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Scritto il 4 Maggio 2016

Il “Santo Popolo di Dio” come orizzonte

Il “Santo Popolo di Dio” come orizzonte

La recente lettera di papa Francesco al card. Marc Ouellet (in fondo trovate un’ampia sintesi in formato pdf), in quanto presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina (datata 19 marzo, ma resa pubblica il 26 aprile) è l’ennesimo testo di questo papa che può essere liquidato con facili considerazioni (riguarda solo un continente, l’America Latina appunto; è un breve testo non sistematico dato che si sa che questo papa non è teologo; e così via…); oppure si può prenderla sul serio, come stimolo che un pastore “non-qualsiasi”, il Vescovo di Roma, offre alle chiese, avendo probabilmente in mente una pluralità di riferimenti che vanno ben oltre l’occasione che ha generato il testo. A questa seconda ipotesi spinge anche il fatto che il testo contiene significative autocitazioni da “Evangelii Gaudium”, quasi a richiamare appunto un orizzonte più largo e universale. E quando si riferisce a una esperienza specifica dell’America latina (la così detta “pastorale popolare”) ne riferisce la definizione non a documenti del Celam (Conferenze episcopali latino americane), ma all’ “Evangeli Nuntiandi” di Paolo VI…

A noi sembra che questa lettera, tutt’altro che di occasione, segni un passaggio fondamentale nel cammino che il Vescovo di Roma sembra aver intrapreso con assoluta determinazione: una recezione del Concilio Vaticano II che superi l’assunzione “materiale” della parole e dei concetti e ne assuma invece ben più radicalmente la forma in pienezza.

La questione è tutta nelle prime righe: assumere come orizzonte di riferimento il Santo Popolo fedele di Dio. È questo il punto di vista, la logica interpretativa, il centro e il soggetto chiave di ogni pensiero e parola sulla chiesa. E questo poiché “guardare al Popolo di Dio è ricordare che tutti facciamo il nostro ingresso nella Chiesa come laici”. È la vita ordinaria la vera materia della fede, la vita così come è, e tutto ciò che facciamo (pastorale, servizi, organizzazioni, ministeri…) è a servizio del fatto che questa vita fiorisca tra le mani di Dio per tutti.

Così non stupisce che il vero pericolo sia individuato nel clericalismo, anche quello dei laici (“Senza rendercene conto, abbiamo generato una élite laicale credendo che sono laici impegnati solo quelli che lavorano in cose “dei preti”, e abbiamo dimenticato, trascurandolo, il credente che molte volte brucia la sua speranza nella lotta quotidiana per vivere la fede”) e che si trovino affermazioni che possono sembrarci fin troppo forti (“Non è mai il pastore a dover dire al laico quello che deve fare e dire, lui lo sa tanto e meglio di noi. Non è il pastore a dover stabilire quello che i fedeli devono dire nei diversi ambiti”).

Noi, i laici, saremo in grado di “sentire cum Ecclesiam” nel raccogliere questa sfida e insieme ai nostri pastori servire il Regno di Dio?

Stella Morra

Lettera a Marc Ouellet


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