Don Tony era la nostra porta aperta, uno di quelli che ci hanno fatto amare la chiesa
Salutare chi ci lascia è sempre anche salutare un pezzo della nostra vita, a volte molto intima e personale; alcune persone poi hanno però segnato anche un pezzo di vita comune, rappresentano un tratto della storia che condividiamo, in un misterioso intreccio tra “dentro e fuori”, tra sentimenti personali e memorie condivise, che impone una
parola detta o scritta.
È il caso di don Tony, don Antonio Grasso, sacerdote fossanese che ci ha lasciato in questi giorni a ottant’anni… Intere generazioni di studenti del Liceo di Fossano e di giovani e adolescenti passati per Acceglio e nei gruppi di Azione Cattolica condividono il ricordo dei suoi scarponi (e delle sue pedate!), delle sue parole, della sua passione e del modo in cui ha segnato, anche spigolosamente, il volto conciliare della chiesa fossanese e la faticosa ricerca di costruire luoghi quotidiani educativi, aperti alla città, leggeri e insieme antichi e solidi. Ricerca (ma certo lui non lo avrebbe detto così!) di una forma di chiesa insieme un po’ anarchica e assai tradizionale, o forse assai tradizionale proprio perché un po’ anarchica…
Discussioni infinite e appassionate, condivisione di sciocchezze, sogni, cene e cose assai serie, campi di lavoro e corsi per gli animatori, attenzione alla politica nel suo valore più serio di “squisita forma di carità”, ma soprattutto tempo, tempo regalato ad adolescenti confusi e assoluti quali eravamo, tempo di ascolto e di rimbrotti, tempo in cui abbiamo avuto davanti un adulto (e un prete) nelle proprie scarpe (anzi, nei propri scarponi…), con i suoi limiti e i suoi doni, ma sempre gratuito e solido, che per noi c’era. Serve forse altro per crescere?
Lo so, questo ricordo è visto dagli occhi della quindicenne che ero e altri avranno altre prospettive. E una parola richiesta dalla memoria e dalla gratitudine imporrebbe anche di dire della solitudine in cui è stato lasciato in certi passaggi, delle polemiche, di una chiesa che ha faticato a darsi pace sul proprio cambiamento e ha imposto prezzi assai cari a chi lo aveva intuito. Ma non ho la visuale necessaria a esprimere questo e spero che su questo altri prendano la parola: io so solo che noi stavamo dalla sua parte, senza riserve, perché don Tony era la nostra porta aperta, uno di quelli che ci hanno fatto amare la chiesa, anche quella che non capivamo, e che ci hanno fatto pensare che si poteva rimanere nella casa comune anche soffrendo, anche brontolando, anche arrabbiati come eravamo.
Grazie don Tony, dunque: se so che si può (e si deve a volte) essere “di parte” e questo non è il contrario di amare profondamente, se so che si può (e si deve a volte) discutere e litigare e battersi per ciò che si crede buono e contemporaneamente volere davvero bene alle persone, lo devo a lei, lo dobbiamo a lei (non ho mai imparato a darle del tu, mi spiace).
Sarà per questo che non sono così scioccata di fronte a certe uscite di papa Francesco, che lasciano molti perplessi: penso spesso che queste cose le avevo già sentite, quarant’anni fa, da don Tony… Vede, don Tony, ancora una volta aveva ragione lei…
Stella Morra