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Felix Wilfred: “Il cristianesimo tra declino e rinascita” (II)

Gruppo del venerdì
Marzo 2006

Cristianesimo: la pluralità del futuro

 Ciò che dà speranza riguardo al cristianesimo nel Sud del mondo è la pluralità in via di sviluppo delle sue forme ed espressioni Qui si fa sempre meno riferimento alla diversità delle chiese derivata dalla tumultuosa storia europea di divisione che si è cercato di superare attraverso il movimento ecumenico. L’attenzione è concentrata piuttosto sui vari tipi di cristianesimo – alcuni ispirati dall’importanza del corpo umano e della sua guarigione nella pratica e nella comprensione della religione, come è, per esempio, il caso africano. E ciò è sovversivo dell’approccio mentale che è stato fatto assumere dal cristianesimo. Il “penso dunque sono” di Descartes trova un contrappunto nel pensatore africano Eboussi Boulaga, quando egli dice: “Danzo perciò vivo” – un’intuizione dell’esperienza africana che plasma anche certe forme del cristianesimo in Africa, dando risalto al corpo e alla cura per esso attraverso la guarigione e l’esorcismo.

Questo per noi è un tema quasi inconcepibile, però una gran parte del cristianesimo che in questo momento è in crescita è centrato intorno a questa questione, cioè corpo – guarigione, con tutti gli annessi e connessi. Noi rischiamo di non capire questa cosa, cioè di interpretare semplicemente come una specie di residuo tribale il grande uso di esorcismi che si fa in questo tipo di cristianesimo. Non possiamo più pensare al cristianesimo se non per concetti, per quanto poi sappiamo che non è solo un’idea. Per il cristianesimo africano ed asiatico, che hanno un legame molto forte col corpo, il linguaggio è la ratio del cristianesimo, non concettuale, ma simbolico. Dunque parlare di demonio e, di conseguenza, agire in riti contro il demonio, ecc. è il vocabolario per loro chiaro per dire tutte quelle cose che noi diremmo ricorrendo a un linguaggio psicanalitico. Di per sé non c’è un modo migliore o un modo peggiore, anzi noi abbiamo moltiplicato le forme d’espressione e poi abbiamo una grande difficoltà a trovare la “cosa”; abbiamo bisogno di un grande giro di parole e raramente raggiungiamo un dato vitale nel dire queste cose, perché, di fatto, in occidente abbiamo solo due canali di comunicazione: la ragione e il sentimento. Tutta l’interrelazione con l’altro è giocata o sul piano razionale o sul piano del sentimento. Spessissimo, per via della storia e della cultura dell’Occidente i due livelli vanno in conflitto. C’è poi un linguaggio che è, in qualche modo, una terza strada, che si può chiamare simbolico: non è né razionale, né sentimentale, ma è un modo che raggiunge l’anima, la tocca,la cura. E’ comunicativo. E’ un po’ il tipo di comunicazione che cerco di mettere in moto nella “lectio”. E’ un tentativo di mettersi su una via diversa, che raggiunge, che mette in movimento.

Freud, in Occidente, ha spiegato questo modo di interrelazione, di comunicazione, che mette in moto le “tue” immagini. Il rito di esorcismo è un tipico modo di esprimere la realtà della “metà oscura” del disagio, della fatica, in un linguaggio immediatamente classificato come di pazzia. Non è un caso che tutte le questioni di possessione, nel ‘500, vengano in una prima fase giudicate dai tribunali dell’inquisizione, cioè da teologi, e poi vengano giudicati dai giudici dello stato, ad esempio del nascente stato francese, e poi da medici. E paradossalmente coloro che accettano il punto di vista dell’interlocutore sono i teologi. E quando gli altri dicono: “il diavolo mi ha detto..” presumono di capire che cosa l’altro sta dicendo. I giudici del re hanno una domanda diversa: “è pro o contro il re? Questa cosa può diventare sovversiva?”. I medici dicono: “E’ matto”, e sono paradossalmente i più dogmatici.

Qui si ripropone la stessa questione. Un sapere che riguarda il corpo, la guarigione, ecc. ha un linguaggio condiviso nel quale uno dice “il diavolo” e l’altro capisce qual è la “res”a cui ci si sta riferendo, viene toccato in quella “res”. E nessuno dichiara quell’individuo pazzo o lo mette fuori dal gioco. In questo senso non è semplicemente un residuo tribale. In termini di analisi marxista si dovrebbe dire che è un’operazione di socializzazione, cioè un’operazione in cui si costruisce un mondo condiviso e a questo mondo condiviso viene dato un ordine che può consentire a tutti di starci dentro, di sentirsi sostenuti e capiti e dunque curati. Sono andata un paio di volte con l’occhio da studioso a preghiere di guarigione nella chiesa pentecostale evangelica di Roma: è impressionante. Se si guarda con un occhio medico si pensa ad una paralisi isterica e ad una situazione compensativa. Però una volta che si è detto questo non si è ancora detto niente di quello che lì si è realizzato. Si è detto il puro fatto. Ma non è un caso che, ad esempio, quelle siano paralisi isteriche che resistono alla psicoterapia, agli psicofarmaci e alle cure e che vengono invece risolte da una situazione compensativa.

Questa è una forma di cristianesimo in grandissima crescita, sia in Asia, sia in Africa dove si innesta su una cultura tradizionale che digerisce il fenomeno senza scosse.

In tutto il nord Africa, dove si era pestato più duro con un cattolicesimo di forma europea, e dove dunque c’era stato un grande scontro con il mondo islamico, copto, ecc. lì il cristianesimo è stato vomitato e non è più rientrato. Mentre nella parte centrale dell’Africa, dove il cristianesimo era stato legato alla colonizzazione, ma era rimasto in superficie, se ne è andato con la fine della colonizzazione. Non a caso è proprio quella la fascia dove il cristianesimo in questo momento, nella forma cattolica, sta mettendo delle radici autoctone molto interessanti. Ad esempio è stato aperto in Zaire un centro universitario di filosofia e teologia per tutta l’Africa Nera che in 10 anni di esistenza ha già raggiunto un livello altissimo; hanno già formalizzato due diversi masters in filosofia occidentale e filosofia africana. Da noi in Gregoriana arrivano molti studenti che sono passati da lì e che, a differenza degli studenti africani di dieci anni fa, che erano volenterosi ma un po’ persi e disorientati, si girano invece benissimo sulle cose occidentali e hanno la consapevolezza di star parlando di un oggetto altro e una consapevolezza molto ampia su di sé.

Il messaggio cristiano interseca a certi livelli la storia di un popolo e la sua esperienza, e trova una nuova incarnazione ed espressione. Questo è ciò che ha consentito la riaffermazione del cristianesimo nell’emisfero meridionale. Nuovi cristianesimi stanno prendendo forma in Africa, Asia e America Latina, dove il cristianesimo eurocentrico e molti dei suoi attuali apparati operativi stanno diventando oggetto di memoria storica. Sono sempre più convinto che la questione del pluralismo religioso come la conosciamo dalle nostre parti in Asia è parte essenziale dell’ancor più ampio problema della pluralità dei cristianesimi.

Questo è molto interessante. Lui dice che non si deve pensare che la pluralità dei cristianesimi sia parte del pluralismo religioso, ma al contrario il pluralismo religioso è un caso particolare della pluralità dei cristianesimi. Teologicamente sostiene che tutte le religioni sono una forma di cristianesimo e che dunque la pluralità dei cristianesimi è il tema generatore.

Quest’ultimo punto prenderà il posto del primo.

Il futuro del cristianesimo nel sud del mondo non sarà questione di numeri, ma di qualità e diversità. La diversità non sarà come quella delle confessioni religiose testimoniata nella storia occidentale del cristianesimo. Sarà invece un’appropriazione differente attraverso la cultura e le esperienze dei popoli dell’emisfero meridionale. Sarà una diversità che deriva anche dai differenti modi in cui il messaggio cristiano e il suo spirito esercitano influenza sui vari ambiti della vita individuale e collettiva.

L’aspettativa di una espansione in termini numerici dei cristiani nel Sud del mondo, specialmente in Asia, sarebbe solo nostalgia di ritrovare altrove ciò che è stato perso in Europa – la cristianità. Una grossolana ignoranza delle realtà di fondo potrebbe indurre in Occidente anche i ben intenzionati a farsi un’idea sbagliata della riaffermazione del cristianesimo meridionale nella prospettiva della crisi occidentale del cristianesimo.

Lui dice che in Occidente ci siamo misurati con la pluralità dei cristianesimi e abbiamo creato una pluralità di confessioni non riuscendo a tenerli assieme. Dunque la forma legata alla Scrittura di Lutero, la forma legata ai Sacramenti della chiesa cattolica e la forma legata alla liturgia della chiesa ortodossa. e non siamo riusciti a tenerle assieme. E Wilfred spera che nel Sud del mondo non sia così.

Anche qui è abbastanza rivoluzionario, perché in realtà noi siamo abituati a pensare che c’è il cristianesimo e poi ci sono delle conseguenze sulla vita, ecc. Lui praticamente dice il contrario e cioè che la forma che il cristianesimo prende dipende da come, dove e quando sa incidere sulle vite.

Quando considero ciò che i pensatori post-moderni occidentali hanno da dire, inizio a credere che, se questo è il post-modernismo, in India siamo in epoca post-moderna già da quattromila anni. Ed è così anche in molte parti dell’Asia. Il punto che voglio sottolineare qui è che non ci si può attendere che un’appropriazione asiatica del cristianesimo sia una presupposta totalità comprensiva. La scoperta asiatica del messaggio e dello spirito cristiano riguarderà certi aspetti e certe questioni e non altre, a seconda dell’itinerario che la gente fa. La stessa cosa si può dire dell’Africa e di altre parti dell’emisfero sud. Dobbiamo porre l’accento sulla scoperta del cristianesimo da parte di asiatici, africani e latino-americani che avverrà in relazione alle loro necessità ed esperienze mentre essi proseguono il loro cammino. In questo processo sarà molto importante l’essere soggetto e l’azione delle persone, e non le strutture e le istituzioni, né un presunto e comprensivo pacchetto di verità del cristianesimo.

Questa è la grande questione. E’ la forza della sua posizione, ma anche la sua radicale ingenuità e debolezza, nel senso che è una posizione astorica in cui il problema è che il cristianesimo viene considerato non esistente come istituzione. Di fatto esiste. Anche questa è una delle diversità possibili del cristianesimo: la sua forma istituzionale. Quello che sta accadendo da molte parti è che si va a scontro. Ad esempio alcuni elaborano la teologia della liberazione e il Vaticano afferma che non è accettabile. Il problema non è chi sbaglia o chi no. Il problema è che questo è ciò che accade nella storia. Allora molti di quelli che hanno elaborato queste idee sono “usciti”. Cosa significa ciò quanto al futuro possibile di un cristianesimo? La questione è: dove si costruisce il futuro del cristianesimo?

Wilfred ha un po’ l’ingenuità che la soggettività del popolo abbia una naturale confluenza verso punti comuni. Questo non accade. E tutti i luoghi nei quali c’è stata questa teorizzazione sono diventati delle burocrazie come tutte le altre, delle istituzioni, perché questo è il naturale movimento. E’ come se egli aplicasse, in termini politici, una specie di ideologia anarchica radicale, in cui non ci sono punti di unitarietà.

Questi, in effetti, potrebbero rivelarsi rami secchi e potrebbero impedire un incontro e una scoperta creativa del cristianesimo da parte della popolazione che vive in un mondo in crisi.

La crisi che per le guide della neo-ortodossia sta prendendo piede in Asia, per esempio, è solo la costruzione di una forma eurocentrica e narcisistica di cristianesimo immobilizzato nelle proprie tradizioni passate. Di fatto qualcosa d’altro sta avvenendo nel cristianesimo nell’emisfero meridionale. La tentazione forte è di pensare che una religione, che è diventata una forza esaurita in Europa (post-cristianesimo), venga “scaricata” come una medicina non voluta nel Terzo mondo, dove sta trovando un mercato fiorente. Sarebbe un approccio troppo semplicistico. Ciò che sta avvenendo non è la replica di un cristianesimo consunto, ma la scoperta di esso da parte delle popolazioni del Sud nei loro modi”. Questo è l’aspetto pieno di speranza e più rincuorante del cristianesimo e della sua sopravvivenza in futuro.”