Vent’anni fa, il 4 novembre del 1990, moriva a soli 42 anni don Mario Picco per un incidente stradale. Teologo, insegnante di religione e professore alla STI e all’ISSR, Rettore del Seminario Vescovile di Fossano, comunicatore di grande qualità e profondità, è stato punto di riferimento spirituale per giovani e adulti che ha incontrato nel suo cammino. Ed ha guidato molti di noi contribuendo a far germogliare quell’esperienza che alcuni dopo avrebbe portato alla nascita dell’Atrio dei Gentili.
In occasione dei vent’anni dalla scomparsa, Stella Morra ha pubblicato una splendida riflessione dal titolo “La bella morte…”.
La riflessione si apre con una citazione di Jacques Derrida.
“Scrivergli, fare dono, all’amico morto dentro di sé, della propria innocenza. Proprio ciò che per lui avrei voluto evitare, evitargli la duplice ferita di parlare di lui qui e adesso come di un vivo o come di un morto.
In tutti e due i casi io sfiguro, ferisco, imbelletto o uccido, ma chi? Lui? Certamente no. Lui in me? In noi? In voi? […] [Egli] ci guarda (ciascuno dal di dentro, e ciascuno può dire che il suo pensiero, il suo ricordo, la sia amicizia riguarda soltanto lui) con il suo sguardo e, benché ciascuno di noi ne disponga anche a modo suo, a seconda della situazione e della storia, non possiamo farne quello che vogliamo. E’ in noi, ma non è nostro e non ne possiamo disporre come fosse un momento o una parte della nostra interiorità. E ciò che ci guarda può indifferentemente essere amabile, terribile, riconoscente, attento, ironico, silenzioso, annoiato, riservato, fervido o sorridente, ragazzo oppure già invecchiato, in breve può dar luogo in noi a tutti quei segni di vita o di morte che noi possiamo attingere a quella riserva definita che sono i suoi testi o la nostra memoria”. (Derrida J., Ogni volta unica, la fine del mondo, Jaca Book, Milano 2005, p. 63)
E’ proprio così: chi è morto è in noi, e ci “guarda dal di dentro”, ognuno può sentire che il ricordo dell’amico morto riguarda solo lui (è un’esperienza così intima e privata!), ma insieme non possiamo disporne a nostro piacimento, come se fosse qualcosa che esiste unicamente dentro di noi, una nostra proprietà. La bella morte ci lascia così: un profondamente nostro che non è nostro, un “dal di dentro” che non è a nostra disposizione, un fiorire di segni di vita che possiamo attingere dalla memoria. Perché la bella morte è l’altro volto della bella vita, di una vita vissuta in relazione, in un tessuto di affetti e di dono che fanno vivere con l’altro dentro.
I cristiani lo dovrebbero sapere bene: non si può dire semplicemente che chi è morto è vivo (lo è infatti, in Dio però, e in una dimensione che non ci è attingibile dalla storia secondo i modi e le forme a cui siamo abituati), né si può dire che chi è morto è morto (lo è infatti e non lo possiamo né vogliamo negare, e ci mancano la sua forma storica, le parole, gli sguardi, i gesti e il corpo…, ma crediamo e sappiamo che è vivo, in noi e nella memoria, ma anche per sempre in Dio). Per questo il Risorto, nostro Maestro e Signore, è innanzi tutto un cadavere assente, una pietra che non può più (mai più) chiudere una tomba, il paradosso di un corpo che è lui, ma è diverso, un tornato dai suoi per partire per il cielo.
Ci sono persone che sono un sacramento di questa salvifica esperienza, che così rimangono con chiarezza in noi, assenti e presenti insieme, morti e vivi insieme, a disposizione della nostra memoria e insieme sempre non possedibili e “di più”: sono passati vent’anni dalla morte di don Mario Picco ed è ormai chiaro che lui è stato ed è una persona così, uno di quelli a causa dei quali il mondo e la vita non saranno mai più come se loro non ci fossero stati.
Il tempo passa, e non è una misura oggettiva, che vale solo per i calendari e gli orologi: sembra passato solo un minuto da quando discutevo con Mario, davanti ad una pizza, di teologia e di chiesa; e insieme sembra davvero troppo il tempo trascorso dall’ultima telefonata e cerco nella memoria il suono della sua voce, per non dimenticarlo, e gli occhi un po’ divertiti che mi invitavano silenziosamente a non prendermi troppo sul serio, con affetto e ironia. Mi stupisce che ragazzi ormai grandi (hanno 20 anni!) non l’abbiano mai conosciuto e mi sgomenta un po’ che ci siamo solo noi a offrire loro la passione educativa e credente che Mario sapeva donare. Ma tant’è: fino a che siamo vivi ci tocca vivere, e raccogliere la memoria e i segni, testimoniare che la chiesa è un luogo vivibile e visibile e che Mario non è solo morto, né solo vivo.
E continuare a cercare di imparare a vivere con “lui dentro” in una forma che non avevamo mai sperimentato prima…
Stella Morra
(scarica il documento in formato pdf Ricordo di don Mario Picco)