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Scritto il 20 Febbraio 2006

Quali Chiese per cristiani adulti?

Quali Chiese per cristiani adulti?

Organizzato da:

  • Associazione Culturale “L’Atrio dei Gentili”
  • Studio Teologico Interdiocesano
  • Istituto Superiore di Scienze Religiose
  • Consiglio Pastorale della Diocesi di Fossano

Seminario interdiocesano
Fossano, 20-21 febbraio 2006

Presentazione

L’associazione culturale “L’Atrio dei Gentili”, ormai da alcuni anni, si sta interrogando sulla Chiesa in generale (o su aspetti che la caratterizzano o comunque ad essa legati). La riflessione interna si è espressa attraverso incontri e seminari offerti a tutti e ha trovato un suo primo momento di sintesi nel panel-tavola rotonda svoltasi nel dicembre scorso presso l’Editrice Esperienze, a Fossano, sul tema “La Chiesa, nostra madre e sorella”. Ora l’associazione, in collaborazione con lo Studio Teologico interdiocesano, l’Istituto Superiore di Scienze Religiose e il Consiglio Pastorale diocesano, propone sul tema un nuovo appuntamento che si terrà a Fossano il 20 e 21 febbraio. Ospite di questa due giorni sarà il teologo tedesco Elmar Salmann, monaco benedettino e professore di filosofia e dogmatica presso il Pontificio Istituto “Sant’Anselmo” e l’Università Gregoriana di Roma.

Due saranno gli incontri, entrambi presso i locali del Seminario Interdiocesano a Fossano: lunedì 20 febbraio, ore 21, Salmann svilupperà il tema: “Quali chiese per cristiani adulti?”. Questo primo incontro è aperto a tutti, in particolare a quanti lavorano a diverso titolo e con compiti diversi nelle parrocchie, negli organismi pastorali, nei gruppi, movimenti e associazioni, a quanti frequentano l’Issr. Il medesimo tema verrà ripreso nella mattinata di martedì 21 febbraio (dalle 9 alle 10,30) in un incontro con i professori e gli studenti dello Studio Teologico Interdiocesano, aperto anche ai sacerdoti e a persone interessate.

Il prof. Elmar Salmann, nato nel 1948 ad Hagen, in Germania, ha studiato lettere e filosofia a Paderborn, Vienna e Munster. Entra nell’Abbazia benedettina di Gerleve. Dal 1981 è docente di filosofia e teologia presso le Università romane “S.Anselmo” e “Gregoriana”. Al suo attivo numerose pubblicazioni sulla teoria della mistica, su sant’Anselmo e san Tommaso, ma soprattutto sul rapporto tra evo moderno e cristianesimo. Si occupa di poesia e teologia, ebraismo e fede cristiana, modernità e cristianesimo.

Registrazioni degli interventi del prof. Elmar Salmann

Intervento del 20 febbraio 2006 – Incontro aperto a tutti
Intervento del 21 febbraio 2006 – Incontro per professori e studenti dello S.T.I.

Trascrizione della relazione del prof. Elmar Salmann (20/02/2006)

Introduzione: cosa ci è successo in questi ultimi cinquant’anni

È arduo, quasi impossibile dare corpo linguistico, esprimere, spiegare il passaggio tra due epoche. Ancora più impossibile comprendere l’epoca nella quale ci tocca vivere perché non abbiamo una vedetta, una specola per poter fare una supervisione nei confronti di noi stessi e del nostro tempo.

“Un cambiamento di clima, di atmosfera, di stile, di gestualità – come scrive Luigi Pintor, famoso giornalista del Manifesto, nel suo libro “Servabo” –. Lungo un quarto di secolo era mutato il rumore delle strade, il linguaggio delle persone, il valore delle cose, l’umore dei giovani, il passo delle donne. Non solo nei grandi continenti ma nella stanza accanto, tra le pareti di casa. Era cambiato tutto, meno la cosa che decide di ogni altra, l’inimicizia come spirito del mondo”. Un altro passaggio da questo libricino: “Non cesserò di pensare che i mondi sono due (ovviamente lui è comunista e ci tiene… stranamente, ma c’è anche questo, ndr), ma imparerò che la linea divisoria non è segnata su nessun atlante e passa fin dentro il cuore dell’uomo. Stare da una parte diventerà più complicato ma più necessario”. E ancora: “In verità la ruota della storia gira benissimo all’indietro o su se stessa come una trottola. Ne concluderò che le tenaci passioni, i nobili ideali, le generose intenzioni, le fatiche e gli errori sono una favola folle? No di certo. Sono in ogni tempo il sale della terra. Così è stato anche in questi decenni. Ma basta una pioggia a lavare la terra e il sale si scioglie in acqua”.

Cosa ci è successo in questi ultimi cinquant’anni? Da quando questo seminario è stato costruito? Mi pare siano stati decenni che nessun’anima possa comprendere, smaltire e trasformare in sapienza. Ci è successo troppo. Mi ricordo benissimo degli anni cinquanta il “piccolo mondo antico” cattolico, la società democristiana, poi il Concilio nel bene e nel male, il sessantotto che ha derealizzato le conquiste del Concilio per certi versi o le ha esasperate o enfatizzate… chi lo sa? Non ci è dato avere una giudizio sulla storia. Poi gli anni novanta, in Italia “mani pulite”, in Germania la riunificazione… e adesso?

Cosa è successo? Cosa ha attraversato la storia della nostra anima, della nostra sensibilità, del nostro essere femmina o maschio, prete o laico, politico da De Gasperi a Berlusconi… è un progresso? Chi lo sa?

Sicuramente siamo, almeno fittiziamente, passati da una Chiesa gerarchica, maschile, sacrale, maggioritaria, centrata sull’amministrazione degli strumenti di grazia ad una Chiesa – almeno in Europa, non ancora del tutto in Italia (il card. Ruini ci crede ancora) – minoritaria, esposta, fraterna, comunitaria, o sgangherata, che ha perso la bussola? Chissà…

Come uccelli in tempo di muta

Alcuni sintomi o piste o prospettive. Quasi nessuno, tranne il mio connazionale che è papa, parla ancora di verità, quasi nessuno predica più sull’escatologia, su colpa e redenzione, sui temi abissali, torvi e grandiosi del Cristianesimo. Al limite proponiamo un discorso di possibile senso di vita, di apertura, di solidarietà, di comunità, di ricerca. Cosa è successo?

Dietro, forse, c’è un cambiamento paradigmatico, viscerale e dimensionale di cui non riusciamo ancora a capire la portata.

Penso che abbiamo perso lo smalto, lo charme e l’inesorabilità del mondo platonico che ha accompagnato e sorretto il Cristianesimo da Origene, cioè dal II secolo fino a H. U. Von Balthasar, a Paolo VI e in fondo ancora è l’olio lubrificante del parlare del papa attuale. Quando lui parla di verità, di simbologia, lì tutto ancora risente di questo platonismo, dunque di un primato chiaro della verità dell’essere sul parlare, dell’alto sul basso, del cielo sulla terra, della ragione sui sentimenti, della sostanzialità sulla relatività, della volontà sulle emozioni e sugli affetti. Dunque una gerarchia chiara che ha determinato il pathos del cattolicesimo per 1600-1700 anni.

Nella nostra sensibilità tutto questo si è rovesciato: adesso il corpo, il benessere ha il sopravvento sull’anima, il temporale sull’eterno, le emozioni e gli affetti sui ragione e volontà, il senso e la comunicazione e la mobilità sulla stabilità della verità, e così via… Straordinario, liberante! Ma non abbiamo ancora una forma religiosa per un Cristianesimo senza platonismo. Per questo siamo come uccelli in tempo di muta.

Abbiamo lasciato il paradigma aristotelico; nessuno parla più dell’essere, di sostanza e transustanziazione, di principio e causa, di virtù, di temperanza, di medietas, della via media e della sua sapienza… nooo, vogliamo essere estremisti! Avere sentimenti estremi, fare esperienze… un altro cosmo. Il seminario è ancora costruito da caserma per funzionari del sacro con dentro i ragazzini di oggi: come può funzionare? Abbiamo lasciato il sistema romano-costantiniano, la chiesa di potere… almeno esteriormente abbiamo parzialmente lasciato, non abbiamo ancora rinunciato che è un’altra cosa. Dunque la vicinanza tra stato, società e chiesa. Una chiesa che fa parte dell’ingranaggio della società, dell’ordine, dell’amministrazione di pietas et virtus. Tutto questo si è frantumato. In Italia abbiamo ancora qualche rimasuglio, qualche zattera alla quale si aggrappa ancora qualche cardinale, qualche prete… ma sono frantumi che dopo il crollo della DC è ormai obsoleto. In Spagna non parliamo.

Ancora più interiormente si è sfaldato il pathos paolino-agostiniano della religione, del dogma cristiano. Il teodramma, il nesso fra peccato, redenzione per la croce, grazia, assoluzione che ha fornito la griglia, la gestualità sacramentale e la morale alla chiesa, fatalmente legato ad una pathos della morte e della sessualità. Per questo il “punctum sextum” in questa macchina infernale, in questa camera oscura del confessionale era la cosa più importante. Questo sistema è crollato del tutto, nel bene e nel male. Nessuno parla più i questi termini se non qualche cappuccino invecchiato. Mi ricordo ancora dei predicatori cappuccini degli anni cinquanta che facevano cadere foglie secche dai pulpiti (c’erano pulpiti, non questi ambonini, per la messa in scena)… un mondo del tutto tramontato, quasi ridicolo. E oggi? Abbiamo qualche ragazza che maltratta la chitarra, un prete che fa una piccola meditazione se mai, una omelia che ripete maldestramente i testi recitati normalmente in tono insopportabile. Dunque dai predicatori cappuccini a questa performance un po’ goffa alla quale assistiamo oggi che si chiama banchetto fraterno… un’altra bugia semantica, perché non c’è né banchetto né fraternità. Il Post Concilio ha partorito una sequenza immensa di bugie semantiche. Una parrocchia, per esempio, non è mai una comunità, non è possibile, quattromila persone non fanno una comunità, è una parrocchia. Ha ragione di esistere ancora? In Germania noi ormai dissolviamo le parrocchie. Ma di questo parlerò nella seconda parte.

Ecco, vedete, dietro c’è un po’ tutto questo, è imponente. Allo sfondo platonico, aristotelico, romano, agostiniano, paolino… (per questo anche i Luterani sono in grande crisi, perché il luteranesimo si fondavo sull’agostinismo forte) è subentrato il mondo ebraico secolarizzato, che vede tutto dal basso, dall’ottica della vittima, che non crede più in un centro della storia, in una redenzione, in una totalità. Anzi, denuncia ogni totalità come fascista, come germe della logica del campo di concentramento. Fenomenologicamente ancora più da vicino potremo concretizzare il cambiamento, la trasformazione che stiamo per vivere, subire, gestire, in questi termini. Prima il vecchio testamento garantiva ed enfatizzava l’ordine reale, sacrale, sacerdotale,  il tempio, il Messia, Sion, Gerusalemme, il culto… Adesso il vecchio testamento viene ricordato per l’esodo, forse anche per il profetismo esposto, per uno sguardo dal basso da parte delle vittime, degli sconfitti… Un cambiamento straordinario, fino a trent’anni tutta la storiografia verteva sui vincitori che avevano sempre ragione; nella chiesa, nella storia del dogma gli eretici erano massa dannata che non contavano. Adesso tutti, in modo quasi spudorato, guardano la storia dall’ottica delle vittime e, ahimé, ognuno si sente vittima di un sistema, della chiesa, della società, ecc. c’è quasi una gara non sacra nel ritenersi vittima.

Ecco siamo passati in tutto questo da un Gesù Signore, divino, al fratello che ci accompagna sul cammino; da una religiosità giuridica ad una religiosità privata, personale che scivola ormai verso un panteismo buddista sferico; da un Dio giudice ad un Dio personale che oggi si fa più sfocato, nebbioso, cosmico, atmosferico; da un sistema autoreferenziale ad un’idea xenologica, aperta cioè per l’estraneo, l’alieno che si vede da fuori. Per la prima volta nei documenti del Vaticano II la chiesa si vede da fuori con gli occhi delle altre religioni, degli Ebrei, del mondo, dei segni dei tempi… Ovviamente ci vogliono centro anni per smaltire una tale rivoluzione con tutti gli andirivieni. L’anima è molto lenta nello smaltire e nel digerire, non è un velocista, ma un fondista. Anche l’anima della Chiesa. E questo non è un rimprovero, ma è così, forse anche grazie a Dio è così. Per questo la nostra anima ha tante stratificazioni geologiche, con i terremoti che ci vogliono ovviamente.

Da una chiesa europea a una chiesa mondiale; da un sistema moraleggiante, molto spesso proibitivo, a una concezione promovente dell’uomo; da un sistema di rappresentazione simbolica a una semiologia aperta, plurale almeno a volte nel linguaggio e negli intenti, ancora non nella realtà, è ovvio. E così potrei ancora continuare a lungo…

Forse merita ancora attenzione almeno un altro fatto. Per la prima volta da quarant’anni viviamo in una società del benessere, del superfluo il cui problema è lo smaltimento dei rifiuti, non il mondo di procacciarsi i beni necessari sotto la condizione della mancanza e del bisogno. La religione fin dagli esordi è legata ad una società della mancanza, della contingenza e ovviamente è difficile sviluppare una religione per una società che sta bene, anzi che affonda per certi versi nel superfluo. Tutto questo si è affastellato, costellato, sedimentato e da lì deriva anche il carattere cangiante del nostro tempo. I testi del Vaticano II hanno cercato di dare un’incastonatura primordiale, quasi profetica, a questo cambiamento. Ma sono testi descrittivi, teologicamente belli a volte anche compromessi storicamente, che non hanno uno statuto, che non incidono sulla prassi giuridica, istituzionale, spicciola, della chiesa. E’ già difficile dargli uno statuto, definirne il genere letterario. Poi ovviamente nel Concilio la chiesa ha adottato con 150-200 anni di ritardo molte istanze dell’Illuminismo e nel momento di questa ratifica è stato superato dal movimento postmoderno del sessantotto, con la rivoluzione dei costumi, del ruolo della donna, delle mode, dei linguaggi…

E’ stato un doppio salto mortale.

Una chance per il Cristianesimo in cinque… “spuntini”

Come interpretare tutto questo in chiave di una chance del Cristianesimo? Io da quarant’anni cerco con tanti tentennamenti, tergiversazioni, svolte, di accompagnare i tempi con il minimo risentimento possibile, perché il risentimento è la soluzione più facile ma anche la più micidiale.

Alcune piste di una fede adulta, non più infantile come Freud e Nietzsche avevano insinuato pensando al Cristianesimo (il Cristianesimo come fissazione infantile ad un Dio iperpaterno o di una falsa identificazione con la sofferenza, la proibizione, il super io…).

Vi offro cinque “spuntini”, cinque sfiziosità.

1. La storia della povertà: cura dimagrante per il Cristianesimo

Finora abbiamo sempre parlato di patrimonio, del tesoro della grazia, della potenza del clero, della potestas, abbiamo amato molto la messa in scena dell’inalberarsi, dell’impettirsi, i papi su troni immensi con corone, tutt’ora i vescovi portano questo strano cappello (non ci sono più monaci ma questo cappello è rimasto)… strano tutto questo, c’è qualcosa di surreale.

La povertà. Mi pare che la storia della povertà nel Cristianesimo vada di pari passo con la scoperta della sua essenza mistica e della sua fisionomia che si lascia anche individuare da fuori fenomenologicamente. San Benedetto lo lascio in disparte perché non vorrei parlare “pro domo”. Iniziamo con San Francesco, l’uomo nudo, esposto davanti al Dio nudo ed esposto, nel mistero del presepio della nascita e della morte. Straordinario! Da lì nasce uno spirito di sprezzatura, di spigliatezza, di gioia  della creazione, di elementarietà. Un Cristianesimo elementare. Nel maestro Eckhart e nella mistica domenicana tedesca questa povertà diventa nudità dell’anima, spogliarsi da ogni immagine, da ogni mediazione, da ogni fissazione dogmatica, da ogni piglio di dominio affinché il Verbo divino possa nascere nella mia interiorità; nasce la coscienza credente potremmo dire. Non casualmente il maestro Eckhart va tanto di moda oggi, ovviamente la moda corrompe anche il fenomeno, ma…

Lutero e san Giovanni della Croce, i Carmelitani: lì persino la fede perde le sue penne arrabbiate, i suoi orpelli. E’ la fede nuda. Una cura di dimagrimento straordinaria: solus Christus, sola Grazia, sola Scrittura, sola fede. La fede stessa diventa elementare, non ha più un sostegno, un piglio. Non è casuale che Guardini, 500 anni dopo, nel suo libro “La fine dell’era moderna” torni ad una tale concezione di una fede aspra e disadorna, senza poter ancora vantarsi di se stessa. I Gesuiti lasciano il coro, il chiostro, le belle abbazie; il chiostro ed il coro vanno dentro la volontà, dunque vengono interiorizzati nell’atteggiamento dell’indifferenza (lasciarsi mandare dove uno non vuole andare, magari in India). E finalmente la spiritualità francese: dal seicento fino a Charles de Foucauld e ai preti operai e a tante comunità di base recenti, dove tutto verte sulla adorazione del Dio esposto, sulla condivisione della presenza di Dio nell’anonimato, in ambienti non ecclesiali, in modo quasi non riconoscibile; rendersi anonimi con la presenza del Verbo divino che non è stato riconosciuto quando è apparso su questa terra. E non è casuale che i grandi teologi del XX secolo K. Rahner e Von Balthasar parlino della anonimità di Dio. Dio non è più riconoscibile, non si dimostra più in miracoli; forse oggi si dimostra in eventi, nelle messe in scena del papa defunto, mah… Ma anche lì non si contraddistingue, quasi sparisce in un entusiasmo che si brucia anche facilmente; difficile giudicarlo, anzi, non ci spetta un giudizio, su niente. In tutto questo emerge l’essenza del Cristianesimo sulla quale tornerò brevemente alla fine.

Storia della povertà: a volte penso che oggi ci tocca vivere l’essenza di questa somma, ma siamo ancora lontani da riconoscerlo.

2. Una fenomenologia profetica, capace di salutare i vari fenomeni

Tutto questo, abbiamo visto, è vicino a ciò che si chiama mistica. Che non è una cosa esotica, esoterica o avere sentimenti misti nella pancia o essere turbati di mente. No. Significa non poter definirsi senza il rapporto a Dio, come nel matrimonio non posso e non voglio d’ora in poi definirmi senza il legame all’altro, senza il noi con l’altro, anche quando l’altro non c’è. Senza però ingoiare Dio, senza voler possederlo, conquistarlo, anzi più sono preso da questo rapporto, da una tale presenza qualificante, più sento anche la sua estraneità, la lontananza. Lo viviamo nei rapporti interpersonali: più una persona mi è vicina più sentiamo anche quanto è diversa; più nasce e più rinasce anche la mia solitudine. E questa mistica potrebbe promuovere una presenza profetica, di sprezzatura, spigliata, descrivente nei confronti della società.

Chi ha attraversato questo cammino descrittivo della povertà, della mistica (almeno intuendola) è libero nel descrivere le cose che si svolgono tra di noi, può salutare i progressi della medicina in tutti i campi, ma descrivere anche per ogni cosa umana gli effetti collaterali. Da quando la vita umana si prolunga abbiamo le case di riposo piene di dementi, sopravviviamo a noi stessi; interveniamo sui feti e sugli embrioni in modo salvifico spesso, mah… e il peso di decidere? Si è persa molta paura con la pillola, l’emancipazione delle donne, un altro rapporto alla sessualità, la diagnosi prenatale… raramente però sento un prete parlare di queste cose, prevale sempre un atteggiamento di sospetto.

Tutto ciò va salutato, ma poi ne va descritto il punto critico quando il fenomeno si ritorce su se stesso. E non c’è fenomeno che non abbia un punto critico.

Anche essere troppo devoti, farsi baciapile, perché poi i devoti fanno gli scherzi da prete e si crea un sottobosco. E quando si percepisce alla radio quel tono untuoso… subito uno pensa, ah… è un prete! E’ inimitabile… persino mons. Ravasi – l’ho sentito domenica in una trasmissione di RaiTre con Cesare Romiti – ha questa flessione untuosa e melliflua, davvero insopportabile per il mio gusto; spero di non averlo, ma naturalmente anch’io ne sono inficiato. E poi sempre un po’ sibilante e insinuante… stranissimo. Venendo da una cultura protestante, da teatro, lo percepisco immediatamente.

Ogni cosa, la medicina, il progresso, ovviamente anche la nostra perplessità nei confronti della nascita e della morte, la salute, ecc: chi sarebbe all’altezza di descrivere, accompagnare, far respirare, salutare tutti questi fenomeni se non di per sé una istanza ecclesiale con una sapienza e una tradizione alle spalle che non ha riscontro? I meccanismi della politically correctness, della nostra tolleranza che non è per nulla tollerante quando gli altri sono davvero altri, per es. gli islamici. Lì diversi dogmi della politically correctness multiculturale si mordono. Io descrivo soltanto.

E quale religiosità potrà reggere ad una religione elementare e rituale come l’Islam? Reggere, né cedere, né scusarsi, né dialogare nel senso floscio della parola. E poi come si fa dialogare con l’Islam? Singole persone possono se mai dialogare e già questo raramente succede. Dialogo, un’altra parola abusata dopo il Concilio. Come resistere, cosa proporre, come configurarsi cristianamente? Nei confronti di una religiosità sostanziosa, forte, intransigente, imponente? Noi da 50 anni non abbiamo una cosa del genere; ora propagandiamo i diritti dell’uomo che fino a 50 anni fa abbiamo condannato… anche un minimo di memoria storica farebbe bene per relativizzare il nostro pseudoilluminismo. Non è che l’Occidente sia soltanto ciò che noi riteniamo oggi lo standard. Ci sono tante cose da scoprire.

Ecco, è questo che chiamo fenomenologia profetica.

3. L’istituzione, oltre la parrocchia: una cura d’anime della benedizione

Alcuni esempi. In Germania pensiamo in alcune diocesi a sopprimere e trasformare le parrocchie. Nel capoluogo della provincia dove c’è il mio convento chiudiamo quest’anno 5 delle otto chiese; nella diocesi di Essen abbiamo ridotto le parrocchie da 280 a 40. Le trasformiano in centri cattolici di aggregazione perché le chiese non sono più finanziabili… in fondo la chiesa impara soltanto attraverso il linguaggio della finanza! La conversione avviene mediante questo, ahinoi! Io potrei immaginare, non è l’unica ricetta certo, che nelle grandi città o in molti distretti o regioni abbiamo alcuni centri dove collaborano comunità di base, laici, preti; potrei anche benissimo immaginare un laico come capo di un tale centro e i preti come figure spirituali, con un’offerta qualificata, culturale, mistagogica, sociale e psicologica, dove il Cristianesimo si propone senza la pretesa di voler avere tutti in Chiesa. Adesso incassiamo autogol: la domenica, dopo la prima comunione di 50 ragazzi, forse 4 sono ancora in chiesa! Quale parroco può sopravvivere a lungo a una tale serie di sconfitte? Peggio ancora con la cresima, meglio non parlarne. Dunque una tale pastorale, almeno da noi, sta per crollare, dobbiamo sviluppare un altro principio di presenza, del resto la parrocchia non è mica stata fondata da Gesù! Forse ci vuole un’altra concezione più attraente, più sciolta, più qualificata anche. Ovviamente da lì nasce anche un altro tipo di collaborazione tra preti e laici. Oggi essere preti è una cosa altrettanto friabile che non essere sposati, ormai abbiamo una quota di 35-38% di divorzi, la stessa quota del fallimento di preti. Ovviamente ci vuole anche un altro tipo di associazione, di sostegno fra celibi, sposati, diverse forme di comunità di base. Non è la salvezza, per carità… è un’ottica.

Finora abbiamo o parrocchia o niente, o uno si fa prete o non ha nessun ruolo, o si sposa in chiesa o non c’è niente, o viene battezzato o non c’è niente. Io mi batto per una cura d’anime della benedizione, del sacramentale: abbiamo le benedizioni delle case, perché non aggiungervi, dopo un tempo di distacco, di accompagnamento – come noi facciamo in una parte della Germania – una benedizione delle coppie di fatto in casa, con l’ammissione ai sacramenti ovviamente? Non è possibile che una percentuale così grande sia aprioristicamente esclusa! E’ un autogol per la chiesa e poi siamo assenti sui fronti decisivi. Molti bambini non sono battezzabili perché manca del tutto il contesto; ma anche lì ci vuole un rito che possa dare un’incastonatura alla vita. Nella diocesi di Erfurt, come in quasi tutte le diocesi della Germania orientale, si sono creati diverse forme di questa benedizione in modo ancora più ardito. La diocesi di Erfurt, che ha un territorio grande quasi come il Lazio, con 160mila cattolici su una popolazione di 2 milioni 600 mila di cui quasi 80% sono non battezzati. Queste sono le nostre realtà. Il vescovo e il nuovo vescovo ausiliare in questi 20 anni hanno inventato nuovi riti, per esempio, una cresima per non battezzati in chiesa, cioè una benedizione per adolescenti sulla soglia della vita adulta, con tre mesi di istruzione-introduzione cauta nel paesaggio del cristianesimo e una istruzione elementare di etica e un aiuto a trovare uno stile di vita. Ogni primo venerdì del mese celebrano una memoria dei morti, un rito al quale partecipano i non credenti. La logica è offrire qualcosa a quanti non hanno niente. Nel giorno di san Valentino hanno una benedizione di tutti gli innamorati, delle coppie di fatto.

O prete o laico, o parrocchia o vita religiosa o niente… ma quali altri tipi di sequela qualificata, cioè con una fisionomia propria, potrebbero configurarsi? Secondo me dovremmo incoraggiare tante iniziative, come le comunità di base, ecc. Lo stesso vale per la sinodalità. Sono stato invitato a parlare da due sinodi della chiesa protestante della chiesa nord elbica di Amburgo (con due milioni di protestanti e una vescovessa): per costituzione due terzi del sinodo devono essere laici… ovviamente lì c’è un altro clima, non dobbiamo mica imitarlo, ma fa pensare.

Voglio farvi intravedere cosa ci aspetta… vorrei stuzzicare soltanto l’appetito della curiosità, dell’inventività senza imporre un nuovo dogma; perché io sono un benedettino tardoborghese, dunque sto nella mia tana.

4. Ecumenismo: rispettarsi e ospitarsi (anche sacramentalmente)

Preghiamo permanentemente per l’unità delle chiese ma facciamo di tutto perché non avvenga. Io vorrei rovesciare il laboratorio: per me va benissimo che ci siano diverse chiese che non si lasciano né unire né frammischiare; i Protestanti sono un’altra “razza”, per non parlare delle chiese orientali… la chiesa russa e bulgara con un buon cattolico romano non centra per niente! E l’Europa spaccata tra le chiese statali d’Oriente, dove stato e religione fanno ancora sintesi? Ciò che noi abbiamo sviluppato come differenziazione da mille anni con tanta fatica lì non è ancora nemmeno avviata… Non si può mescolare Kandinskij, Klee e Mondrian… Ma rispettandosi, ospitandosi anche sacramentalmente quando c’è l’occasione, c’è il momento kairologico, pastorale. Se da questa ospitalità, da questa correzione fraterna, da questo arricchimento reciproco nascerà qualcosa come unità, chi sono io per oppormi allo Spirito Santo? Ma prima lasciamo vivere le differenze, anche in modo sofferto.

L’Islam è una religiosità imponente, un po’ come eravamo noi cattolici fino alla fine degli anni cinquanta: andare in chiesa tre volte, il bisbiglio del confessionale, digiuno, pellegrinaggio… Adesso queste cose le abbiamo di nuovo, sotto forma di cose importate. Quale tipo di religiosità sviluppare? Su quali differenze insistere? Come reagire politicamente e soprattutto anche interiormente? Noi oscilliamo tra tolleranza post moderna, disprezzo, terrore, intolleranza. Quale la nostra attitudine? Mi pare ci sia molto da scoprire ed esplorare.

5. L’essenza del Cristianesimo

In fondo abbiamo sempre vissuto con un monoteismo: un Dio, un papa, un parroco, un maschio; un Dio osservatore romano potremmo dire, che guarda e osserva e sbircia, mentre il Dio cristiano non è questo. Trinità significa che in Dio vi sono prospettive diverse, istanze diverse, incommensurabilmente differenti. In Dio stesso c’è differenza, dialogo, dialettica, polarità, ci sono prospettive che non hanno uguaglianza. Questo Dio si è fatto uomo, gesto, presenza, sguardo, tocco, passione… E il Verbo divino quando si fa carne non si è fatto Magistero né professore di dogmatica (con mia grande vergogna…), ma artigiano, predicatore, scellerato, vulnerabile; ha raccontato parabole attraverso le quali ha mostrato un cammino di trasformazione dalla fissazione a una apertura, dalla logica della proibizione e contrazione a una logica della trasformazione verso una maggior presenza divina. Strano gesto quello Gesù, come ha raccontato, toccato, parlato.

Mi pare l’essenza del cristianesimo andrebbe riscoperta in questo senso: il Dio trinitario, dialogico, multiprospettico; il gesto di Gesù e l’intimità della grazia, una bellissima parola italiana. Essa dice contemporaneamente tutta l’eleganza femminile, l’avvenenza, la graziosità, e ancora riconoscenza, cioè riconoscersi riconosciuti, dono e promessa… tutto questo si trova in questa parola intraducibile.

Trinità, Gesù, grazia: un ritmo da riconiugare e da rideclinare.

Chiudo con una citazione di D. Bonhoeffer, tratta dalla conclusione del suo prologo (“Dieci anni dopo – Un bilancio sul limitare del 1943”) di “Resistenza e Resa” dal titolo “lo sguardo dal basso”, scritto dalla prigione di Tegel (Berlino) dove era rinchiuso:

“Resta un’esperienza di eccezionale valore l’aver imparato infine a guardare i grandi eventi della storia universale dal basso, dalla prospettiva degli esclusi, dei sospetti, degli impotenti ed oppressi, in una parola dei sofferenti. Se in questi tempi l’amarezza e l’astio non ci hanno corroso il cuore; se dunque vediamo con occhi nuovi le grandi e le piccole cose, la felicità e l’infelicità, la forza e la debolezza; e se la nostra capacità di vedere la grandezza, l’umanità, il diritto e la misericordia è diventata più chiara, più libera, più incorruttibile; se, anzi, la sofferenza personale è diventata una buona chiave, un principio fecondo nel rendere il mondo accessibile attraverso la contemplazione e l’azione: tutto questo è una fortuna personale. Tutto sta nel non far diventare questa prospettiva dal basso un prender partito per gli eterni insoddisfatti, ma nel rispondere alle esigenze della vita in tutte le sue dimensioni; e nell’accettarla nella prospettiva di una soddisfazione più alta, il cui fondamento sta veramente al di là del basso e dell’alto”.

Così vi congedo, almeno per questa prima parte.

Alcuni spunti dal dibattito

Domande

  1. Perché la Chiesa ha sempre bisogno di una “necessità”, di una spinta esterna per cambiare e riformarsi?
  2. Sull’essenza del Cristianesimo: perché oggi i grandi teologi non insistono maggiormente su questa essenzialità, il Cristo nudo e crudo?
  3. Sulla povertà, stimolati da D.M. Turoldo “Tempo è di ritornare poveri”: ci può indicare qualche pista profetica per il mondo oggi nel vivere questa povertà?
  4. Sulle parrocchie: centri attraenti, sciolti, qualificati, capaci di ospitare la vita della gente senza chiedere nulla in cambio (neppure la fede)… potrebbe essere una pista per riformare le nostre parrocchie?
  5. In che modo le pratiche credenti rientrano nel quadro che lei ha dipinto?

 

Risposte

a) Rinunciare signorilmente, prevedere profeticamente

L’uomo è fatto così, sembra che impari soltanto sotto la pressione della necessità. Molte cose che ho detto stasera anch’io le ho imparate sotto il peso della esperienza della vita. Sono stato giovane prete responsabile per la riduzione allo stato laicale di preti in cinque grandi diocesi; ovviamente lì ho imparato moltissimo, fino ai limiti della propria sopportabilità. Sono stato per dieci anni cappellano in un manicomio specializzato nella cura di sacerdoti… Si imparano cose sul valore dell’uomo, sullo spessore delle persone e vale anche per il matrimonio, il rapporto con i figli… In tedesco chiamiamo questo la “svolta dell’emergenza”.

Ma lei ha anche un po’ ragione. Anch’io soffro tanto per le molte lentezze e intransigenze inutili della Chiesa. Per es. in Germania abbiamo ancora tantissime facoltà teologiche ma non ci sono studenti! Dovremmo proporre allo Stato che finanzia tutto questo di chiudere almeno due terzi delle facoltà. No, continuiamo ad insistere su un diritto che non ha più ragione di essere, finché un giorno lo Stato deciderà lui. Oppure pensiamo all’Italia, ai molti tentativi di voler ancora determinare la politica, influenzare non so chi mediante i vari Casini e Casoni e Fisichella… Noo, è un balletto inaccettabile! Ci vuole un po’ di chiarezza, di distacco anche per la stima della propria e altrui istituzione. Rinunciare signorilmente, prevedere profeticamente… Anche questo mi rattrista: che la Chiesa non rinunci mai volontariamente ad alcunché: per una religione della croce è grave…

b) Rabdomanti di tracce del Dio passato

L’essenza del Cristianesimo è ancora una bella traccia. Forse Dio non è più presente in modo sfarzoso, imponente, potente… viviamo oggi un’epoca ammaestrati da questo mistero elementare a diventare rabdomanti di tracce del Dio passato. Ci sono tante tracce della presenza, spessore, lucidità, amabilità della vita. Mi sembra questa anche una bella e incoraggiante immagine dell’atteggiamento ecclesiale e pastorale.

San Tommaso, Nicolò Cusano, Agostino, Metilde di Magdeburgo, santa Teresa D’Avila, la piccola Teresina, Schleiermacher, Goethe, ecc… tutti costoro e tanti altri io li chiamo “amici”. Chiedo ai miei studenti di leggere le loro opere per un mese o due per entrare in dimestichezza, affiatarsi, respirare questi grandi autori, conoscere le loro biografie. Ho cercato di trasformare il peso della complicatezza della tradizione in un rapporto amichevole con alcune figure: santi, letterati, poeti, teologi, filosofi… Per me che ho scelto il celibato, del resto, è fondamentale popolare la solitudine. Mi pare sia un bel modello di tradizione viva, anche riconoscendo ovviamente l’ambivalenza che ogni grande figura porta con sé (“Ogni grande figura getta tre, quattro, cinque ombre”, Amos Oz).

c) Un compito profetico per la Chiesa

Come vivere la povertà? Mi pare sarebbe già molto accogliere la cura di dimagrimento che stiamo per vivere… e non è facile. Nel mio convento siamo passati negli ultimi trent’anni da 80 a 50 monaci, stiamo diventando un convento di vecchietti, una nicchia riscaldata di gente che si è arrangiata. Subire questa morte lenta, farlo senza troppi risentimenti non è una cosa facile… c’è tutta un’ascesi mistica da investire.

Il mio lavoro di descrizione, sospeso tra malinconia, umorismo, realismo, profetismo, ricerca di piste per il futuro, è anche una forma di povertà, di reggere alla poliedricità della realtà. E tutto questo con un pizzico di speranza, di senso dell’avventura.

La nostra povertà non è più solo quella materiale: questa arriverà anche perché, demograficamente e politicamente, non siamo più finanziabili! Nelle mie prediche preparo chi mi ascolta e anche la mia anima a nuove forme di ridimensionamento del nostro stato sociale e del nostro stile di vita.

Un compito profetico della Chiesa sarebbe proprio questo: descrivere tutto questo, senza allarmismi e disfattismi, senza autocompiacimenti (ah… se la gente è più povera va di più in chiesa), assistere in modo incoraggiante ai processi di trasformazione della nostra società.

d) Un cristianesimo forte e umile, non debole

Questi centri, di cui parlavo nel punto 3, non sono in concorrenza con le parrocchie. Penso però che in molte città e regioni della Germania tali centri potrebbero e dovrebbero sostituire nei prossimi vent’anni il sistema parrocchiale. Dunque un cristianesimo che non si basa più sulla partecipazione e coappartenenza coatta, ma sull’adesione volontaria, adulta (in molte parrocchie abbiamo già più battesimi di adulti che non di bambini). Ovviamente tutto questo per l’Italia è ancora oltre l’orizzonte.

Io non propago niente, ma descrivo uno scenario che ci attende in Europa (Svizzera, Olanda, Francia, ormai anche in Spagna; in quest’ultimo paese si è passati in trent’anni da una chiesa statale franchista ad una chiesa del tutto minoritaria). E mi auspicherei anche ad intra un altro effetto dell’organizzazione, del sentirsi chiesa.

Molte delle cose che ho detto stasera non corrispondono al mio gusto personale e al mio stile di vita: in fondo io rimango un benedettino classico che ama le liturgie in latino… Non è dunque che abbia un programma di salvezza che mi piaccia. Però io vedo queste cose, assisto all’emergere e cerco di dar loro un corpo linguistico e gestuale. Cerco di cogliere queste cose dai segni dei tempi e di accettarle dal Dio che ci accompagna.

E se il mondo continua a trasformarsi ad una tale velocità e sotto così tanti aspetti come è accaduto negli ultimi 40 anni, allora ci aspetta ancora parecchio, ne vedremo di tutti i colori!

Cerco di essere coraggioso e di reggere a queste prospettive con fantasia e con umiltà. Ho cercato di proporre un cristianesimo forte e umile, ma non debole. Non è facile, cerco di affiatarmi a questo, a volte anche contro di me.

e) Sciolti e colti per accogliere le persone in modo libero e liberante

Ho toccato en passant l’argomento delle pratiche credenti quando ho parlato dell’Islam come religione elementare e rituale che ci costringe a fare i conti con la nostra dimenticanza di queste cose. L’uomo è gesto, è devozione, è preghiera. Al momento la nostra chiesa a livello quotidiano e parrocchiale non offre granché: la cinghia di preghiera tra tradizione e quotidianità si è parzialmente rotta e abbiamo perso tantissime forme di devozione e preghiera. Io penso – e lo pratico anche – che ci vorrà tanta fantasia del possibile riallacciandosi alla Tradizione, alle diverse tradizioni e cercando nuove forme. Per es. oggi le messe hanno tutte la stessa forma… Io penso che un terzo Concilio Vaticano dovrà ridefinire diverse forme di liturgia eucaristica. Una liturgia veramente comunicativa, dove si spezza il pane attorno ad un tavolo, come io faccio con le comunità di base; una liturgia davvero festiva, adorativa; una liturgia essenziale per i giorni feriali (la “missa sicca” della tradizione) dove si può anche pregare e non sempre vedere e sentire la voce a volte stridula (amplificata dal microfono) del prete. Lo stesso vale per il terreno immenso fra adorazione e meditazione: in giro abbiamo tantissimi circoli di meditazione zen, yoga, ecc. ma nella nostra chiesa di tutto questo praticamente non si trova niente.

Oppure pensiamo ai funerali e alle tante bugie semantiche che si dicono nelle liturgie funebri nei confronti di persone che magari da 40 anni non hanno più messo piede in una chiesa. Io per es. in molti funerali uso gli schemi della parrocchia universitaria di Amsterdam che contengono preghiere straordinarie tra meditazione e invocazione creaturale… “preghiere a tentoni”, con uno stile invitante che apre uno spiraglio, che aiuta religiosamente a dare una forma alla vita. Lo stesso per il battesimo…

Dunque ci aspetta una bella rivisitazione della nostra tradizione, una bella avventura. Occorre promuovere questa prassi dove quotidianità, esperienza di vita, il nostro agnosticismo misticheggiante e forme classiche della chiesa si incontrano, si salutano ed si elevano.

La domanda mi ha dato l’opportunità di parlare di questo laboratorio che è molto importante nella mia vita. Cerco di coniugare il massimo della tradizione, che studio e amo, con il massimo della scioltezza. Sciolti e colti per accogliere molte persone in modo libero e liberante: questo mi pare sarebbe il motto di una pastorale incisiva e invitante.

Fossano, 20 febbraio 2006
(testo non rivisto dal relatore)


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