Si fa un gran parlare di educazione e di giovani di questi tempi nella chiesa (e non solo), ma la sensazione è che i ragazzi, quelli veri, non ci siano in questi discorsi…
Se andate a vedere Scialla, film di Francesco Bruni in questi giorni nelle sale, invece i ragazzi li trovate: che bella commedia di risate e di magoni, che modo lieve di raccontare quel che pesa, che densità nella leggerezza…
Ci sono un padre non padre, adulto o forse no, un adolescente sedicenne figlio non figlio, perduto nel suo mondo o forse no, ci sono due amici preziosi ma anche no, c’è la scuola che facendo del suo meglio risulta rigida e quasi estranea, ma finisce per essere l’unico luogo dove si torna sempre, l’unico vero e svogliato “universo quotidiano” dei ragazzi (mitico il bidello fraterno e diseducativo!), c’è la droga presente sempre e facile, ma anche non usata, c’è un sottobosco di illegalità cialtrone eppure pericoloso, dove i confini non ci sono più e si scivola da una parte o dall’altra per stupidaggine e disattenzione.
Certo, l’ambientazione è Roma, città grande e notturna, con il suo gergo adolescenziale, i suoi Lungoteveri e i suoi motorini, le sue popolazioni infinite: ma sono davvero così diversi i paesi con la macchina di papà presa il sabato sera e il gironzolare all’infinito sullo stesso viale senza sapere dove andare?
Scialla nel gergo adolescenziale giovanile romano significa non prendertela, stai sereno, stai calmo; il suo contrario, che nel film torna spesso, è “accollarsi”, prendersela troppo a cuore, agitarsi inutilmente; c’è chi dice che scialla venga da shalom (pace), e chi sostiene che venga da inshallah (se Dio vuole): in ogni caso, come i ragazzi che ci stanno intorno, viene da lontano, da altrove, da una misteriosa radice divina che ha cura di una vita buona, ma che spesso parla una lingua che non riconosciamo.
Stella Morra