capacità di forgiare il metallo e con esso la natura, il destino, la storia. E’ un movimento quieto, una solidità mobile, un insieme dei contrari.

E accanto, il Pensatore: una forza raccolta, una energia tutta interiore. Comincia a svanire la perfezione del corpo a favore di una complessità e interezza di sguardo: è l’insieme che ci colpisce, la sua posizione, il senso di densità di pensiero ed energia e insieme la quiete, la pace, la sospensione.

Che nostalgia, che desiderio… essere capaci di essere così, quietamente pieni e raccolti, stare presso di sé in una densità di pensiero, alzarsi al giorno e alla vita reggendo i contrari della nostra esistenza in una armonia di forme perfette… ritrovare una proprio unità, una capacità di dire “io” e di dirlo con innocenza e verità.

Avere una forma, una e una sola, che ci consenta di essere visti e raggiunti dagli altri come siamo e dove siamo, senza oscillazioni, senza instabilità…

Io sono sempre stata come sono
Anche quando non ero come sono
E non saprà nessuno come sono
Perché non sono solo come sono.

[Patrizia Valduga, Quartine seconda centuria, Einaudi]

Io ho creduto in te, sicuro di poter credere nella vita del Mondo (io che sempre ragazzo, non posso, nella mia solitaria gioia, gioire di ciò che non è in me) fuori di me, fermo rapito, davanti ai tuoi campi e borghi che ancora non conosco, e dei tuoi uomini mescolati al sole, tenero nel capirti, duro nell’amarti, in chiarori e nebbie che sempre mi nascondevano il tuo vero, beato, lontano esistere. Schiavo dei primi giorni, delle prime sere del mio destino di ragazzo senza né Cristo né Mondo, ti amavo e diventavo cattivo.

[Pier Paolo Pasolini, La nuova gioventù, Einaudi]

Realtà di una storia, o del dramma

Ma la storia, la nostra personale, gli anni e i giorni che passano, ma anche quella comune, la grande storia, ci raggiunge e ci colpisce nel nostro innocente desiderio di unità e quiete. Lasciamoci condurre ancora da Rodin…

I Borghesi di Calais: il gruppo bronzeo, composto da sei personaggi leggermente sovradimensionati, commemora uno degli atti più eroici della storia di Francia: la consegna delle chiavi della città a Edoardo III, il 3 agosto 1347, perché levasse l’assedio che, da undici mesi, affamava gli abitanti di Calais. Edoardo III esige che “sei fra i maggiori notabili della città, a piedi nudi, la corda al collo, le chiavi della città e del castello” consegnino con le loro stesse mani; aggiunge: “E farò di essi la mia volontà”.

E Rodin ci mostra una sconfitta, figura di tutte le sconfitte possibili, che ha tutte le sue facce.

Come ci dice Rainer Maria Rilke:

“Creò il vecchio dalle braccia pendule, infiacchite nelle articolazioni, attribuendogli il passo pesante e strascicato, il passo abituale dei vecchi, e un’espressione di fatica che scivola sul viso fin nella barba.

Creò l’uomo che reca la chiave. In lui c’è ancora vita per molti anni, e tutto ciò è compresso nella sua ultima ora. Fatica a sopportarlo. Le labbra sono serrate, le mani mordono la chiave. Ha messo a fuoco la sua forza, che ora si consuma in lui, nella sua ostinazione.

Creò l’uomo che si tiene il capo fra le mani come in un gesto di raccoglimento, come per essere solo ancora un istante.

Creò i due fratelli, uno dei quali guarda ancora indietro, mentre l’altro abbassa la testa in atteggiamento di risolutezza e sottomissione, come se già si offrisse al carnefice.

E creò il gesto vago di quest’uomo che “attraversa soltanto la vita”. “Il passante”, lo ha definito Gustave Geffroy. Già se ne va, ma si volge ancora indietro, non verso la città, non verso quelli che piangono, né verso quelli che lo accompagnano. Si volge indietro, verso se stesso. Il braccio destro si alza, si piega, vacilla…”.

Le sconfitte sono per noi segnate dai molti volti che ci abitano, dalle nostre anime che consegnano le proprie chiavi ad altri, ci sentiamo espropriati e prigionieri, con tutte le nostre reazioni possibili (sentirci vecchi, o consumati nella forza, o raccolti, o volgendoci indietro…); siamo comunque chiamati a porre il nostro centro altrove, a consegnarci.

E’ forse questa la radice profonda di ciò che viviamo come una sconfitta?

Ma ci sono altri attentati alla nostra unità innocente e armonica: sono quelli che vengono da dentro di noi, come ben ci mostra questo ritratto di Victor Hugo: sono i fantasmi che produciamo nella nostra mente, nel nostro capire e sentire le cose, il mondo e gli altri. E’ forse il nostro sentire che trasforma in mostri ciò che esiste? La radice profonda del male è dunque solo dentro di noi?

Rodin ancora ci conduce ad un passo in più: guardiamo questa opera che ha attraversato tanti anni della produzione dell’artista e che si chiama “La porta dell’inferno” con un richiamo a Dante. E’ un’opera che era stata pensata per un luogo preciso, rielaborata per vent’anni, utilizzando anche come particolari opere precedenti, composta da ben 186 figure, e mai finita, e che mai ha trovato collocazione nel luogo per cui era stata pensata.

L’origine del male è una porta, un passaggio? Le sconfitte fuori di noi e i fantasmi dentro di noi si incontrano in un luogo di passaggio, una soglia, una porta affollata di personaggi. Abitiamo questa soglia, lì giochiamo la nostra vita, tra ciò che ci accade e ciò che sentiamo essere la più profonda verità di noi. E’ come se il nostro tempo dovesse essere speso nel regolare il transito, l’ingresso e l’uscita da questa porta. In questo “regolare” nascono il bene e il male, nella combinazione del nostro sguardo interno che guarda fuori di noi e del fuori di noi che vuole diventare noi…

E allora noi vili
che amavamo la sera
bisbigliante, le case,
i sentieri sul fiume
le luci rosse e sporche
di quei luoghi, il dolore
addolcito e taciuto –
noi strappammo le mani
dalla viva catena
e tacemmo, ma il cuore
ci sussultò di sangue,
e non fu più dolcezza,
non fu più abbandonarsi
al sentiero sul fiume –,
non più servi, sapemmo
di essere soli e vivi.

[Cesare Pavese, La terra e la morte
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, Einaudi]

Feriti, arsi, dilaniati
da queste Tue forme
irraggiungibili;
una ad una
cadute le speranze
sotto l’arco di queste
stagioni inesorabili, lungo
le dolcissime riviere;
mentre è sentita consumarsi
la carne
nell’attesa
di inattuali paci.

La pena è d’aver creduto,
udito un messaggio
necessario, che promette e non muta
nulla di questa
arrischiata avventura;
speranza che ti lascia
in balìa di una scelta
cieca, di una
vocazione
inevitabile.

[David Maria Turoldo, O sensi miei]

Intermezzo: il volto di donna dell’età adulta

Ci serve un dato nuovo, una nuova traccia per poter proseguire il nostro viaggio: altrimenti, schiacciati dalla complessità, non avremmo altra via di uscita che la rassegnazione o il cinismo. In Rodin, sono le figure di donne che lo conducono altrove, che gli fanno ritrovare una forza creatrice e una potenza vitale, un segreto e misterioso luogo di nascita e di coraggio. Nella sua vita personale il rapporto con le donne è stato sempre complesso, passionale, inquieto, forse alla ricerca di carpire questa segreta origine della vita. Una figura certamente dominante è stata Camille Claudel, sorella del più famoso Paul, e proprio una scultura di quest’ultima ci aiuta, anche questa realizzata in più versioni, sotto vari titoli e con varie spiegazioni…

Noi la consideriamo come “L’età matura”: ci sono una donna giovane, un uomo vecchio e una figura oscura, è un vortice di vento, un movimento; è una separazione, un distacco. C’è uno strappo, c’è qualcosa che se ne va e l’impossibilità di trattenerlo. Forse è la morte che sta trascinando con sé il vecchio Rodin, portandolo via alla giovane Camille.

Ma è, ai nostri occhi, la vita che resta se lasciamo andare ciò che ci chiede di separarci, è il segno di ciò che bisogna fare di fronte alle fatiche dell’età adulta: lasciare andare la nostalgia di perfezione e armonia facili e artificiali e avere il coraggio di abitare la vita com’è, avere il coraggio di averne cura, di nutrirla con un ventre di donna.

L’età adulta è la capacità di lasciare andare, di separarsi, di distaccarsi, anche da sé, di fare un passo indietro guardando i propri desideri e le proprie sconfitte, i propri fantasmi da lontano, per non farsene travolgere, per poterli chiamare per nome.

E poi, come una donna, nutrire ciò che deve vivere, lasciare andare ciò che è un inutile peso…

Anima, perduta anima, cara,
io non so come chiederti perdono,
perché la mente è muta e tanto chiara
e vede tanto chiaro cosa sono,
che non sa più parole, anima cara,
la mente che non merita perdono,
e sto muta sull’orlo della vita
per darla a te, per mantenerti in vita.

[Patrizia Valduga, Requiem, Einaudi]

Devota come ramo
curvato da molte nevi
allegra come falò
per colline d’oblio,
su acutissime làmine
in bianca maglia d’ortiche,
ti insegnerò mia anima,
questo passo d’addio…

[Cristina Campo, La tigre assenza]

Solo le mani

Come si fa a fare questo, a nutrire e curare quella vita che c’è, gli affetti, le persone, le cose, come sono, nella loro semplice complessità?

Ancora facciamoci guidare dalle sculture di Rodin.

A due titoli che promettono grandi cose, “Il segreto” e “La cattedrale”, corrispondono le due sculture che vedete, mani. E mani congiunte. Rimane un frammento, una parte della grande e armoniosa figura originale. Rimane la coscienza della propria parzialità.

Ma non a caso sono mani: le mani fanno, raccolgono, toccano, sciolgono, carezzano…

Non rimangono teste, non i pensieri soli, ma l’agire responsabile e congiunto.

E’ questa la via? Fare i conti con ciò che si può, non con tutto il possibile, ma il reale, il nostro, ciò che ci compete e ci spetta?

Scriveva Dietrich Bonhoeffer:

“Abbiamo vissuto e pensato troppo nella convinzione che sia possibile garantire in precedenza ogni azione vagliando le possibilità, in modo tale che essa poi si compia completamente da sola. Abbiamo imparato un po’ troppo tardi che l’origine dell’azione non è il pensiero, ma la disponibilità alla responsabilità”.

Fare dunque delle nostre mani, e della loro capacità di fare, di obbedire alla nostra disciplina interiore, il luogo del segreto che dà vita, il luogo della preghiera, la costruzione di una cattedrale per le nostre e le altrui vite?

C’è una scultura che ci apre ad un orizzonte del tutto nuovo: si chiama “La mano di Dio”. Dalla massa informe della pietra, dal caos delle origini, esce una mano che è origine e culla di un uomo e una donna, che fa nascere e protegge, che crea e custodisce, sostiene.

E’ bello che circa la scultura di Rodin si discuta se questa mano di Dio sia da intendersi come la mano dell’artista, e si dice che Rodin l’abbia eseguita avendo la propria mano come modello.

E’ bello perché non c’è separazione tra la grande mano creatrice di Dio e la nostra capacità di crescere nell’immagine che di Lui siamo e diventare responsabili delle nostre mani.

Le mani

Mi sorprendono invece queste mani
Protese in favolosi spazi:
costellazione di ori e sangue.
Brilla la croce uguale a una spada
e la terra è tutta una ferita,
una montagna di marmo è l’altare
e la chiesa vuota, immensa.
Io ho gridato l’augurio al popolo
ma risposta nessuna è venuta
a sostegno del mio ardimento
assurdo: l’eco dei passi e la voce
infranta sotto gli archi muti…
Ora, dunque, la parola alle mani
che tracciano gesti indicibili.

[David Maria Turoldo, O sensi miei]

Opere riprodotte (nella multivisione) con l’autorizzazione del Musée Rodin – Parigi:

1) L’età del bronzo – Âge d’airain  S. 986
Auguste RODIN, bronzo, 181 x 66,5 x 63 cm, Musée Rodin, Paris
fotogr. Adam Rzepka / Eric et Petra Hesmerg.

2) I borghesi di Calais – Le Monument de Bourgeois de Calais S. 450
Auguste RODIN, bronzo, 231 x 245 x 103 cm, Musée Rodin, Paris
– fotogr. Adam Rzepka
– detail, fotogr. Jérôme Manoukian
– Jacques de Wiessant, Jean de Calan
– Jean de Fiennes, Jean de Calan
– Pierre de Wiessant, Jean de Calan.

3) La porta dell’inferno – La Porte de l’enfer S. 1304
Auguste RODIN, bronzo, 635 x 400 x 85 cm, Musée Rodin, Paris
fotogr. Jean de Calan.

4) L’età matura – L’Âge mûr S. 1380
Camille CLAUDEL/ADAGP, bronzo, 121 x 180 x 73 cm, Musée Rodin, Paris
fotor. Adam Rzepka.

5) La cattedrale – La Cathédrale S. 1001
Auguste RODIN, pietra, 64 x 29,5 x 31,8 cm, Musée Rodin, Paris
fotogr. Eric et Petra Hesmerg.

6) La mano di Dio – La Main de Dieu S. 988
Auguste RODIN, marmo, 95,5 x 75 x 56 cm, Musée Rodin, Paris
fotogr. Eric et Petra Hesmerg.


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