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Storia della Chiesa (XIV)

Gruppo del venerdì
Maggio 2002

Sul profilo del cattolicesimo, dalla fine del cinquecento ad oggi, quello che succede è sostanzialmente una decadenza, almeno dal punto di vista della forma di chiesa. Il cinquecento è il punto di sistematizzazione massima, che comincia a segnare la crisi.

Da Trento in poi “cattolico” vuol dire quello che vuol dire oggi, gerarchia, diocesi, organizzazione, ecc.

Immediatamente dopo Trento, Pio V organizzò le Congregazioni Romane. La curia, fino alla riforma di Paolo VI, subito dopo Vaticano II, avrà la stessa conformazione, suddivisione, organizzazione, voluta allora da S. Pio V.

L’idea che noi abbiamo di Vaticano, come uno stato, viene inventata da Trento. E’ la compiuta forma della istituzionalizzazione della Chiesa; una realtà per cui noi cominciamo a dire “la chiesa” pensando alla chiesa istituzione.

 La questione che resta aperta riguarda le due grandi correnti del quietismo e della mistica, che sono l’aspetto dell’esperienza credente che resta fuori da quest’opera di centralizzazione e organizzazione, l’unico pezzo di esperienza credente che, essendo venato di santità, ma sempre anche molto sospetto, rimane un po’ fuori dai giochi, un po’ marginale.

Le due correnti, che nascono con la parte che resta fuori da Trento, sono sempre state guardate dalle istituzioni ambiguamente perché, mentre da una parte gli si riconosceva un alone di santità, dall’altra erano viste come pericolose.

Lettura della SCHEDA allegata

Perché la Riforma Protestante si è diffusa nel nord e non in Italia?

  1. E’ molto sottovalutato il peso che  ha avuto l’Umanesimo, in termini produttivi; da questo punto di vista, paradossalmente, essendoci in Italia un filone culturale che oggi chiameremmo laico, più vicino ai temi della classicità, meno interessato alle questioni religiose, questo ha fatto in realtà da barriera antiprotestante. L’Umanesimo aveva un atteggiamento ottimista rispetto all’uomo, positivo rispetto all’idea della natura, atteggiamenti completamente estranei all’idea della Riforma che invece aveva un’idea un po’ triste della vita, dell’uomo e del suo rapporto con le cose.
    Su questo sarebbe interessante ragionare un po’: come talvolta può succedere che posizioni laiche difendano di più la fede di certe posizioni apologetiche.
    Laddove la Controriforma ha picchiato duro, sono diventati più protestanti ancora; laddove invece non c’è stata una reazione così violenta si è verificata una realtà culturale che aveva in sé degli anticorpi rispetto ai problemi che la questione poneva.
  2. Fino quasi alla metà dell’ottocento la Polonia è stato  uno dei paesi più progressisti, dal punto di vista del rapporto stato-chiesa. Pur nelle forme di una monarchia teocratica (nel ‘500 non c’era altro modo di essere monarchia) questo rapporto ha consentito uno sviluppo, dopo la cosiddetta “guerra dei quattro regni”, dell’idea di uno stato laico in una nazione cattolica: cosa che in altri luoghi avverrà duecento anni dopo.
  3. Mi interessa sottolineare questa cosa perché siamo abituati a pensare il cattolicesimo latino, a differenza di quello del nord Europa, come molto solare e, tutto sommato, molto paganeggiante, molto mescolato, sincretistico, rispetto ai culti della natura. Sotto al cattolicesimo latino è rimasta un’anima pagana molto forte e mai totalmente spenta; il cattolicesimo latino è diventato moralista, ma non triste; fortemente sessuofobico, ma mai angosciato. Il cattolicesimo del nord invece, cosa visibilissima anche oggi, ha un tono molto più triste.
    L’area della Riforma ha più attecchito in Italia su alcuni contenuti specifici, attorno ad alcuni circoli antiistituzionali, di area anarchica, libertaria, che  non per la sua portata liberatoria a livello popolare rispetto ad un clima di angoscia.
  4. Cosa interessantissima è che uno dei motivi per cui la Riforma in Italia non ha attecchito è perché in Italia quella che noi oggi chiameremmo con linguaggio moderno  “la presenza laicale”, cioè la capacità, la volontà, ma anche il mettere in atto delle organizzazioni di laici che più o meno ignorantemente davano vita ad esperienze reali di chiesa riformata, è stata fecondissima.
    Da una parte c’era l’antica tradizione delle confraternite, ritagli di fede popolare autorganizzata; è stata segnata una popolarità del cattolicesimo italiano che dura tutt’oggi, sconvolgente forse per chi entra in contatto con la Chiesa Italiana. Quanto e come il cattolicesimo si intreccia alla vita quotidiana della gente, anche di chi è indifferente o il ruolo che ha ancora oggi la parrocchia, anche per chi non la frequenta: tutto questo è figlio della vitalità ecclesiale laicale di base che, soprattutto fra il ‘400 e il ‘500 ha dato origine a pluralità di forme.
    A cavallo del Concilio di Trento la forma che più si usava era quella dell’oratorio: un luogo per pregare, una chiesa che non stava sotto una giurisdizione diretta, non una parrocchia, non un privilegio ecclesiastico. L’oratorio nasce perché a quell’epoca intorno alla chiesa erano legati i benefici, cioè quello che doveva essere pagato al prete per la sua sussistenza, in alcuni casi garantito da una famiglia nobiliare o da una comunità
    Gli oratori vivevano  invece una vita apostolica spesso senza prete e dunque senza dover pagare un beneficio.
    Dall’oratorio, e intorno ad esso, nascevano cose diverse (ricordiamo San Filippo Neri) Questo è il motivo per cui spesso le Confraternite hanno la loro chiesa, un oratorio appunto. In realtà, nasce prima la chiesa, senza beneficio e senza prete; intorno a questa nasce la confraternita, che così ha la sua chiesa.
    Spesso alcuni dei preti santi della Riforma Cattolica, per scelta, si mettevano a servire negli oratori, rinunciando a qualsiasi beneficio. A questo punto si incontravano i preti migliori, più spirituali, con la gente più attiva. Dunque queste esperienze erano normalmente molto belle.
  5. Questa è la grande epoca nella quale hanno un grande sviluppo gli ordini religiosi.
    Vediamo la classificazione degli stati giuridici nella Chiesa. La grande divisone di base è presbiteri e laici. Gli ordini religiosi, in questa grande divisione sono un elemento che, mano a mano che si sviluppa, complica questa semplice suddivisione.  Alcuni di essi sono a  maggioranza  costituiti da preti, altri da laici con promesse o voti e, su questa base, nel corso della storia si sono poi immesse infinite variabili. Nella chiesa ci sono tre forme giuridiche: i voti, le promesse semplici, le promesse pubbliche. I voti, di per sé, li fanno soltanto i monaci e alcune famiglie di religiosi.
    In questo periodo si sviluppa moltissimo una forma piuttosto pubblica: quella dei canonici regolari, che sono dei preti normali (oggi si direbbero diocesani) i quali però fanno tra di loro gruppo e prendono un impegno di particolare santità di vita. Considerando che ciò che è richiesto ad un prete è, da un punto di vista formale, troppo poco, si impegnano all’interno del loro gruppo, ad aiutarsi l’un l’altro ad essere più fedeli ad alcune cose.
    Nel periodo della Riforma Cattolica, dopo Trento, c’è un grande fiorire di questi ordini di canonici regolari: era la forma più mediata di avere cura della gente con uno stile di santità, un’attenzione alla povertà, un non entrare nei giochi dei nobili, ecc. Questi sono anche gli ordini che oggi sono più in decadenza, in quanto oggi non ci sono più le necessità di allora.
    Figura particolare sono i Gesuiti, tipici di questo periodo: tutti preti che fanno un voto in più, cioè quello di obbedienza al Papa e quindi la Compagnia di Gesù si caratterizza come un ordine religioso che fa riferimento unicamente al Papa e non ai vescovi, proprio per combattere la corruzione dei vescovi.
  6. Nel 1500 e ancora fino alla metà del ‘600 non era necessario essere ordinati sacerdoti per diventare cardinali. In questo periodo della Riforma Cattolica due o tre laici di grande rilievo, cosa che non accadeva fin dai tempi apostolici, vengono fatti cardinali. L’idea era di spezzare la corruzione del collegio cardinalizio.
  7. Vaticano II, di fatto, risolve il grosso dell’agenda delle questioni poste allora. In fondo, paradossalmente, è un concilio rivolto all’indietro che risolve una serie di questioni che da quattro secoli bollivano. Le vere questioni innovative, come ad esempio la riforma del ministero, non vengono risolte.

Rispetto al Concilio di Trento l’atmosfera è un po’ questa: l’urgenza di riforma è chiara a tutti. Per tutto il sud dell’Europa l’urgenza di riforma è una questione non teologicamente legata ad un tema significativo, come è invece la questione posta da Lutero. Nel nord dell’Europa questa urgenza di riforma collassa invece con una serie di temi teologici seri, ma tutti e due questi mondi non riescono ad intravedere la questione della forma della Chiesa: uno in termini di aggiustamenti, l’altro in termini di idee teologiche, nessuno dei due pensa globalmente a un’ipotesi di una chiesa che si pensi e si capisca in modo diverso. E’, in fondo, un dibattito medievale.

 

Perché non si dice più “controriforma”? Perché in realtà quello che avviene nel mondo cattolico non è tanto contro Lutero, ma raccoglie di più l’istanza riformatrice quanto alle cose da risistemare e lascia cadere, e in fondo non capisce, l’istanza teologica. C’è tutto un mondo che non ha capito il problema teologico e un altro mondo che, nell’affrontare il problema teologico, finisce per fare un’altra chiesa, senza tuttavia averla pensata. Gli unici che pensavano veramente a un’altra chiesa furono Zwingli e Calvino, che, infatti, non andava d’accordo con Lutero. Zwingli e Calvino non pensano ad affrontare il problema teologico che Lutero pone, ma pensano a riorganizzare le chiese; in modo analogo a quello cattolico, ma molto più duro.

Tutti sono d’accordo sulla necessità di fare un concilio. La crisi conciliatorista è ancora molto vicina e si è risolta per estinzione fisica dei papi senza che si sia risolto il problema.

Anche al tempo di Vaticano II la questione resta irrisolta anche se non si accampano più diritti su “chi convoca chi“. Per tre sessioni Vaticano II non ha votato un documento, discutendo sulla procedura da assumere in quanto non c’era memoria di come ci si dovesse comportare. Hanno discusso enormemente anche sulla questione della modalità di voto e sulle modalità delle proposte di voto.

Ora immaginiamo questa situazione portandola al tempo della crisi conciliatorista. Fra re, cardinali e il papa c’è tutto un movimento di favorevoli e contrari a tutto.

Alla fine il concilio viene convocato dal Papa, che invita non tutti i vescovi, come oggi ci sembrerebbe normale, ma alcuni vescovi, e una serie di persone che egli riteneva interessanti.

Il concilio si apre infine a Trento il 15 dicembre 1545. I presenti sono pochissimi; non ci sono i francesi in quanto il re di Francia era contrario; c’erano soprattutto italiani. Il Concilio si apre con un ballo, nella logica di corte, nella logica di una riunione di potenti. All’inizio del Concilio gli italiani rappresentano i tre quarti dell’assemblea, quindi possono avere una grossa influenza su qualsiasi decisione. E’ difficilissimo dire quanti hanno partecipato a Trento in quanto le presenze erano fluttuanti. Il Papa non è presente al Concilio: dopo averlo convocato manda a presiederlo dei legati.

Intanto, essendo arrivata la peste a Trento, il Concilio viene spostato a Bologna. Alla fine viene sospeso, senza che si sia concluso qualcosa. Sale al soglio pontificio Giulio III, che lo riprenderà in mano, riconvocandolo a Trento nel 1551.

In seguito sale al soglio pontificio Paolo IV che pensa che il Concilio sia una inutile perdita di tempo, ma non vuole chiuderlo per vari motivi e decide di svuotarlo dall’interno, cioè di avviare un processo di riforma centralizzata da parte sua lasciando che il Concilio si estingua per mancanza di temi da discutere. Innanzi tutto mette mano a riformare la Santa Inquisizione, costituendo il nucleo di quella che diventerà, ed oggi è, la Congregazione per la dottrina della fede, pensando all’inquisizione non più solo come a un tribunale che giudica chi gli viene consegnato, ma in senso moderno, di qualcosa che osserva, studia, si pronuncia anche senza un reo, che costituisce l’aspetto dottrinale del pontificato. Pensate che Paolo IV arriva ad inquisire la metà del collegio cardinalizio per eresia!

Alla sua morte improvvisa succede Pio IV che riapre il Concilio di Trento, e sarà quella sessione che scriverà i documenti, arrivando all’anno 1562.

 Trento, in realtà, è stato un grande concilio riformatore: mette mano a ad una prima organizzazione, cosa che era sempre mancata nella chiesa cattolica. Tutti quegli elementi di cui abbiamo parlato fino ad ora, sparsi e non codificati, vengono codificati con una incredibile operazione storica che dipinge un volto teorico di una specifica chiesa. Per la prima volta emerge la chiesa come istituzione oggettiva: viene stabilito il curriculum per diventare preti, viene definito il catechismo, viene definito un decreto sulla celebrazione dei sacramenti.

SCHEDA

Riforma protestante – Riforma cattolica in Italia

L’Italia non fu conquistata dalla Riforma protestante. I pochi cenacoli isolati (Napoli, Lucca, Ferrara e Venezia) ebbero carattere aristocratico e non fecero unità tra loro. Piccolissimi ruscelli, che non formarono un fiume. Quali le cause? Vediamo alcuni aspetti.

L’Italia non aveva il complesso antiromano dei tedeschi, anche perché la curia romana era formata da prelati italiani. Inoltre la penisola italiana era stata la culla dell’umanesimo, che per il suo ottimismo sorprendente era agli antipodi del radicale pessimismo di Lutero. Infine, il protestantesimo fu bollato in Italia come “la peste d’oltralpe”, e arrivò come merce straniera (1)

Non va poi dimenticata l’incidenza dell’Inquisizione, che arrestò e condannò al rogo alcuni luterani italiani. Altri vissero come nicodemiti (= criptoprotestanti) in Italia, oppure emigrarono all’estero. II denominatore comune degli eretici italiani fu l’allergia verso le strutture sia cattoliche che riformate, cosicché dovettero pellegrinare da una nazione all’altra, trovando pace solo nella cattolicissima Polonia, dove il pio re Stefano Bathory si ispirava a questo programma: “Ci sono tre cose, che Dio ha riservato a sé: creare dal nulla, conoscere il futuro, giudicare le coscienze”. (2)

Se la dottrina di Lutero non attecchì in Italia, ciò forse è dovuto anche a due altri fattori.

Primo: la religiosità della penisola non aveva i fremiti dell’angoscia e non era travagliata dai terrori del demonio o dell’inferno, che caratterizzavano la Germania del giovane Lutero. (3)

Secondo: già alla fine del sec. XV l’Italia era percorsa da fremiti vivaci di rinnovamento, che anticiparono sia Lutero sia il Concilio di Trento. Sono i semi della Riforma cattolica che trova la sua carta d’identità in questa frase inaugurale del Lateranense V: gli uomini devono essere riformati dalle cose sante; non le cose sante dagli uomini (fu pronunciata nel discorso d’apertura da Egidio da Viterbo, il 3 maggio 1512).

La Riforma cattolica parte dalla base, mentre al vertice papale siedono un Alessandro VI, un Giulio li, un Leone X, personalità altrettanto ricche di qualità umane quanto povere di affiato religioso. Fra i gruppi di base, il filone più incisivo è la Compagnia (o Oratorio) del Divino Amore, che lo storico Pastor chiamala cittadella della Riforma cattolica. La prima comunità nacque a Genova nel 1497 ad opera di Ettore Vernazza, su impulso di S. Caterina Fieschi. Era costituita in prevalenza di laici, che si impegnavano a sviluppare un’intensa vita spirituale (confessione e comunione, contatto con la Bibbia, preghiere in comune) e a svolgere attività caritativa a favore dei condannati a morte, delle donne traviate, degli orfani, degli appestati e dei colpiti dal morbo gallico o sifilide (i cosiddetti incurabili). (4)

Dalla matrice del Divino Amore, irradiato in tutta Italia, nacquero molteplici iniziative di riforma (i Teatini, i Somaschi, alcuni vescovi zelanti). (5)

Un fatto degno di segnalazione è la larga presenza femminile in questa costellazione di riformatori cattolici: Osanna Andreasi (1449‑1505) di Mantova unì mirabilmente la vita contemplativa ed attiva, assumendo persino la reggenza del ducato di Mantova; Stefana Quinzani (1437‑1530) di Orzinuovi (Brescia), pur attendendo alle umili faccende domestiche, elargì consigli spirituali a famiglie principesche e ad anime angosciate; Ludovica Torelli (1500‑1569) fondò le Angeliche per la riforma dei monasteri femminili e l’educazione delle fanciulle; A‑ngela Merici di Brescia crea nel 1536, con quattro secoli di anticipo, il primo istituto secolare della storia.

Pur non mancando i rappresentanti del clero, sono i laici a fare la parte del leone.

Gaspare Contarini (1483‑1542), contemporaneo di Lutero, visse una esperienza analoga a lui il sabato santo del 1511, nella confessione pasquale: sperimentò cioè la nullità totale dell’uomo, e l’infinita bontà e misericordia di Dio, che “ama noi vermicelli quanto l’intelletto nostro non può capir” (nel 1535 il laico Contarini riceverà la porpora e porterà aria nuova nel collegio dei cardinali). (6)

Nel ventaglio delle proposte di riforma venute dal basso, merita attenzione il “Libellus ad Leonem X”, il più profondo ed incisivo dei memoriali, che i due monaci camaldolesi Paolo Giustiniani e Vincenzo Quirini presentarono al papa nel 1513 perché adottasse i giusti provvedimenti nell’ambito del Concilio Lateranense VI: mettere la Bibbia alla portata di tutti; convocare periodicamente sinodi e concili per mantener viva la tensione riformistica; impegno dell’annuncio evangelico nel mondo intero; unità fra i cristiani d’Occidente e d’Oriente.

Un programma così ampio non è stato attuato neppure dal Vaticano li. La Riforma cattolica è in cammino. (7)

F.M.

 Bibliografia

MARCOCCHI,La Riforma Cattolica, 2 voli.Brescia, Morcelliana 1967‑1970; H. JEDIN, Storia del Concilio di Trento, I, Brescia, Morcelliana 1949; D. CANTIMORI, Prospettive di storia ereticale italiana nel Cinquecento, Bari, Laterza 1960; G. ALBERIGO, La Riforma protestante (antologia), Brescia, Queriniana 1979.