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L’Apocalisse (XIII)

Gruppo del venerdì
Maggio 2000

Siamo giunti agli ultimi due blocchi, quelli risolutivi, nei quali tutti i pezzi vanno a posto, perché dicono l’altra parte della Rivelazione. L’Apocalisse inizia con “Rivelazione di Gesù Cristo”, poi segue tutta la riflessione di Giovanni sulla storia e quindi la questione sul giudizio che, per l’autore, ha sempre due facce: la valutazione, cioè l’atto del giudicare, e la salvezza, cioè l’atto del salvare.

La volta scorsa avevamo visto un massacro che era veramente l’atto del giudicare; in questi ultimi due blocchi incomincia l’altro pezzo, la salvezza, non, però, come nei telefilm americani in cui le vittime si rialzano come se nulla fosse successo. L’ipotesi “della finzione”, in un certo senso, è stata sostenuta nei primi secoli, in particolare da Origene, e si esprime con un termine tecnico: “apocatastasi”.

La teoria dell’apocatastasi è stata sostenuta fino al sesto secolo con molta forza ed è ripresa oggi da vari teologi (Baltasar, Moltmann). E’ l’idea, espressa con parole semplici (i teologi la espongono in modo molto più articolato) che, alla fine, ci sarà un momento riassuntivo in cui verrà detto che tutti sono salvi. Origene sosteneva che anche lo stesso Satana sarà salvato, cioè avrà una possibilità di conversione. Questa teoria torna periodicamente nel cristianesimo; la grande chiesa prima e la chiesa cattolica poi hanno sempre sostenuto che non è accettabile. Lasciando ovviamente a Dio la libertà di fare cosa vuole, dal punto di vista della nostra comprensione non è accettabile, perché toglie serietà alla storia. E’ come se si dicesse “tutti promossi”.

In questi ultimi blocchi, oggetto degli ultimi due incontri, si presenta la parte salvifica che è una salvezza pensosa.

“Poi vidi il cielo aperto, ed ecco un cavallo bianco; colui che lo cavalcava si chiamava “Fedele” e “Verace”: egli giudica e combatte con giustizia.

I suoi occhi sono come una fiamma di fuoco, ha sul suo capo molti diademi; porta scritto un nome che nessuno conosce all’infuori di lui. E’ avvolto in un mantello intriso di sangue e il suo nome è Verbo di Dio. Gli eserciti del cielo lo seguono su cavalli bianchi, vestiti di lino bianco e puro. Dalla bocca gli esce una spada affilata per colpire con essa le genti. Egli le governerà con scettro di ferro e pigerà nel tino il vino dell’ira furiosa del Dio onnipotente. Un nome porta scritto sul mantello e sul femore: Re dei re e Signore dei signori.

Vidi poi un angelo, ritto sul sole, che gridava a gran voce a tutti gli uccelli che volano in mezzo al cielo: “Venite, radunatevi al grande banchetto di Dio. Mangiate le carni dei re, le carni dei capitani, le carni degli eroi, le carni dei cavalli e dei cavalieri e le carni di tutti gli uomini, liberi e schiavi, piccoli e grandi”.

Vidi allora la bestia e i re della terra con i loro eserciti radunati per muovere guerra contro colui che era seduto sul cavallo e contro il suo esercito. Ma la bestia fu catturata e con essa il falso profeta che alla sua presenza aveva operato quei portenti con i quali aveva sedotto quanti avevano ricevuto il marchio della bestia e ne avevano adorato la statua. Ambedue furono gettati vivi nello stagno di fuoco, ardente di zolfo. (L’immaginario dell’inferno viene da qui. Non c’è alcun altro passo della Scrittura che giustifichi lo zolfo ed il fuoco). Tutti gli altri furono uccisi dalla spada che usciva di bocca al Cavaliere; e tutti gli uccelli si saziarono delle loro carni.

Vidi poi un angelo che scendeva dal cielo con la chiave dell’Abisso e una gran catena in mano. Afferrò il dragone, il serpente antico – cioè il diavolo, Satana – e lo incatenò per mille anni; lo gettò nell’Abisso, ve lo rinchiuse e ne sigillò la porta sopra di lui, perché non seducesse più le nazioni, fino al compimento dei mille anni. Dopo questi dovrà essere sciolto per un po’ di tempo. Poi vidi alcuni troni e a quelli che vi si sedettero fu dato il potere di giudicare. Vidi anche le anime dei decapitati a causa della testimonianza di Gesù e della parola di Dio, e quanti non avevano adorato la bestia e la sua statua e non ne avevano ricevuto il marchio sulla fronte e sulla mano. Essi ripresero vita e regnarono con Cristo per mille anni; gli altri morti invece non tornarono in vita fino al compimento dei mille anni. Questa è la prima risurrezione. Beati e santi coloro che prendono parte alla prima risurrezione. Su di loro non ha potere la seconda morte, ma saranno sacerdoti di Dio e del Cristo e regneranno con lui per mille anni.

Quando i mille anni saranno compiuti, Satana verrà liberato dal suo carcere e uscirà per sedurre le nazioni ai quattro punti della terra, Gog e Magòg, per adunarli per la guerra: il loro numero sarà come la sabbia del mare. Marciarono su tutta la superficie della terra e cinsero d’assedio l’accampamento dei santi e la città diletta. Ma un fuoco scese dal cielo e li divorò. E il diavolo, che li aveva sedotti, fu gettato nello stagno di fuoco e zolfo, dove sono anche la bestia e il falso profeta: saranno tormentati giorno e notte per i secoli dei secoli.

Vidi poi un grande trono bianco e Colui che sedeva su di esso. Dalla sua presenza erano scomparsi la terra e il cielo senza lasciar traccia di sé. Poi vidi i morti, grandi e piccoli, ritti davanti al trono. Furono aperti dei libri. Fu aperto anche un altro libro, quello della vita. I morti vennero giudicati in base a ciò che era scritto in quei libri, ciascuno secondo le sue opere. Il mare restituì i morti che esso custodiva e la morte e gli inferi resero i morti da loro custoditi e ciascuno venne giudicato secondo le sue opere. Poi la morte e gli inferi furono gettati nello stagno di fuoco. Questa è la seconda morte, lo stagno di fuoco. E chi non era scritto nel libro della vita fu gettato nello stagno di fuoco”.

Questo testo è tendenzialmente poco letto, ma moltissimo presente nell’immaginario collettivo. Tre quarti delle nostre immagini sul giudizio universale hanno origine da questi capitoli: il libro della vita, lo stagno di fuoco e di zolfo, i tormenti…. Qui occorre procedere adagio per cercare di orientarci, non solo nelle immagini, a noi già non consuete, ma nella stratificazione di interpretazione che esse hanno nel nostro immaginario perché ci arrivano dopo duemila anni di lettura, quindi cariche di certi significati che sembrano evidenti, ma non lo sono affatto in quanto sono dovuti a spiegazioni esterne al testo accavallatesi nel corso dei secoli. Bisogna cercare di andare adagio, anche smontare e ritornare per alcuni versi al testo, al fine di capire perché nel tempo si sono stratificate delle letture. Per esempio, a noi sicuramente viene in mente il ritornello dei mille anni con il tema del “mille non più mille” che il testo non dice di suo. E’ pur vero che una lettura materiale del testo aveva fatto dire, intorno all’anno mille che, essendo finito il regno dei mille anni, si stava arrivando al secondo giudizio.

Il testo incomincia con “Poi vidi il cielo aperto”. E’ interessante perché Giovanni riprende l’espressione dell’inizio dell’Apocalisse, quando diceva: “Vidi una porta aperta nel cielo”. La riprende e contemporaneamente se ne distanzia: là è una porta aperta nel cielo, qui è il cielo aperto totalmente. Questo è un espediente letterario di Giovanni che sta dando un’indicazione abbastanza chiara per i lettori suoi contemporanei, ma ormai credo anche per noi: cioè tutto il tema della prima e della seconda alleanza. All’inizio c’erano il piccolo ed il grande libro: la prima alleanza, il giudaismo, non è mai considerata sbagliata, ma sempre parziale, non universale, limitata, non definitiva. La seconda alleanza, quella in Cristo, è sempre universale, quindi non più riservata ad un popolo, ed è sempre definitiva. La porta aperta nel cielo è la visione che Giovanni ha attraverso l’antica alleanza; qui invece arriva al cielo aperto perché dal cielo scende il Logos di Dio.

Nel capitolo precedente ci è narrata l’immagine della morte di Cristo; qui ritorna su questo tema, che è il centro, il nucleo, il cuore cristiano della lettura.

“Ed ecco un cavallo bianco”, come all’inizio del testo, quando questo era l’immagine dell’uomo prima del peccato originale e si concludeva dicendo: “Vincerà e tornerà per vincere ancora”. Era l’uomo nello stato di grazia. Avevamo visto i due piani: il disegno di Dio e la storia degli uomini nella quale appariva il cavallo bianco perché Dio ha sognato l’uomo creandolo buono, felice. Poi, con il peccato originale, l’introduzione dei cavalli di zolfo, la guerra, la violenza, l’episodio della donna, cioè l’umanità chiamata a ripartorirsi secondo il disegno originario e quindi l’altro capo con il ritorno del cavallo bianco.

Il cielo aperto con il cavallo bianco che arriva è il grande impianto teologico di Giovanni che in queste due righe: “Poi vidi il cielo aperto ed ecco un cavallo bianco…..” sta facendo una specie di riassunto, non solo dell’Apocalisse, ma di tutta la sua teologia. Solo in questo punto usa l’espressione di Logos riferito a Gesù Cristo, come nel Vangelo la usa esclusivamente nel Prologo che si apre con la traduzione greca dell’inizio di Genesi. Con il suo Vangelo Giovanni riprova a scrivere tutta la storia della salvezza, ripartendo da Genesi di cui segue il ritmo per costruire il Prologo e pone l’idea del Logos preesistente, cioé che già la creazione avviene nella luce di Cristo. E in una riga ridice tutta la questione: il cielo aperto è il tema dell’incarnazione, il Logos che scende rimette in comunicazione cielo e terra, restituisce l’integrità, la pienezza e la possibilità di comunicazione tra cielo e terra e non è nemmeno una porta.

Quando leggo questo passo mi viene sempre in mente l’immagine dei King, quella che si chiama Ttai, nella quale la terra sta sopra ed il cielo sotto. Secondo la riflessione che sta dietro i King, sistema di oracoli cinesi, il cielo tende a salire, è leggero e la terra, pesante, tende a scendere. Il simbolo dei King con la terra sopra ed il cielo sotto significa la pace universale, perché in questo movimento del salire e del scendere cielo e terra si incontrano. Però, nella nostra esperienza comune, osserva il commento, la terra è sotto ed il cielo sopra, in quanto l’esperienza in cui noi siamo tende perennemente alla disarmonia, alla divaricazione. L’immagine di Giovanni, cielo aperto e cavaliere bianco che scende dal cielo, è evocativa e dice del ristabilimento della pace universale.

Nel capitolo seguente vedremo scendere da questo cielo aperto la santa Gerusalemme che è ancora meglio dei King, perché si dice che c’è una città, parola che per noi oggi vuol dire molto; città come tessuto sociale, convivenza, possibilità di una politica nel senso forte del termine, polis non lontana ed astratta, ma quella in cui ciascuno si trova a sbattere i piedi ogni giorno ed è una fatica di quotidianità in diversità, dentro ragioni che dovrebbero cercare di superare le piccole questioni per riuscire a trovare una situazione comune, migliore per tutti.

Allora, c’è questo movimento: il cielo aperto ed il Logos che scende, ma subito dopo scenderà la Gerusalemme celeste adornata come una sposa per lo sposo, ed è la città in cui tutti siamo nati, è la nostra città, la nostra passione civica che viene rimessa in circolo, quindi non solo un dato spirituale di energie, ma anche un dato storico che Giovanni ci dirà con la bellissima immagine della città, chiara per noi.

Questi due capitoli ridicono in sintesi tutta la storia della salvezza: c’è un’origine buona della storia, l’umanità è chiamata a ripartorirsi ed il cielo aperto mostra un giorno, l’incarnazione, già alle nostre spalle. Non rappresenta la fine del mondo. In questo giorno dal cielo è sceso il Logos. Si evidenzia quindi la città con tutta la sua corporeità ed il cielo che dà tutta l’aria necessaria a questa terra viva.

“Colui che cavalca si chiama Fedele e Verace, giudica e combatte con giustizia (…) gli occhi hanno una fiamma (….) governa con scettro di ferro (…..) ha scritto sul femore Re dei re e Signore dei signori”. E’ chiarissimo: la figura è quella del Cristo, il Logos di Dio, con caratteristiche regali e di giudice. E’ un’immagine potente, è un combattente e la sua cavalcata dal cielo alla terra è veramente l’allegoria dell’incarnazione, con tutta la potenza che si è resa necessaria nella croce e nella risurrezione. E’ il Logos, lo stesso del Prologo, è il Cristo preesistente ed il Cristo susseguente, è proprio la totalità della storia e contemporaneamente la particolarità dell’incarnazione: Cristo che viene in un certo tempo, in un dato luogo, ma insieme tutta la storia sta dentro questo movimento.

Poi un angelo ritto sul sole proclama la battaglia in mezzo al cielo, invitando gli avvoltoi a mangiare i cadaveri, (era una delle ingiurie iniziali scambiate tra i combattenti antichi dire che gli avvoltoi avrebbero mangiato il cuore ai vinti). L’angelo dà il via ufficialmente alla battaglia e la bestia con i re della terra vi si precipitano ma, stranamente, Giovanni, che precedentemente aveva usato innumerevoli immagini e figure, ora, quando si penserebbe di essere arrivati al clou, alla battaglia di Armaghèddon, risolve il tutto in tre righe: ” Vidi allora la bestia e i re della terra con i loro eserciti radunati per muovere guerra contro colui che era seduto sul cavallo e contro il suo esercito. Ma la bestia fu catturata e con essa il falso profeta”. Si resta stupiti e confusi.

Questa è una delle tante dimostrazioni delle nostre stratificazioni interpretative sull’Apocalisse: Giovanni non ha alcuna compiacenza nelle immagini cruenti che vengono usate solo quando servono. Qui è chiaro che il problema non è più la battaglia, perché ha già spiegato prima che cosa significa essere dell’esercito del re e quindi non c’è bisogno di insistere su immagini forti; dice naturalmente come va a finire perché si sta occupando del finale. Questa è la battaglia di Armaghèddon. Ora, siccome su tale battaglia c’è una serie di immagini tra cui l’ultimo film uscito l’anno scorso con questo titolo, occorre dire che qui Giovanni fa solo un giochetto linguistico, molto chiaro per un lettore ebreo suo contemporaneo, ma molto meno per noi. Può essere spiegato in poco tempo e, una volta chiarito, si capisce che non c’è alcunché di oscuro, di misterico, di satanico.

Armaghèddon non è un luogo. Se si cerca questo nome da qualche parte, anche su carte antiche, non lo si trova. E’ inventato da Giovanni. Giustamente i commentatori si sono chiesti che nome sia ed hanno provato scomposizioni in radicali linguistici. La più lineare, più facile, dall’ebraico, è che Armaghèddon sia una parola composta e che significhi il monte di Meghiddo. Questo posto esiste ed è importante nell’autocomprensione di Israele, ma c’è un problema perché è una piana, non un monte. Lasciando da parte, per ora, tale questione, nella piana di Meghiddo sono successi avvenimenti molto importanti per Israele: la battaglia in cui il giudice Barak, dell’epoca dei giudici, ha vinto contro i Cananei consegnando il primo territorio di Cana a Israele e secoli dopo la battaglia in cui il re Giosia è stata sconfitto dai babilonesi, con la conseguente fine del regno di Israele.

La piana di Meghiddo è esattamente l’inizio e la fine dell’Israele storico e chiaramente Giovanni sta dicendo che la battaglia finale è quella dell’inizio e della fine della sinagoga; sicuramente delle nostre storie personali, ed anche della storia comune dell’umanità. Tradotto in termini spirituali è il luogo della verità, quello in cui uno dice: “Dove avevi incominciato ed ora dove sei finito?”. Però non è soltanto la battaglia della fine, ma anche quella dell’inizio, come se il giudizio dovesse avvenire da dove si è partiti a dove si è arrivati, perché non è mai un giudizio astratto. Usando un linguaggio del novecento, che Giovanni non poteva conoscere, è la battaglia finale nella quale si gioca un pezzo di percorso di ciascuno di noi.

Sul problema per cui la piana di Meghiddo è diventata un monte, quasi tutti i commentatori sono d’accordo (ed io penso che sia ragionevole conoscendo il modo di ragionare di Giovanni) affermare che è perché Gesù è stato crocifisso su un monte, il Golgota. E’ chiaro che Giovanni sta parlando della morte di Cristo, dunque è evidente che la piana di Meghiddo diventa il monte di Meghiddo, quindi Armaghèddon, il luogo dove la croce di Gesù esercita il giudizio sul principio e sulla fine, cioè sul percorso, sul pezzo di strada. Per un ebreo che conosceva la scrittura questo era molto chiaro.

Domanda: attualmente dove sarebbe Meghiddo?

Con una certa approssimazione, come per tutti i luoghi antichi di Israele, dovrebbe essere nella piana immediatamente dopo il Giordano. Arrivando dalla Giordania, attraversato il fiume, leggermente a sud della Samaria.

Quanto detto prima, rende molto chiaro questo primo pezzo: il cielo è aperto; su un cavallo bianco scende il cavaliere, Colui che compie in sé la pienezza originaria e felice dell’uomo. E’ il movimento dell’incarnazione con la proclamazione ufficiale della battaglia finale, inizio e fine del pezzo del percorso ed è nettamente vittoriosa senza nemmeno tante storie. La bestia ed il profeta vengono gettati nello stagno di zolfo, vanno subito all’inferno; Satana è invece incatenato per mille anni, poi viene fuori e succede una seconda battaglia, Gog e Magog, con un secondo giudizio.

Intervento: da cui “goga e migoga” che vuol dire far bagordi?

Sì, senza scherzi, è lo storpiamento di Gog e Magog e vuol dire nel linguaggio popolare darsi alla pazza gioia, che nell’immaginario puritano ottocentesco era l’esperienza peccaminosa, tutta la possibile dissolutezza.

Dunque compaiono due serie parallele con le due battaglie, bestia e falso profeta, potere politico e potere religioso corrotto, fuori al primo colpo; Satana incatenato che sarà poi sconfitto; in mezzo il regno millenario di Cristo; poi giudizio e giudizio, prima resurrezione non definitiva e seconda resurrezione. Due serie assolutamente parallele.

La quantità di interpretazioni su questo è veramente ampia. Una delle teorie sostiene che Armaghèddon è la lotta tra Gesù ed i farisei, poi c’è il regno della chiesa, il regno di Cristo, quindi Gog e Magog, cioè la fine del mondo in cui termina proprio tutto. Un’altra ipotesi dice che Armaghèddon è la fine del mondo, poi c’è il purgatorio, il tempo di purificazione, quindi il giudizio finale. Una terza interpretazione afferma che Armaghèddon è la storia biografica di ciascuno, con la sua morte ed il suo giudizio; nel frattempo c’è un percorso che prosegue, poi ad un certo punto, compaiono Gog e Magog, cioè il giudizio finale.

In tutto il ragionamento di Giovanni fino a questo punto, l’idea che a me pare più convincente è che tutto quanto accade prima di Cristo. Egli sta parlando dell’incarnazione, morte e risurrezione di Cristo e non si capisce perché, improvvisamente, qui dovrebbe spostare la sua attenzione sulla fine del mondo, sulla chiesa; non è un suo interesse. La prima e la seconda sono comunque battaglie cristologiche. Inoltre Giovanni ha sempre portato avanti la polemica contro Israele ed allora, forse, i mille anni imperfetti in cui Satana è incatenato, ma non sconfitto, sono gli anni della prima alleanza. La prima battaglia è quella che Dio combatte per il suo popolo, l’Esodo, ed ha come immagine Meghiddo, la storia d’Israele; poi c’è il tempo dell’antica alleanza, tempo di imperfezione nel quale Satana è prigioniero, ma non sconfitto, infine la sconfitta definitiva di Satana con la morte di Gesù. Su questo ovviamente si può discutere.

Credo che uno dei valori di un testo come questo sia proprio la sua possibile lettura plurale, cioè il fatto che veramente si può leggerlo in molti modi e, salvaguardando la centralità di Cristo, funziona sempre. Mi piace molto l’idea della lettura, abbastanza diffusa, che Gog e Magog sia la crocifissione di Cristo perché ci manda all’indietro invece che in avanti, ci radica in ciò che è già accaduto togliendoci la pulsione, l’ansia di decifrare, spiegare, intuire, guardare, come in una palla di vetro in cui si legge il futuro, cosa accade, chi si salva, come si salva. Le battaglie epocali sono già accadute in Cristo e quindi non c’è più nulla da compiere se non ricevere ed addobbare la Gerusalemme sposa, quindi ciò che succede dopo è il tempo della storia. Fino ad ora è quanto è accaduto e ci mette quieti perché è una battaglia relativamente tranquilla.

Segue tutta la questione dei giudizi su coloro che nella prima battaglia vengono giudicati giusti e sui quali, già dall’Armaghèddon, la seconda morte non avrà più potere: sono coloro che hanno dato testimonianza e sono morti, cioè i giusti ed i martiri dell’Antico Testamento. E su questo Satana è già legato perché sui giusti egli non esercita più potere nemmeno nella prima alleanza. Questi si sono già qualificati. Gli altri, quelli che non si erano qualificati, rimangono morti fino alla fine del regno millenario, ma poi sono ripresi.

Con la discesa di Gesù agli inferi, la tradizione cristiana ha sempre insegnato che Egli andava a prendere i morti e si riusciva così a dare sia un peso, un valore, a chi aveva seguito la legge di Israele, sia a non escludere tutti gli altri. Credo che tale dovrebbe essere il criterio su cui ragionare quando riflettiamo sulla questione di chi si salva.

Il criterio è sempre questo: nella rivelazione cristiana, da un lato non è irrilevante, quindi ha un peso, l’essere nell’esercito di Dio; dall’altro però non è rilevante nel senso di “ad esclusione di”, ma lo è “ad inclusione di” nel disegno di Dio. E qui Giovanni lo dice usando la categoria temporale perché è quella che noi capiamo, cioé la storia; è come se i morti nella prima risurrezione aspettassero un po’ di più. Da questo l’immaginario popolare aveva creato l’idea, semplice, del purgatorio.

Intervento: nella tradizione orientale Cristo risorto viene rappresentato che scende mentre noi lo rappresentiamo in ascesa.

Sì, ma per un motivo: loro non rappresentano mai la risurrezione in sé, ma solo la discesa agli inferi alla quale fanno seguito le apparizioni del risorto. Dunque rappresentano Cristo morto, deposto, la sua discesa agli inferi…. silenzio e poi le varie apparizioni.

L’iconografia orientale della discesa agli inferi è bellissima: ha le due porte che sono proprio quelle dell’inferno messe incrociate come se Lui le spaccasse con i piedi andando giù e sotto le due porte c’è il cranio, che sarebbe quello di Adamo; poi, da un lato, le offerte di Abele, dall’altro l’arca di Noè, i due buoni che stanno a fianco di Adamo per intercedere. Nella tradizione cristiana il Golgota sarebbe il luogo della sepoltura di Adamo.

Intervento: si potrebbe però dire che la salvezza è possibile anche senza il sacrificio di Cristo. Quelli di Armaghèddon erano prima che Egli si fosse sacrificato.

Non è il sacrificio che salva, ma l’incarnazione nel suo insieme, che contiene anche il sacrificio. Giovanni è il primo ad introdurre l’idea del cristocentrismo in tutta l’opera di Dio: cioè dalla creazione fino all’ultimo giorno tutto è in funzione di Cristo. Giovanni è il primo che tenta di stabilire un rapporto tra la particolarità dell’evento Cristo e la sua universalità. E questo passaggio, che sembra una cosa teorica, in realtà è fondamentale. Senza tale passaggio la chiesa non avrebbe mai potuto svilupparsi perché esso ci consente quella cosa, per noi scontatissima, normale, banale, su cui spesso non riflettiamo, che è il riconoscere la storicità particolare dell’evento di Gesù e la sua contemporaneità a noi stessi, sempre e a tutti.

E’ un’operazione che noi facciamo in modo automatico, però è una categoria di pensiero complicatissima, perché significa stabilire un nesso tra la particolarità di un evento storico e la sua universalità. Questo è uno dei problemi seri del cristianesimo odierno. Per noi è automatico il senso spirituale: uno sente il Cristo contemporaneo a sé, se è credente, in modo spirituale e razionalmente riconosce la storicità di Gesù, l’evento particolare, ma abbiamo separato questi due momenti per cui poi questa cosa non funziona mai. Teologicamente l’incarnazione di Cristo è un dato storico, ma spiritualmente funziona diversamente: Gesù è un amico. Si è perso il legame tra questi due livelli.

In Giovanni l’idea è che tutto è compiuto in funzione di Cristo, cioè che l’universalità dell’evento Cristo non è dato dalla sua particolarità storica, ma dal fatto che Egli è vero Dio, quindi nella Trinità Gesù è il Logos di Dio da sempre, non solo quando è rivolto a noi.

Intervento: quindi è ininfluente che l’incarnazione sia avvenuta duemila anni fa; poteva succedere diecimila anni fa?

No, è proprio questo. E’ influente perché è in relazione, noi diremmo, al decadimento di Israele che finisce la sua funzione. L’annuncio della festa orientale del Natale, cantato anche a Lerins, dice: “Quando furono colmi i tempi della pazienza di Dio, sotto il dominio di Cesare Augusto…”.

Come già dicevo precedentemente riferendomi al criterio per cui è rilevante quello che accade storicamente: il giudizio, i buoni, i cattivi…, però non ad esclusione, ma ad inclusione. Cioè se io dico che riceverò il regno di Dio per un bicchiere d’acqua, non vale il viceversa, cioè non è che chi non avrà dato un bicchiere d’acqua non avrà il regno di Dio. Allo stesso modo è rilevante che Gesù sia nato duemila anni fa, in Israele e non altrove, in un momento preciso della storia, perché Giovanni individua molto chiaramente il tempo di massimo fulgore di un certo tipo della sapienza greca, del decadimento legalistico di Israele, cioè che è un incrocio rilevante, ma non vuol dire che tutto il resto allora sia fuori. Giovanni ha, da un lato il problema della sinagoga, dall’altro quello della gnosi.

Credo che questo tema, questo criterio, che stabilisce la rilevanza della particolarità non escludendo l’ universalità, sia l’incubo e l’incanto del cristianesimo, la radice del novantanove per cento delle eresie. Incubo in quanto porta continuamente fuori, ma contemporaneamente è uno dei motivi per cui il cristianesimo si può veramente chiamare la “buona notizia” perché consente di dire che tu peli le carote e questo è il peso dell’eterno e non c’è niente che potrà salvare il mondo in quel momento lì per te se non che tu peli le carote o lavi i calzini e contemporaneamente che se tu quel giorno lì non peli carote e non lavi i calzini, non per questo è in gioco la salvezza.

Questo è l’altro modo per dire ciò che più volte ho ribadito è cioè che la salvezza è che noi non siamo tutti lì, che ogni cosa della nostra esistenza non è tutta e totalmente lì per quello che è e che avere la vita eterna significa l’esperienza che tu sei lì, che quella cosa è vera, molto importante, che tu sei lì più di quello. E molte volte non sai nemmeno bene che cosa di più, quanto hai, dove, come, ma hai l’intuizione salvifica che sei di più che quello.

Detto in termini esistenziali è così, detto in termini ontologici, oggettivi, è il particolare e l’universale, la rilevanza radicale del particolare che, proprio perché particolare, consente l’universale. E’ lo stesso principio che Vaticano II applica alla chiesa quando dice che la chiesa cattolica è universale, ma non si fa esperienza della chiesa universale se non in una chiesa particolare. Questo nesso tra particolare e universale è veramente l’incubo e l’incanto del cristianesimo, una delle sue cose più vitali, più feconde, più generatrice di cuori grandi, di vita piena ed insieme è continuamente l’incubo perché si continua a perderlo di vista. E’ difficilissimo, nelle cose concrete, tenerlo vivo: o ci si concentra sul particolare o sull’universale, o si diventa astratti o iperconcreti.

Il discorso che prima dell’inizio si faceva sulle apparizioni mariane sta esattamente in questa logica: la particolarità di un’apparizione che ha motivi storici, un genere letterario storico, una collocazione precisa, motivazioni varie, ha tutta la sua rilevanza ed è doveroso capirla. In chiave personale, se volete spirituale, ognuno di noi sa di avere una vita che non si concentra nell’accendere una candela ad un santo e non prende troppo sul serio questo fatto, ma altrettanto sa che ci sono momenti particolari nella propria esistenza in cui si è talmente a zero per molti motivi che l’unica cosa da fare per un altro a cui si vuol bene ed è in un guaio è accendere una candela. Alla fine si paga una tangente in candele perché si ha più spazio nel cuore del potere che si possiede. Questo, in termini teologici, perché noi siamo storici, particolari, con un nome proprio, una vita sola, e contemporaneamente abbiamo dentro di noi l’immagine e la somiglianza di Dio. Quindi siamo con la stessa dignità di figli, con un unico volto di fronte a Dio Padre, siamo universali, capaci di pensare in concetti comunicabili universalmente quindi siamo esattamente fuori misura di noi stessi, sovrabbondanti.

Dunque, come la psicanalisi ci ha spiegato, uno dei percorsi più faticosi, ma assolutamente indispensabili per diventare una persona, è l’individuazione, l’uscire dall’onnipotenza e dall’ idealizzazione dell’adolescenza per diventare individuo, uno, attraverso una serie di operazioni di separazioni, di cali nella realtà, di frustrazioni del desiderio. E non ci sono alternative perché le altre alternative sono le nevrosi, cioè continuare a cinquant’ anni a sentirsi onnipotenti o idealizzati come adolescenti, infastidendo se stessi e tutti coloro che stanno intorno. Quindi l’unica possibilità che abbiamo è individuarci, diventare un individuo, un particolare.

Il cristianesimo ha qui il suo nucleo, che è il suo incubo ed il suo incanto ed è la buona notizia: siamo a immagine e somiglianza di Dio, dunque commisurati all’universale e totalmente individuati. E questo impossibile necessario, cioè essere grandi come Dio e storici come ciascuno di noi in Cristo si può fare.

Intervento: in questa prospettiva la parabola del padre misericordioso è molto bella allora, quindi non è più Giovanni, c’è un altro…..

Sì, ma l’impianto è lo stesso. Giovanni lo tematizza. Veramente questo è il cuore. Nei primi quattro secoli la riflessione del cristianesimo fino a Calcedonia, arrivava a dire “vero Dio e vero uomo”, che è la formalizzazione filosofica di questa questione. Giovanni è il primo a formalizzarlo perché prima di lui l’esperienza di Cristo era troppo vicina e c’era innanzitutto il problema di fissarla e di raccontarla.

Infatti, Luca pone il problema perché egli ha il tema del ritardo della parusia. La sua questione è: “E’ venuto Gesù, c’è stato Armaghèddon, quindi fine”. Scrivendo il suo Vangelo Luca incomincia ad accennare che non ci si può fermare sul particolare, ma occorre rimanere in un universale. Poi Giovanni lo tematizza con strumenti culturalmente più raffinati.

Volevo ancora dire una cosa sulla questione dei mille anni. Noi abbiamo l’idea che ci sia il millenarismo a causa del fatto che Giovanni parla dei mille anni, invece è il contrario. Poiché al tempo di Giovanni c’erano vari tipi di millenarismo: gnostico, essenico…. non tanto sul mille ma sui numeri cabalistici, su tempi determinati dei regni, egli, considerando che tutto questo faceva parte della sua cultura diffusa perché molti cristiani l’avevano interiorizzata, la prende come dato per metterla al posto giusto nella riflessione cristologica. E’ come se noi oggi prendessimo la riflessione sulle energie buone e cattive della new age che c’è nell’aria e riprovassimo a dire alcuni temi chiave del cristianesimo usando quel linguaggio e riconvertendo quella cosa al cristianesimo. Noi siamo invece nella situazione culturale opposta in cui sono queste esperienze di nuove religioni che prendono i pezzi del cristianesimo e li sistemano nel loro orizzonte di pensiero.

Giovanni fa esattamente quello che fanno oggi le nuove sette, quindi prende cose nella cultura qumranica, essenica, gnostica, cabalistica e numerica dell’epoca, forzandole dentro il significato cristologico. Quando dice il regno di mille anni sta dicendo che c’è un tempo determinato della storia, la vecchia sinagoga, in cui vige un dominio parziale dove i giusti possono comunque testimoniare la fedeltà alla legge e dove Cristo è giudice, cioè il Dio della legge. I mille anni è pigliare un concetto comune e metterlo al posto giusto: questo è il tempo determinato. Dopodiché, finiti i mille anni, c’è la totalità del tempo in cui Satana è sconfitto definitivamente e gettato nello stagno di fuoco e di zolfo.