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La Salvezza (II):
Le Beatitudini

Gruppo del venerdì
Novembre 1994

* Premessa: sono necessari una serie di rovesciamenti, perché praticamente sempre il nostro modo di leggere i Vangeli, sia che ci diciamo credenti, sia che non ci diciamo credenti, è segnato drammaticamente dalle deformazioni moralistiche e razionalistiche tipiche della stratificazione interpretativa al cui termine noi ci troviamo. Se ci diciamo credenti, le nostre domande ai Vangeli sono, in genere, “cosa ci insegnano, cosa dobbiamo fare”; se non ci diciamo credenti, sono, in genere, “dove non funziona, cosa mi piace ed è accettabile dentro ciò che comunque pensavo già prima, e cosa no”.

Queste sono in genere domande sterili e inutili, non succede nulla, non spostano niente della nostra vita. La ricchezza sta invece nello stanare la logica interna del testo: deciderne poi cosa farne, rispetto alla nostra vita è questione successiva, su cui ci si può confrontare, ma che richiede di avere in comune gli elementi destabilizzanti del testo in sè.

* Matteo, capitolo 5, dal versetto 1 in poi.
“Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna, e messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Prendendo allora la parola….”.

– E’ questo l’inizio di un grande discorso che Matteo costruisce su tre capitoli (5, 6 e 7), chiamato discorso del Regno (seguono i discorsi evangelici e il discorso apostolico: cioè, un proclama costituzionale, cosa si deve fare e come si deve annunciare ad altri).

Matteo struttura il suo Vangelo alternando sempre due grandi blocchi: blocchi di testi di azioni, blocchi di testi di discorsi. I primi sono in genere racconti di miracoli, che hanno blocchi di discorsi corrispondente (come facevano i cantastorie, il quadro dipinto descrive una azione e il cantastorie commenta). Il discorso è il “sonoro” dei racconti di miracoli.

– Questo discorso, dei capitoli 5, 6 e 7, è il discorso inaugurale, di presentazione di Gesù e delle questioni fondamentali (chi sono, cosa voglio, cosa bisogna fare). Dopo questo sono raccontati dieci miracoli: guarigioni (lebbroso [1], servo del centurione [2], suocera di Pietro [3]), la tempesta sedata [4], i demoni mandati nel branco di porci [5], una serie di guarigioni che dicono che Gesù guarisce sul serio [6].

La lebbra era la malattia dell’esclusione dalla comunità ebraica, si capisce alla luce della logica interna del mondo ebraico, alla luce delle prescrizioni della Legge, circa la purità; è il disegno di un cosmo ordinato che per un ebreo funziona come un “cosmo interno”. Poi il servo del centurione: fuori, un “cosmo esterno”, una alterità. Poi la suocera di Pietro: l’intimità del cosmo dei rapporti privati, famigliari, personali.
a) E’ il primo passo, l’opera della destrutturazione del cosmo ordinato dell’ascoltatore, dall’equilibrio tra singolo e comunità [1], ai suoi rapporti con l’alterità [2], alla sua intima strutturazione interiore e personale [3].
b) C’è poi il secondo passo: la ristrutturazione di un cosmo diverso, in cui la tempesta sedata [4] riorganizza i rapporti esterni e la liberazione dai demoni [5] ridefinisce i rapporti interiori, quelli più oscuri, il male ultimo, quasi indicibile.
c) Terzo passo [6]: conferma che chi dice questo ha potere reale per dirlo, ma anche per farlo, ha l’autorità reale necessaria.

– Il disegno è dunque quello di una cosmogonia: smonta il mondo e lo fa ordinato e senza demoni, con un atto di creazione dal nulla, avendo prima distrutto il precedente. E’ l’opera del Regno, la ricostruzione del mondo, distrugge un mondo falsamente e idolatricamente ordinato, per riorganizzarne un altro in cui il vento è dominato e i demoni cacciati. E’ dunque la chiave di volta del Cristianesimo, che propone un cosmo “creato”, cioè ordinato da Dio e non dagli uomini che hanno voluto farsi come Dio.

– Per questo, dopo il discorso inaugurale delle Beatitudini, c’è il discorso sulla legge antica (“vi è stato detto, ma io vi dico”), corrispondente alla questione del lebbroso, poi la preghiera del Padre Nostro, che è il corrispondente alla tempesta sedata, e il discorso sulla Provvidenza che è il corrispondente positivo alla questione negativa dei demoni, forze invisibili, celesti o oscure, meno dominabili dalla ragione, più impalpabili. La conclusione di questo discorso è, come i racconti di guarigioni [6], il richiamo all’inizio: i veri discepoli si abbandonano totalmente a Dio e così costruiscono la casa sulla roccia, quando il Regno è instaurato, il cosmo ricostruito.

* Il tema dunque di questo discorso è il Regno, che è l’altro nome (quello storico-salvifico, esistenziale, spirituale) della salvezza (che è nome teologico, sistematico, filosofico). Il Regno è tema strano, per un popolo che, come gli ebrei, sta sotto la dominazione romana e ha solo un vago ricordo di un Regno unitario, quello di Davide e di Salomone. Il Regno di Dio è la signoria di Dio reistaurata, in cui egli si prende cura dei piccoli e dei poveri, e fa funzionare le cose.

– Nei Vangeli si dice sempre che il Regno di Dio “è simile a “, non si dice “è” (se non solo nel caso in cui si dice che “il Regno è in mezzo a voi”, dunque non come definizione, neppure qui). Non c’è mai definizione diretta, solo similitudini.

– Con una sola eccezione grammaticale (il granello di senape, ma dove il fatto è solo grammaticale e non sostanziale), il Regno di Dio è sempre detto simile ad una azione: un uomo uscito a seminare, una donna che impasta la farina, una donna che cerca una moneta perduta… La similitudine non è mai con una cosa, uno stato, un luogo, un tempo, una persona; è sempre con una azione; eppure spesso si è pensato il Regno con immagini spaziali e temporali e (con riduzione moralistica) che i fossero azioni che consentivano di entrare o escludevano dal Regno. Il Regno è sempre simile ad una azione, ma non in senso mercantilistico, per i risultati che porta; la questione è invece che tipo di azioni, per quale Regno. Le Beatitudini rispondono a queste domande.

* L’incipit di questo testo, che pare scontato solo perché lo abbiamo sentito mille volte, è in realtà di una illogicità clamorosa. Ma è decisivo, perché la logica del Regno funziona così: vedendo la folla (la storia, il tempo, le cose), Gesù si chiama fuori, sale sulla montagna (luogo che per la Scrittura è il luogo della separatezza, della distanza) e si mette a parlare con i discepoli, suoi interlocutori. Non c’è comparazione o giudizio tra i discepoli e la folla, non che gli uni siano “più bravi”: si tratta invece della sobria e rigorosa descrizione della dinamica del Regno, si vede la folla, il generico tempo, e si stabilisce una interlocuzione con coloro che cercano le azioni del Regno. E’ una interpellanza in qualche modo interna: colui che decide di fare le azioni del Regno, ha un criterio su cui misurarsi e un punto di partenza: vedendo la folla, vedendo la storia. Questo non dice ancora nulla di cosa accade alla folla, non si tratta di “merito”. La questione è solo la vita di coloro che stanno di fronte alle azioni del Regno e all’appello che esse pongono.

– Siamo abituati a leggere le beatitudini accentuandone la prima parte (beati i poveri, beati i miti…) e normalmente la leggiamo come se fosse scritto “dovete essere poveri, dovete essere miti, ….”.
La vera centralità delle beatitudini, invece, è nella seconda parte di ogni distico, la chiave sta lì.
Ci sono due beatitudini uguali nella seconda metà: beati i poveri in spirito e beati i perseguitati perché di essi è il Regno di Dio; queste due sono le porte (prima e ultima beatitudine) di ingresso al Regno, la porta “verticale” (=poveri in spirito) e quella “orizzontale” (=perseguitati a causa della giustizia). Sono le condizioni previe per l’ingresso alle azioni del Regno per compiere le azioni del Regno. C’è una condizione per poter essere tra coloro che compiono l’azione che il Regno è, e la condizione è: essere poveri in spirito dalla parte di Dio e perseguitati a causa della giustizia dalla parte della storia degli uomini (attenzione: non basta operare per la giustizia, occorre essere perseguitati, risultare di avere ingiustamente torto). Queste due porte sono le uniche con il verbo al presente, “perché di essi è il Regno dei cieli”, mentre tutti gli altri verbi sono al futuro.

– La prima porta dice una condizione del cuore, poveri in spirito, il che non significa che si possono avere i miliardi, perché altrimenti si nega la condizione orizzontale, l’essere perseguitati a causa della giustizia. La connessione tra le due porte è decisiva per non prendere cantonate interpretative! Comunque di per sè la prima è termine tecnico dell’ebraismo, poveri di JHWH, che sono coloro che hanno solo Dio su cui contare e dice l’intenzione. La seconda dice le azioni, dalla parte della visibilità degli uomini. Il testo è assai bilanciato e dice che le due dimensioni insieme sono la condizione necessaria per entrare nelle azioni del Regno. Non sono doveri etici, imperativi esterni, ma condizioni di ingresso. Ancora una volta questo non dice nulla su cosa accade a chi non entra in questo, se uno non fa le azioni che il Regno è, non ha il Regno; questo è tutto in questo testo.

– Allora, le beatitudini interne alle due porte non sono “doveri etici”, virtù morali, bensì uno stato di fatto, una situazione: se c’è chi è entrato nell’azione che il Regno è, allora coloro che sono miti (discepoli o no, non fa differenza) sarà meno schiacciato, perché semplicemente c’è meno gente che pesta, coloro che sono afflitti incontreranno chi li consola. Il richiamo non è morale (impegno per i credenti di essere afflitti?), ma invece che, se ci sono discepoli che “sono” l’azione del Regno, allora coloro a cui capita (perché è nella dinamica della vita) di essere afflitti saranno consolati.

– Gli stati indicati tra le due porte non sono casuali: afflitti – miti – chi ha fame e sete di giustizia – misericordiosi – puri di cuore – operatori di pace. Questi sei stati riguardano tutti, perché riguardano la vita; essere afflitti può capitare a tutti, essere miti è nella possibilità di tutti (non è necessaria una particolare motivazione religiosa!), e così via. Si tratta di condizioni umane, non hanno a che fare con il religioso, riguardano l’esistenza. Due (afflitti e avere sete e fame di giustizia) vengono dall’esterno, capitano; gli altri sono scelte responsabili sull’esistenza, sul proprio modo di vivere. 2 su 6 vengono da fuori, la determinazione dall’esterno sulla nostra vita è minoritario, molto di più nella nostra esistenza dipende da noi, la qualità della nostra vita dipende in gran parte dalle nostre scelte responsabili.

– La costruzione del percorso letterario: si entra nel Regno dalla porta di Dio (poveri in spirito), si percorrono vie umane, di cose della vita (afflitti, miti, avere fame e sete di giustizia, che hanno come seconda parte delle realtà della storia, consolati, ereditare la terra, essere saziati di giustizia). Ma poi ci si addentra in realtà più misteriose, in cui la seconda parte, a fronte di responsabilità comuni (misericordiosi, puri di cuore, operatori di pace), ha un richiamo a Dio; cioè la pienezza della responsabilità sulla vita apre lo sguardo sul mistero stesso di Dio e ci mette in relazione con lui.

– La salvezza cristiana funziona così: ogni problema particolare, per un credente, si inserisce nella questione sulla vita “che ci stiamo a fare qui e quale è il nostro scopo finale?”. La salvezza non è una risposta, ma una domanda di responsabile azione sulla vita per incontrare l’apertura sul mistero di Dio e del suo disegno d’amore per noi.