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14 Maggio 2001
Don Giovanni Giorgis

7. Canterò per il mio diletto il mio cantico d’amore per la sua vigna

Commento a: Is 5, 1-5


Concludiamo le nostre serate con il cantico della vigna, da cui d’altronde, eravamo partiti come ispirazione, di Isaia 5,1-7… Sette versetti preziosi… poi anche le pagine seguenti dovrebbero essere lette e interpretate alla luce dell’immagine della vigna, ma noi ci fermiamo al cantico in sé.

La lectio di oggi

Il testo: Is 5,1-7

1 Canterò per il mio diletto
il mio cantico d’amore per la sua vigna.
Il mio diletto possedeva una vigna
sopra un fertile colle.
2 Egli l’aveva vangata e sgombrata dai sassi
e vi aveva piantato scelte viti;
vi aveva costruito in mezzo una torre
e scavato anche un tino.
Egli aspettò che producesse uva,
ma essa fece uva selvatica.
3 Or dunque, abitanti di Gerusalemme
e uomini di Giuda,
siate voi giudici fra me e la mia vigna.
4 Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna
che io non abbia fatto?
Perché, mentre attendevo che producesse uva,
essa ha fatto uva selvatica?
5 Ora voglio farvi conoscere
ciò che sto per fare alla mia vigna:
toglierò la sua siepe
e si trasformerà in pascolo;
demolirò il suo muro di cinta
e verrà calpestata.
6 La renderò un deserto,
non sarà potata né vangata
e vi cresceranno rovi e pruni;
alle nubi comanderò di non mandarvi la pioggia.
7 Ebbene, la vigna del Signore degli eserciti
è la casa di Israele;
gli abitanti di Giuda
la sua piantagione preferita.
Egli si aspettava giustizia
ed ecco spargimento di sangue,
attendeva rettitudine
ed ecco grida di oppressi.

Si fa questione se Isaia lo abbia preso alla scuola deuteronomista: dicono, cioè, dalla scuola che aveva originato il Deuteronomio, e dato origine a quella tradizione che appunto si chiama deuteronomista; è la tradizione che sta alla base con cui è stato costruito tutto un insieme di libri storici, anche, dell’Antico Testamento. Perché inizialmente il Deuteronomio era un libro a sé, non era il quinto libro del Pentateuco; era un libro a sé, anzi era il primo libro di una serie di libri che poi sono stati tutti conservati nella Bibbia: Giosuè, Giudici, I e II Samuele, I e II Re, e che andavano sotto il nome di opera deuteronomistica, perché fatta con un determinato spirito, una determinata mentalità, secondo un determinato schema che si ripete tante volte, specialmente nel libro dei Giudici, e che era, in fondo, una teologia dell’alleanza: Dio ha amato il suo popolo, gli ha concesso l’alleanza, l’alleanza del Sinai; ma il popolo, purtroppo non è rimasto fedele a questa alleanza, allora Dio lo ha abbandonato a se stesso, sono arrivati i guai, che i profeti interpretato come un castigo di Dio; e però, poi, il popolo si ravvede, fa penitenza, si converte, Dio torna a benedire… E avanti, lo schema riprende da capo, girando su se stesso. Vi accorgete che è uno schema, perché la storia va avanti, non è che gira su se stessa. Questo è un po’ il limite dello schema deuteronomistico e alcuni attribuiscono questo canto, questa immagine, che celebra Israele come soggetto, come partner dell’alleanza, e gli rimprovera l’infedeltà; direbbero che è un frutto della tradizione deuteronomista, che Isaia ha trovato e fatto suo… Comunque lasciamo queste questioni… sono questioni interessanti, ma sono questioni letterarie. A noi interessa cogliere qualcosa del valore e del significato del testo, così com’è.

1 Canterò per il mio diletto
il mio cantico d’amore per la sua vigna.

Se costui dice: io canto per il mio innamorato, il mio diletto, vuol dire che, a sua volta, si sente innamorato dell’altro; costui si presenta come amico dello sposo, e lo sposo è Dio, evidentemente. Canterò per il mio diletto: il mio amato, è Dio. Il profeta, Isaia o chi per esso, che dice che vuole cantare per colui che egli ama, cioè Dio, il cantico d’amore per la sua vigna; non la mia, ma la sua, quella di Dio. Come nel Nuovo Testamento ci sarà Gesù che dice: io sono la vite e voi i tralci; e poi fonda la comunità dei credenti, la Chiesa dice: tu sei Pietro e su di te io fondo la mia chiesa… Qui la vigna è di Dio come la chiesa è di Gesù Cristo. Vedremo i cambiamenti di questa immagine, tra il testo di Isaia e il testo di Giovanni 15, se avremo tempo.

Dunque, l’amico dello sposo, l’amico di Dio è il profeta, Isaia, che dà al suo poema il titolo: Un cantico d’amore per la vigna di Dio. Un cantico d’amore come potrebbe catare un innamorato, per la vigna del diletto, per la vigna di Dio di cui il profeta è innamorato.

Diletto, se volte… quello che qui hanno tradotto “diletto”, se volete ricordarlo, in ebraico è un termine prezioso, perché in ebraico suona così: yadid. Nella Bibbia questo termine è usato per indicare il popolo di Giuda; quello che viene chiamato il popolo eletto, scelto, amato… Per esempio in Geremia 11

Il testo: Ger 11,15

15 Che ha da fare il mio diletto nella mia casa,
con la sua perversa condotta?
Voti e carne di sacrifici allontanano forse
da te la tua sventura,
e così potrai ancora schiamazzare di gioia?

In un rimprovero a quelli che frequentano il Tempio, Dio si rivolge a Giuda, che si rivolge a un popolo infedele e dice: cosa viene a fare questo mio diletto, questo popolo che io amo, che io ho amato… cosa viene a fare qui nel tempio con la sua perversa condotta? Se volete ricordarvi… qui è il capitolo 11, ma se volete ricordarvi che al capitolo 7, Geremia ha quell’invettiva, quel discorso che il profeta fa alla porta del tempio di Gerusalemme a nome di Dio, con la denuncia che hanno trasformato il tempio in una spelonca di ladri; perché vengono lì per onorare Dio, per dire tante belle parole e poi si comportano in maniera ingiusta, in maniera perversa. Intanto chiama Israele: il mio diletto, l’amato da Dio. Notate questo contrasto, poeticamente molto forte, ma è forte teologicamente, perché avete il diletto, l’amato che si rende perverso: è come dire la fidanzata, il fidanzato, la sposa, lo sposo che tanto ho amato e che si rende perverso.

Oppure, se volete, richiamarvi al salmo:

Il testo: Sl 59 (60), 7

7 Perché i tuoi amici siano liberati,
salvaci con la destra e a noi rispondi.

Israele che si rivolge a Dio e gli dice: perché i tuoi amici, cioè noi, siano liberati, salvaci… non lasciarci nella schiavitù… con la destra perché solitamente la destra è la mano più forte per i destrorsi, almeno… Si immagina che anche Dio sia destrorso. Ecco avete lì: i tuoi yadid, i tuoi amici siano liberati.

In deuteronomio:

Il testo: Dt 33,12

12 Per Beniamino disse:
«Prediletto del Signore, Beniamino,
abita tranquillo presso di Lui;
Egli lo protegge sempre
e tra le sue braccia dimora».

Nelle famose benedizioni di Mosè, si applica questo termine, amato, yadid, a Beniamino… Conoscete la storia di Beniamino… ancora oggi, di uno che viene amato a preferenza di altri si dice che è un beniamino… evidentemente viene da lì. Prediletto del Signore è yadid, amico, amico di Dio. Voi direte: ma non si diceva di Abramo, amico di Dio? Sì, definizione cara all’Islam, di Abramo amico di Dio, ma nella Bibbia viene usato un altro aggettivo, kalil, che suona più o meno così…

Non viene mai usato, questo aggettivo, in riferimento al Signore: si dice sempre di Israele che è amato da Dio, ma non lo si riferisce a Dio, non si dice mai che Dio sia lo yadid di Israele. Eccetto qui: Isaia fa eccezione, lo usa nel capitolo 6, dove si narra la vocazione di Isaia al tempio, parla di JHWH come del Santo di Israele e sottolinea soprattutto la sua trascendenza, la sua grandezza… Poi qui, al capitolo 5, lo anticipa dicendo: questo Santo di Dio, questo trascendente per eccellenza, 1’amico. Amico di Dio che chiama sposo, che chiama diletto vicendevolmente… E qui avete già un’aria di anticipo del Nuovo Testamento, se volete… Un’alleanza… Ma qui c’è dietro il linguaggio di Osea, ci sarà dietro il vocabolario di Geremia… E qui, in Isaia, questo profeta aristocratico, che a prima vista è qualificato dalla vocazione del capitolo 6, improvvisamente diventa così tenero nelle espressioni… Ecco perché qualcuno dubita che questo testo sia di Isaia, perché sembra persino troppo dolce, troppo geremiano, troppo oseano questo testo.

Osea e Geremia sono i due profeti che usano questo linguaggio amoroso nei confronti di Dio e che hanno aiutato Israele a passare da una concezione dell’alleanza di tipo giuridico a una alleanza di tipo sponsale, di tipo amoroso. Osea aveva definito il peccato nel secolo VIII a.C. in termini molto più corretti di come avevamo imparato dal famoso catechismo di Pio X, che era alla base di tutta la nostra istruzione (o distruzione) religiosa… perché la domanda era: che cos’è il peccato? Il peccato è un’offesa fatta a Dio, disubbidendo alla Sua legge. Vi ricordate? Quando parlate di ubbidienza, avete, dall’altra parte, il maestro, il colonnello, il carabiniere, e quindi vi esaminate se siete a posto con la legge. Osea dice: non è così che dovete intendere l’alleanza! Il peccato è molto di più, è molto diverso, il peccato non è un’offesa fatta a Dio disubbidendo alla sua legge, è un’offesa fatta a Dio tradendo il suo amore! Come dei figli che si accorgono che non si comportano bene con i genitori, ma non dicono: oh poveri noi, che disubbidiamo al quarto comandamento. No, poveri noi che non abbiamo capito niente dell’amore che ci dovrebbe legare ai nostri genitori. È un po’ diversa la cosa, mi pare un po’ tanto diversa… Certo c’è di mezzo tutto lo spirito del Nuovo Testamento, ma già la correzione operata dai profeti sulla concezione dell’alleanza di tipo legalistica… Non dimenticate che Gesù rimprovererà poi questo agli scribi e ai farisei: di aver impostato una vita tutta religiosa, molto penitente, molto osservante, ma con lo spirito dello schiavo, con lo spirito di chi deve ubbidire, di che non sa andare oltre alla Legge, per capire che la Legge è al servizio dell’uomo, non l’uomo per il sabato, ma il sabato per l’uomo. Ritengo che su questo punto si gioca la novità totale della conversione a Dio secondo lo spirito evangelico.

Il testo: Ger 2,2

2 «Va’ e grida agli orecchi di Gerusalemme:
Così dice il Signore:
Mi ricordo di te, dell’affetto della tua giovinezza,
dell’amore al tempo del tuo fidanzamento,
quando mi seguivi nel deserto, in una terra non seminata.

Parla del fidanzamento di Dio con il suo popolo durante l’esilio; meglio, durante il primo esilio, quello prima dell’Esodo, quello dell’Esodo. Ecco, il tempo dell’Esodo non è stato soltanto il tempo della fatica, della difficoltà, della lontananza dalla Terra Promessa, ma è stato, per sua natura, il momento del fidanzamento tra Israele e Dio, tra Dio e Israele… Difatti, l’alleanza del Sinai suona sempre così lungo tutto il corso della Bibbia, perché tutta la Bibbia è da leggere come meditazione, riflessione sull’Esodo: Io sono il vostro Dio e voi siete il mio popolo.

Dicevamo… questo termine, yadid, uguale a diletto, amato. Nel testo c’e una parola molto bella, che suona molto bene: c’è lididi. La L prima di una parola esprime il dativo; la I finale esprime il pronome possessivo di prima persona singolare. Quindi avete, adid, il diletto, metteteci AL davanti, al dativo, e poi I, mio, al diletto di me… a colui che io amo, al mio diletto. L’italiano non rende l’armonia del testo ebraico, evidentemente. Sapete che quando si traduce una lingua in un’altra, difficilmente, specialmente in poesia, si riesce a mantenere l’assonanza, il gioco di parole…

In grammatica potrebbe anche essere una ל (lamed in ebraico)… avete certi salmi che sono alfabetici, quelli che avete con le lettere ebraiche: א, ב, ב… Sono le lettere dell’alfabeto ebraico, se volete studiarvelo, almeno la successione delle lettere, cercatevi uno di questi salmi, sono trascritte… perché in ebraico ci sono delle altre lettere, ma trascritte c’è lamed… Parlano di lamed autoris, cioè potrebbe anche significare che uno è autore di una cosa: per esempio il salmo, mizmor l-Dawid (, può essere tradotto, salmo a Davide, ossia salmo scritto per omaggiare Davide; oppure, lamed autoris potrebbe significare salmo di Davide, composto da Davide. Vedete che nei titoli, spesso le nostre bibbie traducono proprio così, salmo di Davide; ma spesso, se andate a vedere altri autori, non vi dicono salmo di Davide… Davide aveva ben altre cose da fare che scrivere i salmi… può darsi che ne abbia scritto qualcuno e ne abbia scritto qualcuno, ma non certo tutti i 150 salmi. Il Concilio di Trento ha parlato di salterio non di Davide, ma davidico, cioè in qualche modo legato a Davide. La gran parte dei salmi erano stati omaggiati a Davide per il fatto che la Bibbia lo presenta come cantautore del tempo.

Se così fosse, qui bisognerebbe tradurre diversamente, se fosse un lamed autoris: bisognerebbe tradurre voglio cantare un canto del mio diletto, non al mio diletto, ma del mio diletto… Allora, quello che segue sarebbe il canto che Isaia pensa di aver ascoltato da Dio nei confronti della sua vigna, di Israele. Lo riferirebbe più immediatamente a Dio, come se Dio lo avesse ispirato e non fosse il profeta che, invece, l’ha inventato. In un caso sarebbe il canto che Isaia canta al suo diletto, nell’altro caso il canto che il suo diletto, ossia Dio, canta per il suo popolo. Aver osservato queste due cose ci porta a dire che nella Bibbia, Dio e profeta solitamente si compenetrano, sono praticamente la stessa cosa; l’uno agisce nella persona dell’altro; e il profeta è visto e pensato come colui che parla a nome di Dio, non certo come uno che predice il futuro. Tanto cristiani hanno ancora questa idea, ma non è l’idea biblica: il profeta non è un indovino del futuro, il profeta è uno che parla a nome di Dio. Avete tutto in questo intreccio: ecco perché mi sono fermato un pochettino.

Qualcuno potrebbe avere a casa qualche vecchia Bibbia che traduce dal latino di Gerolamo, la Bibbia che d’altronde abbiamo letto nella liturgia, fino a quando, arrivati al Concilio Vaticano II siamo poi passati alle lingue nazionali… Prima si leggera il latino di Gerolamo, senza capirci niente o quasi niente, se non qui pochi fortunati che hanno studiano un po’ di latino. Ora siamo passati all’italiano, si traduce direttamente dall’ebraico o dal greco. Gerolamo aveva tradotto in latino dall’ebraico, certo, ma aveva anche fatto parecchi errori di traduzione. Ripeto, se qualcuno ha qualche vecchia Bibbia di Gerolamo, della Vulgata, vada a vedere e troverà una strana traduzione: troverà questa introduzione a Isaia 5,1, tradotto da Gerolamo così: Cantabo diletto meo canticum patroelis mei vine sue. Traduciamo alla lettera: canterò al mio diletto, alla lettera, il cantico del mio zio, alla sua vigna. Il cantico che lo zio aveva preparato per la vigna; ma, come vedete, non si capisce cosa c’entri lo zio nel testo di Isaia… È un piacevole errore di Gerolamo, insieme a tanti altri… Gerolamo ha diritto a molto monumenti, non solo a uno… e un bel monumento lo hanno fatto a Betlemme, dove si era ritirato a studiare l’ebraico, di notte, di nascosto, perché se avessero saputo che andava a scuola dai rabbini a quel tempo, 20 secoli prima del tempo, lo avrebbero bruciato magari anche all’interno della stessa basilica della Natività… Ha tanti meriti, il monumento glielo hanno fatto subito nel convento che gli è dedicato, ma ha anche sbagliato tantissime cose; d’altronde, da solo davanti a un monumento così grosso com’era la Bibbia ebraica da tradurre in latino, è stato fin troppo bravo. Se pensate che adesso tutte le traduzioni si fanno, solitamente, in equipe, gruppi di specialisti che si dedicano… alcuni sono specialisti di un libro altri di un altro… lui era, in qualche modo, specialista di tutti, ma, insomma, dobbiamo perdonargli tante cose…

Nella seconda parte del versetto 1 e nel versetto 2, avete alcuni versetti che vi parlano della coltivazione della vigna:

1 … Il mio diletto possedeva una vigna
sopra un fertile colle.
2 Egli l’aveva vangata e sgombrata dai sassi
e vi aveva piantato scelte viti;
vi aveva costruito in mezzo una torre
e scavato anche un tino.
Egli aspettò che producesse uva,
ma essa fece uva selvatica.

Vediamo la coltivazione della vigna, un momento, che è indicata qui. Il terreno era ottimo, dice il canto; si trovava su un fertile colle: come i colli della Langa che avete qui vicino. Oppure, se volete, su un vertice di un colle assai ferace. Il testo ebraico esprime questo concetto con due forme idiomatiche, cioè tipiche della letteratura ebraica: sapete che tutte le letterature hanno delle forme idiomatiche, insostituibili, che non potete mantenere nella traduzione. Qui c’è una frase molto curiosa, che ci offre l’occasione per restare svegli a quest’ora. Il testo ebraico dice che la vigna si trovava nel corno del figlio dell’olio. Se traducessero alla lettera, non capireste niente, fin quando io non ve lo spiego e poi dopo direte, che bello dire così. Per dire sul vertice di un colle assai ferace, loro dicono la vigna si trovava nel corno del figlio dell’olio: come si può arrivare alla nostra traduzione partendo da questa formula così lontana e cosi strana? Quando usiamo la parola corno… noi pensiamo subito al marito che fa le corna alla moglie o alla moglie che fa le corna al marito… ma in ebraico non pensano a quello, pensano alla forza, alla potenza… Dio è il più cornuto di tutti perché è onnipotente. Tant’è che lo rappresentavano con l’immagine del toro cornuto. La parola corno indica anche il vertice di un colle, il suo promontorio, un costolone esposto al sole. L’uso è ancora comune nell’arabo attuale. Non lontano da Tiberiade, sul lago di Galilea… per chi c’è stato là, se lo ricorda… andando verso il nord, andando verso Tiberiade… se è andato a visitare il kibbuz di Lawui, il kibbuz del leone di Giuda, che è proprio lì vicino… Ci sono, sopra Tiberiade, sul lago di Galilea, due speroni rocciosi, sui 360 mt di altitudine, tenendo conto che il lago è già giù a meno 200 mt, ritenuti in passato, da alcuni, come possibile monte delle beatitudini. Una volta era là, poi l’hanno spostato, poi l’hanno spostato ancora per comodità dei pellegrini, in un terzo posto; e poi, soprattutto, adesso diciamo ai gruppi che accompagniamo, non fissatevi sui monti materiali… Ravasi dice che è una montagna teologica quella delle beatitudini, non una montagna geografica. Sono famosi, quei due speroni rocciosi, perché nel piano sottostante, in mezzo a quelle due piccole colline, è avvenuta una celebre battaglia: la battaglia di Saladino contro i crociati… I crociati di cui il papa ha chiesto perdono… Qui c’era proprio da chiedere perdono, perché in quel posto lì gli arabi, i musulmani, Saladino attirò con un tranello, il 4 luglio 1187, i cristiani che ebbero la peggio e che lasciarono sul terreno ben 20.000 morti e ne perdettero 30.000 prigionieri. Quindi 50.000 persone in un colpo… bell’esito delle crociate! Bella liberazione della Terra Santa… e Dio avrebbe dovuto aiutarli, se era proprio un’impresa che stava proprio a cuore a Dio… Si vede che Dio non condivideva tanto… Così finì il regno crociato di Gerusalemme.

Ebbene, le due alture sono chiamati i corni di Hattim… se passate in pullman, qualsiasi guida vi segnalerà questi due corni di Hattim. Perché corni di Hattim? Perché Hattim è un villaggio druso… Sapete che in Asia ci sono anche dei drusi… un villaggio druso ai piedi dei corni, dove i drusi venerano una presunta tomba di Yetro, suocero di Mosè, e si radunano per una grande festa di primavera.

Anche in tedesco ci sono formule del genere; per esempio in tedesco das Horn, significa il corno, ma anche il piccolo della montagna; sono tantissime le montagne che, in Svizzera, o in Germania, che sono composte con il termine horn.

Allora, una vigna su un fertile colle, un fertile picco… si dice corno; il corno ora sappiamo che è questa collina.

Cosa vuol dire figlio dell’olio? Vuol dire fertile. Perché fertile, è detto in ebraico con l’espressione figlio dell’olio; cioè illuminato, figlio della luce, figlio delle tenebre, tenebroso; figlio della morte, morte; figlio della vita, vivo; quindi figlio dell’olio vuol dire oleato, vuol dire ingrassato. Circonlocuzione per dire la grassezza di un terreno. L’olio, nella Bibbia, sta spesso per fertilità, per grassezza. In Isaia 28

Il testo: Is 28,1

1 Guai alla corona superba degli ubriachi di Efraim,
al fiore caduco, suo splendido ornamento,
che domina la fertile valle, o storditi dal vino!

Si parla di Samaria e si dice che domina la fertile valle, perché sotto Samaria c’era la grande valle della pianura di Samaria, ma alla lettera c’è: domina la valle, figlia dell’olio; per dire che era fertile. La ricchezza di quel luogo è generata dalla ricchezza di ulivi.

Vedete nella formula idiomatica, nell’espressione idiomatica ebraica…

In questo terreno, in questo corno del figlio dell’olio, il nostro contadino, Dio… anche Gesù definisce il Padre come il contadino, proprio in Gv 15,1, dove dice: io sono la vite e voi i tralci e il Padre mio è il gheorgos, è il contadino, è l’agricoltore; gheorgos, colui che coltiva la ghè, la terra. Io ho il cognome che significa proprio quello: Giorgis, gherogos, contadino… Sto scrivendo sull’Unione Monregalese con lo pseudonimo di Dino Conte, contadino! La Volgata, sempre quella di Gerolamo, a cui facevamo cenno, aveva tradotto: pater meus agricola est. Il Padre mio è un agricoltore, bella questa immagine di Dio che va con la zappa, con il trattore, adesso per arare e preparare per le semine…

Questo vignaiuolo, questo agricoltore, che Gesù dirà pater mou, mio Padre, compie cinque azioni principali per la coltura della vite. Ed erano le azioni che facevano tutti i contadini del tempo e che fanno ancora adesso in un modo o nell’altro; lo faranno meno con la zappa, e di più con in trattorini che usano anche nelle vigne qui vicino, ma è pur sempre lo stesso lavoro. Vediamo queste cinque azioni principali:

  1. Prima di tutto lo scasso del terreno, vangando a fondo e zappando attorno; è una parte faticosa del lavoro della vigna, del lavoro della terra… una fatica… Vi spiegate il perché la nostra gente, i nostri nonni, quelli che lavoravano la terra credevano di essere quelli che veramente lavoravano… dei figli e dei nipoti che andavano a studiare, non credevano che lavorassero tanto… gli operai, erano quelli… il vero lavoro era quello dei campi, ve lo ricordate tutti, perché in quelle condizioni lì, era vero sotto un certo aspetto… Scassare il terreno: vedete adesso a che profondità riescono ad andare con gli aratri, con i tratori… ma una volta lo scasso era a mano, vangando a fondo, zappando attorno;
  2. Erigere un muro di cinta: un muro a secco intorno alla vigna, come si usa ancora nella regione di Ebrom… se andate a Ebrom, dove ci sono le tombe dei patriarci, a sud di Betlemme, verso il deserto del Sinai, il deserto di Giuda, o anche più a nord, in Samaria, o anche in Giudea a due passi da Gerusalemme, vedete le vigne e vedete questi muretti come in Liguria, terrazze di pietre; ma anche nel sud dell’Italia, in Sardegna, tutte le proprietà sono limitate… Per costruire queste mura, liberavano il terreno dalle pietre che trovavano, e le ammucchiavano lì. Il terreno palestinese è ricco di pietre;
  3. Quindi piantò sorcoli scelti con cura, vitigni scelti con cura, di razza speciale, che ha un nome nella Bibbia, si chiama: soreq. Avrebbero dovuto dare grappoli rossi, grappoli; nella lingua accadica avete il corrispettivo: sarqu. È lo stesso, perché le lingue sono affini, le lingue del Medioriente; si trattava di questi vitigni particolarmente preziosi.
  4. Costruisce una torre: una torretta nel mezzo, al limitare della proprietà, come sono usi fare ancora oggi i contadini palestinesi… come si vede in tante nostre vigne, dei casottini dove mettono gli attrezzi, come ripostiglio per gli arnesi; ma anche come posto di osservazione per il guardiano, per impedire ai ladri di rubare l’uva matura; perché c’erano già e ci sono ancora, i ladri che vanno in giro a rubare l’uva matura e le pesche… Capite la bellissima immagine usata da Isaia per descrivere Gerusalemme assediata e il territorio devastato:

Il testo: Is 1,8

8 È rimasta sola la figlia di Sion
come una capanna in una vigna,
come un casotto in un campo di cocomeri,
come una città assediata.

Trovare questa immagine che fa riferimento a quello che dicevamo della torre costruita lì in mezzo; descrive Gerusalemme assediata e il territorio devastato; sono immagini bellissime, molto eloquenti, poetiche, per noi, ma reali per allora, e ancora adesso, in quei posti.

  1. Fa scavare nella roccia un frantoio per la pigiatura delle uve; siccome è tutto terreno roccioso, basta scegliere un angolino particolarmente di roccia dura ed è fatto il frantoio.

Tutto questo fa l’agricoltore palestinese; sicuro di un abbondante raccolto che ripaghi tutte le sue cure e le sue fatiche, il nostro agricoltore, il nostro gheorgos, aspetta con pazienza che arrivi la stagione del raccolto: e qui avete sottolineato il tema della pazienza di Dio, che poi Gesù manifesta e presenta in quelle famose parabole della zizzania… la fretta di selezionare… c’è tempo, c’è tempo, la pazienza di Dio; Dio è estremamente paziente. Il Luca, ricorderete, la parabola del fico:

Il testo: Lc 13,6-9

6 Disse anche questa parabola: «Un tale aveva un fico piantato nella vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. 7 Allora disse al vignaiolo: Ecco, son tre anni che vengo a cercare frutti su questo fico, ma non ne trovo. Taglialo. Perché deve sfruttare il terreno? 8 Ma quegli rispose: Padrone, lascialo ancora quest’anno finché io gli zappi attorno e vi metta il concime 9 e vedremo se porterà frutto per l’avvenire; se no, lo taglierai».

Gli altri evangelisti recitano in modo diverso questa parabola: è il simbolo di un Dio che non ne può più, abbandona Israele. Il Gesù di Luca trasforma questa parabola e la trasforma in una parabola della pazienza di Dio. Il servo dice: forse il non l’ho curata abbastanza, forse se avessi scavato di più attorno, forse se avessi messo un po’ più di concime, chi lo sa… avrebbe prodotto dei frutti… quindi proviamo ancora un anno; poi, se non farà frutti, la taglieremo. Dio acconsente, perché Luca presenta un Dio sempre estremamente benevolo verso i peccatori, un Dio paziente… e allora non la fa abbattere.

La parabola di Isaia deve andare avanti, perché poi si trasforma in denuncia: il canto si trasforma in un rib, leggete nella Bibbia di Gerusalemme, nelle note, da qualche parte. Si trasforma in una lite, come in tribunale, in una accusa, un pubblico ministero nei confronti di Israele, che non si è comportato bene; Dio ha avuto tutte queste cure per il suo popolo, cure significate da tutto quello che il viticultore ha fatto per la sua vigna, si aspettava dell’uva buona per del vino buono, e invece no: delusione completa. Ecco allora l’amara delusione.

Gerolamo ha tradotto: expectavit faceret uvas. Aspettò che facesse uva, uva di razza, perché ha piantato vitigni di razza… et fecit labruscas. Fece clinto; vi ricordate? Da noi, almeno a Peveragno, 40 anni fa, c’era l’uva americana e il clinto; il clinto era una specie di neretto, ma era molto acido, molto frizzante. Da ragazzi si amava un po’ l’uva americana, più dolce; e poi quando i nostri, la nostra gente veniva a fare la provvista di uve a Farigliano, Carrù, Murazzano, Dogliani… portavano su il dolcetto, era un altro tipo di uva.

E poi dice… io ho tradotto così, ma Aquila traduce in un altro modo, Simmaco traduce in un altro modo, Teodozione in un altro…  Gerolamo era un testone, che aveva lì aperte davanti tante traduzione e tanti testi, e poi li confrontava e li controllava tutti e sceglieva una sua traduzione.

Avete ai versetti 3 e 4 il processo: nella stilistica ebraica si passa al processo, con una espressione che denota sempre una svolta nel discorso; qui introduce, dopo il canto della vigna, un discorso di accusa, e dopo la canzone dell’amico e dello sposo, introduce espressamente la parola di JHWH, la parola del Signore. Dio giudice vorrebbe ottenere un’autocondanna da parte della vigna colpevole, vorrebbe che questa vigna, Israele, si accorgesse di essere stata una vigna infedele, di non aver risposto alle fatiche del gheorgos, del coltivatore. Ma come fare a provocare questa conversione, che Israele, da solo, non riesce a far venire fuori?  Allora si rivolge agli abitanti di Gerusalemme e di Giuda, ponendoli di fronte alle loro responsabilità: giudichino essi stessi, senza passione, le relazioni che ci sono state tra il proprietario della vite e la vigna stessa. C’era qualcos’altro da fare per la vigna, che il padrone non abbia fatto? No, certamente; la risposta non può che essere quella. E allora, perché la vigna ha deluso le speranze del viticulture? Aspettava bei grappoli rossi, ed ecco acini raggrinziti, acini che alligano la bocca e i denti.

Avete questo passaggio al linguaggio giudiziario

3 Or dunque, abitanti di Gerusalemme
e uomini di Giuda,
siate voi giudici fra me e la mia vigna.
4 Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna
che io non abbia fatto?
Perché, mentre attendevo che producesse uva,
essa ha fatto uva selvatica?

È un modo molto bello di coinvolgere gli uditori, o i lettori; vi verrà in mente quell’altra parabola che il profeta Natan disse a Davide, dopo che si recò da lui, a seguito del famoso delitto, dell’omicidio da parte di Davide, di Uria, per poter avere Betsabea… Uria era venuto a casa, lo aveva chiamato in licenza, fingendosi di essersi accorto, in particolare, della sua abilità, del suo valore militare; gli dice: hai diritto a una licenza, vai a casa, ho pensato proprio a te perché il tuo superiore ti ha segnalato… Ma lo scopo era un altro, era quello di mandarlo a casa perché, stando con sua moglie, se nasceva un figlio, ufficialmente poteva essere di Uria; e Davide sapeva già che Betsabea era incinta di lui. Ma Uria mangiò la foglia, come sapete… anche perché qualcuno glielo avrà detto… ma lui non volle andare a casa; Davide lo fece ubriacare, gli diede una porzione… ma Uria dorme davanti alla porta della reggia, perché non è giusto, pensa ai suoi compagni che sono al fronte, che espongono la loro vita, e io dovrei andare a spassarmela con mia moglie questa notte? Davide rimase con un palmo di naso; mandò da bere e da mangiare, ma niente da fare… Allora prese un foglio, scrisse quella famosa lettera al superiore, ad Amman, contro gli Ammoniti: “manda Uria in prima linea e non torni più a casa”. Vedete cosa i poteri sanno fare? Poi, timbri sopra timbri, perché doveva arrivare segreta, e quello finì la sua vita in quel modo e Davide si prese più o meno liberamente Betsabea, da cui poi ebbe Salmone. E Dio concede le sue grazie a Salomone… che strano Dio che abbiamo, che fa tutto al contrario di quello che noi diremmo che deve fare… per dire che i disegni di Dio, le cose, spesso vanno… come vanno e, poi dopo, se hai fede, cogli che la presenza di Dio c’era anche in quello che non pensavi. La cosa sarebbe passata liscia se il profeta Natan non fosse stato mandato da Dio a far pentire Davide; allora andò e gli raccontò quella parabola che tutti conoscete… C’era un uomo ricco che aveva molte pecore; arrivò un amico a casa sua, invece di prendere una pecora o un vitello dal suo bestiame, andò a prendere la pecorella di un poveraccio che aveva soltanto quella, che l’aveva tirata su… “Cosa? – dice Davide – succedono queste cose nel mio regno?”. Lui era il rappresentante di Dio sulla terra, tenuto a fare giustizia; dice: “chi è costui? Che lo mandiamo ad arrestare subito e lo processiamo!”. E allora il profeta Natan: “Tu, sei quell’uomo!”. Vedete lo scopo pedagogico della parabola? È quello di portarvi, di portare chi sente, ad auto accusarsi, ad autocondannarsi, a capire che è nello sbaglio, senza che siate voi a digli che è un lazzarone, che è un peccatore; farglielo capire perché gli illuminate la coscienza. È una estrema pedagogia, molto fine… Se volte andare a cercarvi quella parabola e leggerla in parallelo con questa qui del rib, dell’accusa che Dio muove al suo popolo, capirete bene le due cose. Ma anche Gesù nella parabola dei vignaiuoli omicidi, interpella direttamente i suoi uditori; leggetevi poi Matteo 21.

Finalmente arriviamo ai versetti 5 e 6: la sentenza condannatoria.

5 Ora voglio farvi conoscere
ciò che sto per fare alla mia vigna:
toglierò la sua siepe
e si trasformerà in pascolo;
demolirò il suo muro di cinta
e verrà calpestata.
6 La renderò un deserto,
non sarà potata né vangata
e vi cresceranno rovi e pruni;
alle nubi comanderò di non mandarvi la pioggia.

La sentenza condannatoria… Gerolamo introduce il commento a questi versetti in maniera stupenda; dice: illis tacentibus, sibi ipse responde. Visto che tacevano quelli interpellati, stavano zitti, risponde da se stesso; dà lui la risposta e ci fa conoscere la sentenza condannatoria… Amici cari, Dio non condanna mai! Perché Dio, abbiamo scoperto più tardi, che perdona sempre; anche se non voleste essere perdonati, vi perdona lo stesso; poi fate quello che volete del suo perdono, ma per quanto sta a lui, lui vi perdona senza che neppure voi gli chiediate perdono. Noi ci affanniamo tanto a chiedere perdono a Dio, dovremmo affannarci un po’ di più a capire che siamo già perdonati, anche se non gli chiediamo percono. Perché lui è amore. Questo è il problema…

Se così stanno le cose, dobbiamo quindi interpretare le minacce e i castighi visti, letti in tal mondo dai profeti, e anche minacciati e letti così da Gesù, non in una chiave condannatoria finale, definitiva, ma piuttosto come una provocazione, per provocare alla conversione… altrimenti state attenti… perché, per esempio, quella pagina di Gesù, il giudizio universale che chiamiamo ogni tanto in causa, perché sarà l’estremo giudizio, è orribile, è antievangelica, perché non corrisponde a tutto il resto che Gesù ci dice, che il Vangelo ci insegna… Quando dice: avevo fame, avevo sete, mi avete dato da bere, avete fatto… alla destra, venite qui perché voi avete diritto alla vita eterna e io vi porterò alla vita eterna; e agli altri, maledetti, per il fuoco eterno… la selezione avete… ci sono diversi testi, anche nel Vangelo in cui avete un Dio che sceglie i buoni, per di più questo schema pericoloso, attenzione… che il bene e il male passano al di fuori di noi: da una parte avete i buoni e dall’altra i cattivi; riprendete pure la parabola che abbiamo citato questa sera; io, per la verità ho citato quella della zizzania, ma pensate anche all’altra della rete che prende i pesci buoni e i pesci cattivi. La selezione è la premessa alla soluzione finale: Hitler ha fatto così… e allora state attenti che non possiamo presentare un Dio che ricorre alla selezione per la soluzione finale di quel forno crematorio eterno che abbiamo chiamato inferno. Questo non è il Dio che ci presenta Gesù… Come poi Dio riesca a purificare, a mantenere la giustizia secondo i criteri nostri… è una faccenda che ci sfugge… fa parte del misero di Dio, ma non possiamo attribuirgli una selezione, per una soluzione finale, per un forno crematorio. Altrimenti faremo di lui un Hitler molto più terribile di quello che abbiamo conosciuto nell’ultima guerra… Dovremo trovare altri tipi di spiegazioni, ma non quella della soluzione finale, del forno crematorio…

Gesù parla e agisce come i profeti per scuotere le coscienze, per dire: attenzione a chi non si interessa degli altri, chi vive la sua vita soltanto per sé, si mette in una sfida di morte; facciamogli il funerale subito, diamo per scontato che è già morto; che è uno che non vive, se non vive nell’amore, nell’aiuto degli altri. È una provocazione alla conversione, a vivere in modo degno la vita… Fate questo in memoria di me: non, celebrate un rito o una bella cerimonia in chiesa, ma date anche voi la vostra vita per gli altri, come io l’ho data per voi… è una provocazione in questa direzione, altrimenti se pensiamo al forno crematorio, smentiamo tutto il messaggio di Gesù, del Vangelo… bisogna cancellare tutto il Vangelo. Allora converrà interpretare in modo più evangelico, più equanime, queste altre battute profetiche, non soltanto quelle di Gesù, senza metterci al posto di Dio, se l’aggiusterà lui, perché vogliamo fare anche noi la giustizia, ficcare il naso in quello che riguarda solo Dio… Ma quello che succederà dopo la morte, farà lui, lasciamo che faccia, fidiamoci di lui… La Chiesa ha già fatto tanto a far dei santi, per fortuna non ha fatto l’elenco dei dannati… I santi li mandiamo tutti in paradiso, tutti, anche tanti che noi pensiamo che siano stati mandati al diavolo sono nel cuore di Dio… e chi lo sa… solo Dio capisce certe cose… C’è necessità di essere prudenti e umili nel non metterci al posto di Dio.

Tutti questi testi… il cantico della vigna è evidentemente un testo profetico, per scuotere le coscienze, per dire state attenti; non potete dire che il bene è uguale al male, devono essere le vostre coscienze a capire questo; Dio è buono, sì, ma voi dovete essere persone degne della loro responsabilità, e di impegnare santamente, in modo giusto, la vostra esistenza.

Riprende la parola il profeta, per concludere questo testo, per spiegare la parabola: se non lo avessimo ancora capito, ce lo spiega apertamente.

7 Ebbene, la vigna del Signore degli eserciti
è la casa di Israele;
gli abitanti di Giuda
la sua piantagione preferita.
Egli si aspettava giustizia
ed ecco spargimento di sangue,
attendeva rettitudine
ed ecco grida di oppressi.

Gli eserciti sono i cieli, tutta la creazione; poi abbiamo fatto anche Dio degli eserciti che vanno a sgozzare il prossimo, ma non è il senso biblico quello. Qualcuno ha voluto vedere, in questi due sinonimi, Israele e Giuda, la distinzione dei due regni. Sapete che Israele era il regno del nord e Giuda era il regno del sud; sicché qualcuno ha pensato che la parabola rispecchiasse le circostanze storiche dopo il 722, che aveva segnato la fine ufficiale del regno del nord. Ma non tutti sono d’accordo, lasciate in sospeso la datazione, perché non si sa bene a che periodo storico particolare Isaia voglia rivolgere l’ambientazione di questo canto, lasciamolo così, teniamolo valido per tutta la storia di Israele e nostra. Questa Giudea della casa di Davide era veramente la piantagione delle delizie di JHWH, era un vero paradiso terrestre, potremmo dire, teologicamente parlando. Dalla bontà divina, questa regione aveva ottenuto più di tutte le altre tribù; c’era lì vicino il tempio del Signore, a Gerusalemme, il culto vero; e più che presso le altre tribù, fioriva il potere regio nei confini di Giuda. Al potere regio, sapete che era legata la promessa messianica della discendenza di Davide: cosa c’era, per la fede biblica, di questo! Fu benedetta in modo speciale da Giacobbe, la tribù di Giuda (Gen 49), aveva avuto nella promessa di Natan a Davide (prima di quel fattaccio) la promessa di un regno eterno, aveva avuto la promessa della discendenza messianica… E allora, veramente, la vigna prediletta… Dio dunque si aspettava da Giuda, si aspettava la rettitudine, ed ebbe la nequizia; si aspettava la giustizia, ed ebbe il grido angoscioso degli oppressi.

Qui bisognerebbe giocare sulle parole ebraiche che sono di assonanza; il testo ebraico, in questo ultimo versetto è elegante perché dice: si aspettava mishpat, si aspettava giudizio, si aspettava giustizia, ed ecco mishfah: parola quasi equivalente, ed ecco, invece ingiustizia; si aspettava zedaqa, giustizie e rettitudine, ed ecco invece shudaqa, ed ecco invece delinquenza… Ecco perché quella vigna non funziona.

Gesù, sapete, che dirà io sono la vite e voi i tralci, con il testo di Giovanni 15 che però ha alcune differenze. La vigna qui era Israele, in Giovanni 15 la vigna è Gesù e noi, uniti con Gesù, vigna, ma la vera vite è Gesù; e poi qualche altra differenza ancora, ma contentiamoci di questo.

Se vorrete tenere presenti i due testi, vedrete le differenza. Altra differenza… Isaia ha detto alla fine: egli si aspettava giustizia, ed ecco spargimento di sangue, attendeva rettitudine, ed ecco grida di oppressi; Giovanni, invece, non parlerà più di giustizia, intesa alla maniera dell’Antico Testamento, bensì parlerà di amore, perché ora è l’amore il compimento della giustizia. Quasi che il Dio di Gesù dicesse: basta, cancelliamo tutte quelle visioni che prevedono la selezione per la soluzione finale, e affidiamoci all’amore del Padre che si manifesta attraverso l’amore di cui io vi ho parlato e di cui vi do testimonianza con la mia stessa morte. Ecco perché Giovanni al capitolo 15 inserisce questa meditazione, che poi gli altri evangelisti non hanno… questa meditazione su Gesù che è la vite e noi i tralci, in comunione con il Padre. Giovanni ha introdotto, poco prima, all’inizio del capitolo 13, il racconto della passione e morte di Gesù… ha anche introdotto questo discorso che gli mette in bocca, la preghiera sacerdotale nell’Ultima Cena, con quella espressione che, mi pare, segna proprio il passaggio dall’antica vigna alla nuova vigna, dall’antico comportamento del gheorgos, al nuovo comportamento di Dio, secondo l’immagine di Dio amore presentato così da Gesù… Giovanni introduce il racconto della passione e morte di Gesù, vi ricorderete, con questa espressione: “avendo amato i suoi, che erano nel mondo, li amò fino alla fine”.

Bene, accontentiamoci di questo… Spero di aver dato qualche stimolo per vedere che la Bibbia può essere interessante sotto molti aspetti, non fossimo neppure tanto credenti, potrebbe essere interessante sotto il punto di vista della letteratura, semplicemente della storia antica, delle immagini, dell’arte del narrare… E poi, se abbiamo fede, ammiriamo come attraverso la letteratura, la cultura, i problemi, la storia, le difficoltà dell’uomo di sempre, in particolar modo, del popolo di Israele, arrivi a noi la Parola di Dio… e questo non è poco!

Fossano, 14 maggio 2001

Testo non rivisto dal relatore

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