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8 Marzo 2003
Stella Morra

5. Il conflitto insanabile che esiste nel cuore dell’uomo

Commento a: Gv 18, 28-19,16


Il testo di cui ci occupiamo oggi è tratto dal Vangelo di Giovanni, è il dialogo tra Gesù e Pilato durante il processo a Gesù.

E’ un brano molto lungo, per cui non lo leggeremo tutto, ma lo ascolteremo presto, durante la settimana Santa avvicinandoci alla Pasqua.

Mi pare bello, all’inizio della quaresima, soffermarci su un testo che ci permette di continuare il nostro ragionamento, e in più ci fa riflettere un po’ sulla Quaresima e sulla Pasqua.

Riassunto delle puntate precedenti.

Nei primi due testi, quello di Caino e Abele e quello di Giuseppe, abbiamo visto come la Bibbia, la Parola di Dio, ci aiuti a descrivere i dati non solo con taglio giornalistico, ma a capirli nelle loro dimensioni più profonde.

Ci aiuta a vedere il conflitto come un dato di realtà “inevitabile”, come qualcosa che nasce dal nostro modo di guardare la diversità e, contemporaneamente, come una possibilità creatrice, una possibilità positiva che dà nuova vita.

Tutte le volte che noi facciamo queste analisi di realtà sulla condizione umana, alla fine ci ritroviamo esattamente dove eravamo all’inizio: comprendiamo più a fondo le situazioni, ma ci troviamo di fronte al fatto che la realtà è quello che è, la possiamo solo usare in modi diversi. La descrizione della realtà aiuta a capire, non salva, non aiuta ad essere diversi!

Poi abbiamo visto il racconto della morte dei primogeniti, un brano duro, pesante, sanguinoso.

Se dovessi riassumere brevemente, direi che quel testo ci aiuta a capire l’impossibilità dell’equidistanza, cioè l’impossibilità di fermarci alla descrizione della realtà umana.

Questo brano ci dice che Dio stesso, seppur dolorosamente, prende parte al conflitto sulla schiavitù di Israele, ascolta il grido del suo popolo e si scatena una violenza: la morte dei primogeniti, certamente “ingiusta”, ma preannuncio di un’alleanza.

Il primo passaggio oltre la descrizione ci dice: fermarsi alla descrizione è un terribile peccato di superbia, non solo è inutile, significa che non abbiamo il cuore da nessuna parte, non abbiamo nessuna alleanza.

I conflitti sono difficili da gestire, la violenza è pesante, perché uno ha il cuore da una parte o dall’altra. Se uno teorizza l’equidistanza, forse non scatena conflitti, ma cosa ben peggiore, diventa assolutamente sterile.

Abbiamo poi visto il testo di Matteo: “Non sono venuto a portare la pace, ma una spada. Sono venuto infatti a separare”. C’è un ulteriore passo, nel mettersi da una parte, una possibilità data dall’annuncio del regno.

Gesù è “mettersi da una parte”, è radicare il cuore da qualche parte, dalla parte della croce.

Chiunque vuol venire dietro a me, prenda la sua croce e mi segua”. E’ mettersi consapevolmente, coscientemente da una parte, dalla parte perdente del conflitto. Questo testo è un po’ difficile da masticare.

Introduzione

C’è una cosa che mi sta molto a cuore: ho la sensazione che il nostro rischio più grande non sia la mancanza di fede, ma l’aver annacquato l’esperienza cristiana riducendola ad una specie di buona educazione generica. Uno è cristiano perché non ammazza nessuno, si occupa anche un pochino degli altri, ma in fondo senza troppe scosse, senza esagerazione.

Di solito sappiamo trattare bene gli altri, sappiamo perdonarli quando ci accorgiamo di aver torto, ma ci è difficile accettare di essere trattati male se riteniamo di avere ragione.

Questo meccanismo è una specie di ammorbidimento del cristianesimo ridotto ad una logica di umana civiltà, di buona educazione.

Penso sia questo il grande rischio epocale, culturale: perdere di vista l’essenza del cristianesimo, il suo “proprio” specifico, scandaloso, provocatorio, quello che solo l’incarnazione del figlio di Dio, la sua morte e risurrezione potevano darci.

E’ quel “proprio” del cristianesimo che non viene dall’elevare un po’ lo spirito, dal migliorare, dall’essere più civili, più umani. Certo, questo è già buono: se tutti fossimo più civili, questo mondo sarebbe migliore. Detto questo, se Gesù fosse morto di raffreddore, non avrebbe cambiato nulla, nel senso che non c’è novità senza il “proprio” scandaloso della sua morte e risurrezione.

Nel corso della storia dell’umanità non sono mancati i sapienti, e moltissimi hanno spiegato, insegnato, cercato di testimoniare che se siamo più educati, più gentili, più aperti all’altro, più aperti alla diversità, è molto meglio…

Io credo che il testo dell’altra volta e quello di oggi siano duri, difficili, perché vanno a cozzare proprio contro la nostra tendenza – sempre molto radicata nella storia, ma particolarmente in questo periodo, per motivi storico-culturali – ad ammorbidire, smussare il cristianesimo.

La Buona Notizia

Nelle nostre teste il cristianesimo funziona come una versione un po’ più occidentale di una generica new age o del buddismo. Se uno si impegna, fa delle buone respirazioni, prega, si concentra, si dimentica di sé… alla fine tutto il mondo è più armonioso. Questo va benissimo, sarebbe già un ottimo guadagno… ma il problema per noi è il cristianesimo nella sua buona notizia.

Il cristianesimo è l’annuncio di una buona notizia! Ma qual è la notizia? Che “ci dobbiamo amare”? Questa non è una buona notizia, è un comando. L’annuncio di una buona notizia è qualcuno che mi racconta di un fatto che è accaduto, reale e buono, piacevole.

Questi temi che stiamo affrontando in modo specifico, il conflitto e la violenza, aiutano ad andare vicino al centro incandescente del cristianesimo, perché sono temi di per sé scandalosi, il conflitto e la violenza ci fanno molto male e non consentono di applicare una eccessiva buona educazione generica. Un conflitto è maleducato in se stesso. Si può finire in un conflitto a pugni, un conflitto violento, oppure finire in un conflitto a parole taglienti, meno violento sul piano fisico, ma certo non ben educato – se no non è un conflitto.

La lectio di oggi

Il testo di oggi ci fa soffermare ancora di più sul contenuto della buona notizia, sul tema della croce e del regno di Dio come un luogo, una parte da cui mettersi.

E’ una scelta possibile: io posso mettermi da una parte, anche se non è particolarmente ragionevole. San Paolo dice che la croce è bestemmia per gli ebrei e scandalo per i greci.

Questo versetto lo citiamo spesso, ma cosa vuol dire? Scandalo per la ragione, bestemmia per gli uomini religiosi. Bisogna recuperare questa dura forza della croce.

Rimaniamo su questo tema leggendo il dialogo tra Gesù e Pilato nel racconto della Passione secondo Giovanni (cap. 18, 28 – 19, 16), che è un po’ diverso dal racconto della Passione secondo i vangeli sinottici.

In questo racconto Gesù non “insegna” il Regno, ma “è” il Regno.

Rispetto al testo dell’altra volta, in cui c’era un insegnamento di Gesù, era lui che parlava, questo testo è ancora più chiaro e più potente. Siamo abituati a sentire qualcuno che insegna, ma le parole ci passano un po’ sopra la testa. La nostra cultura è molto più sensibile a ciò che una persona è, non tanto a ciò che dice, ma al modo in cui uno si comporta.

Questo testo è moderno, e dunque anche complesso e inquietante. Spero che alla fine del percorso lo possiate vedere anche voi. E’ un testo molto articolato dal punto di vista storico, esegetico; bisognerebbe fare una premessa molto ampia, che però non affrontiamo in questo contesto.

Mi sembra comunque importante dire che il racconto della Passione secondo Giovanni si articola in una serie di quadri, un po’ come quelli dei cantastorie, e ognuno di questi quadri è molto rifinito, pensato. Giovanni non si preoccupa di fare il diario di ciò che è accaduto, come invece i sinottici. Per esempio i calcoli temporali di Giovanni – il primo giorno, il terzo giorno, ecc.- non tornano, sono sbagliati. Giovanni non ha il problema della cronaca, di costruire un diario storicamente preciso: il suo è un testo teologico. Lui racconta tutti i passi della morte di Gesù con in testa uno scopo molto chiaro: mostrarci come questa morte sia la buona notizia.

Dunque il suo è un disegno molto costruito; per questo motivo vi consiglio caldamente di darvi un tempo, in questa quaresima, per leggere il racconto tutto di fila, magari più volte, con un po’ di calma, per vedere il quadro che Giovanni costruisce, la storia che racconta, non tanto nel dato biografico, ma nel dato teologico, per vedere quale figura di Gesù emerge.

Il testo: Giovanni 18,28-19,16

28 Allora condussero Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l’alba ed essi non vollero entrare nel pretorio per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua. 29 Uscì dunque Pilato verso di loro e domandò: «Che accusa portate contro quest’uomo?». 30 Gli risposero: «Se non fosse un malfattore, non te l’avremmo consegnato». 31 Allora Pilato disse loro: «Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge!». Gli risposero i Giudei: «A noi non è consentito mettere a morte nessuno». 32 Così si adempivano le parole che Gesù aveva detto indicando di quale morte doveva morire. 33 Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Tu sei il re dei Giudei?». 34 Gesù rispose: «Dici questo da te oppure altri te l’hanno detto sul mio conto?». 35 Pilato rispose: «Sono io forse Giudeo? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me; che cosa hai fatto?». 36 Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». 37 Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». 38 Gli dice Pilato: «Che cos’è la verità?». E detto questo uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: «Io non trovo in lui nessuna colpa. 39 Vi è tra voi l’usanza che io vi liberi uno per la Pasqua: volete dunque che io vi liberi il re dei Giudei?». 40 Allora essi gridarono di nuovo: «Non costui, ma Barabba!». Barabba era un brigante.

1 Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. 2 E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora; quindi gli venivano davanti e gli dicevano: 3 «Salve, re dei Giudei!». E gli davano schiaffi. 4 Pilato intanto uscì di nuovo e disse loro: «Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui nessuna colpa». 5 Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: «Ecco l’uomo!». 6 Al vederlo i sommi sacerdoti e le guardie gridarono: «Crocifiggilo, crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Prendetelo voi e crocifiggetelo; io non trovo in lui nessuna colpa». 7 Gli risposero i Giudei: «Noi abbiamo una legge e secondo questa legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio». 8 All’udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura 9 ed entrato di nuovo nel pretorio disse a Gesù: «Di dove sei?». Ma Gesù non gli diede risposta. 10 Gli disse allora Pilato: «Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?». 11 Rispose Gesù: «Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo chi mi ha consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande». 12 Da quel momento Pilato cercava di liberarlo; ma i Giudei gridarono: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque infatti si fa re si mette contro Cesare». 13 Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette nel tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà. 14 Era la Preparazione della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: «Ecco il vostro re!». 15 Ma quelli gridarono: «Via, via, crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Metterò in croce il vostro re?». Risposero i sommi sacerdoti: «Non abbiamo altro re all’infuori di Cesare». 16 Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso.

Commento:

Gesù, l’Agnello

Il tema della Passione di Giovanni è Gesù, l’Agnello, con riferimento al racconto dei primogeniti.

Per distinguere le case degli ebrei da quelle degli egiziani, l’angelo dice: “Uccidete un agnello e bagnate con il sangue gli stipiti delle porte così l’angelo distruttore saprà che lì c’è il popolo di Dio e non ucciderà i primogeniti”.

La figura teologica di Giovanni è “Gesù, l’Agnello”, colui che, ucciso, segna con il suo sangue le nostre case interiori perché noi non moriamo. Questa è l’immagine usata in tutto il racconto della Passione.

Il racconto di Giovanni, proprio perché così costruito, è stato diviso dagli esegeti in moltissimi modi, strutture, parallelismi, per vari motivi letterari. Io non vi propongo una divisione di tipo scientifico, esegetico, ma una divisione di tipo teologico, che aiuti a capire.

Il brano inizia con un versetto che, come al solito nei testi antichi, ne costituisce il titolo.

Noi di solito andiamo al centro del testo per cercarne il senso; per gli antichi non era così: siccome era necessario risparmiare carta, non c’era l’abitudine materiale di scrivere il titolo, perciò le prime righe erano una specie di proclama, capace di focalizzare l’attenzione.

28 Allora condussero Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l’alba ed essi non vollero entrare nel pretorio per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua. 

E’ chiaro che Giovanni usa un tono ironico pesante, molto chiaro per gli ebrei, non tanto per noi: di fronte a questa nuova Pasqua, a questo Agnello che davvero salva con il suo sangue, costoro non entrano nel pretorio per non contaminarsi con un pagano, per essere puri e poter mangiare la Pasqua. E’ chiaro che l’intenzione polemica di Giovanni è molto forte.

Equità della legge, ideologia della religione

Questo versetto è anche il titolo della sezione che serve a noi. Si dicono due cose: Gesù viene condotto dal mondo ebraico, dalla casa di Caifa, al pretorio, al mondo romano, ai gentili.

C’è lo spostamento dal mondo ebraico al mondo dei non ebrei, dei gentili; e in questo spostamento l’unica preoccupazione è quella di non contaminarsi!

In tutto il racconto i personaggi sono sostanzialmente tre: Pilato, i giudei, sempre indicati collettivamente, e Gesù.

Pilato e i Giudei rappresentano due immagini molto forti per noi, se riusciamo a vederle.

Pilato è “dell’equità della legge”. Ci è sempre stato presentato come un timido, un pauroso, uno che non ha il coraggio delle proprie responsabilità, perché è chiaro che questo racconto è funzionale a far vedere che Gesù era bravissimo.

Il problema che Giovanni ci sta mostrando è che da una parte c’è un uomo, un gentile, che crede nella legge; è colui che governa, amministra la legge. Per la sua cultura, la legge romana era la migliore in circolazione. Forse per noi è un po’ brutale, ma per i tempi era la legge migliore che c’era a disposizione, non essendo stata ancora inventata la democrazia!

Dall’altra parte ci sono i giudei, o “dell’ideologia della religione”, il popolo più religioso che c’era in circolazione, quello monoteista, il più scaldato nel credere in Dio.

I romani avevano grande culto per la legge e scarso rispetto per gli dei, non lo consideravano un tema decisivo. I giudei avevano il problema opposto: la primazia di Dio, dell’Alleanza.

Ecco due soluzioni pronte, preconfezionate per ogni buon conflitto; se io non voglio entrare dentro i conflitti, ho due possibilità già pronte nella cultura e nel tempo: la legge o la religione. Sono due soluzioni degne, non così male.

Siamo abituati, leggendo i passi legati alla Passione di Cristo, a considerare questi personaggi dei matti, dei cattivi perché hanno giustiziato Gesù… ma queste due soluzioni non sono così male, aiutano nella vita! Queste due soluzioni: la devozione alla legge e la devozione a una religione, sono pronte per i conflitti, sono il meglio che si può produrre se partiamo da Caino e Abele e Giuseppe. Se noi ci fermiamo alla descrizione della situazione umana, al fatto che sembra impossibile, ma siamo tutti diversi, e dopo un po’ la diversità ci porta a litigare e il conflitto di per sé è pesante, ma può essere anche motore di vita.

L’esito peggiore è picchiarsi all’infinito con tutti, l’esito migliore è darsi una legge, oppure costruire un impianto sacro, religioso, per cui siamo aiutati ad usare il più possibile questo conflitto in modo vitale invece che in modo pesante, cattivo. Pilato e i giudei rappresentano proprio queste soluzioni.

Noi siamo Pilato e i giudei. Leggendo questo testo dovremmo avere molto chiara questa situazione: noi siamo veramente Pilato e i giudei. In quest’ottica la modernità di questo brano è inquietante!

Queste non sono le peggiori tra le soluzioni possibili, queste sono le due migliori; nel centro del brano, ai versetti 38b e 39, ci sono invece le due soluzioni peggiori, che anche a noi fanno un po’ ribrezzo.

E’ il tentativo di Pilato che dice: vi libero Barabba. Non sa più come cavarsela, per cui ricorre all’usanza ebraica di liberare un prigioniero per la Pasqua. Pilato dice: se volete vi libero Gesù invece di Barabba, che è un ladro! E’ evidente qui ciò di cui parlavamo la volta scorsa: la proiezione, la sostituzione. Se non riesco a venire a capo di questa faccenda, cerco una scappatoia, sposto il problema!

Subito dopo viene il racconto dei soldati che scherniscono Gesù, gli sputano in faccia, lo salutano Re dei giudei, lo incoronano di spine come segno di regalità presa in giro.

Queste sono le due soluzioni peggiori di un conflitto: la sostituzione, lo spostamento e l’irrisione.

In questo brano noi abbiamo i due personaggi principali che danno le due possibili soluzioni migliori, la legge e la religione. Al centro, come un piccolo cammeo, appena accennate, ci sono le soluzioni peggiori alla violenza, alla durezza, alla provocazione rappresentata dalla presenza stessa di Cristo. Come abbiamo visto la volta scorsa, Cristo dice: c’è un modo di abitare questo conflitto, un modo salvifico, ma nello stesso tempo scandaloso, incomprensibile, folle, perdente… è quello che lo porterà sulla croce!

Di fronte a questa cosa si può cercare di sgattaiolare o prendere in giro – e sono le soluzioni peggiori – oppure inventarsi una legge, o una religione: è una soluzione più nobile, ma continua ad essere una falsa soluzione. Questa è un po’ la logica del brano.

All’interno del testo noi abbiamo cinque quadri: Pilato e i Giudei; Pilato e Gesù; Barabba e gli scherni; Pilato e i Giudei; Pilato e Gesù. Infine c’è la conclusione che fa da contrappeso al prologo che vi ho letto prima.

Questo per avere il quadro generale.

La Buona Notizia: un soffio leggero

Riprendiamo il versetto iniziale:

28 Allora condussero Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l’alba ed essi non vollero entrare nel pretorio per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua. 

Il tono dato da questo inizio è il dire: c’è un movimento, uno spostamento.

Il conflitto, la provocazione, lo scandalo di una violenza ci fa muovere e questo avviene prima di ogni nostra scelta. L’avevamo già visto in Caino e Abele, in Giuseppe, ma qui è molto chiaro, visibile, forte: non si può affrontare un conflitto stando fermi!

Su questa piccola considerazione iniziale ci sarebbero da fare alcuni pensieri. Io dico una sola cosa, come provocazione. Quando camminiamo, ad ogni passo spostiamo il baricentro e, per una frazione di secondo, siamo totalmente squilibrati. Dopo anni di camminate non ci facciamo più molto caso, mettiamo un piede dopo l’altro e via. Se però dobbiamo camminare con le stampelle, improvvisamente scopriamo che c’è quell’attimo tragico in cui ci si sente sospesi nel vuoto, si ha la sensazione che basterebbe pochissimo per cadere. Ogni tanto accade di inciampare in una cosa piccolissima che, se fossimo fermi e ben appoggiati, non ci creerebbe nessun problema, ma se ci capita, per esempio, su una scala, dove gli spostamenti di baricentro sono più complicati, rischiamo di fare un capitombolo.

La buona notizia di Dio funziona così: se uno sta piantato sui due piedi, ben saldo, non succede nulla, perché funziona, come ci viene detto nel primo libro dei Re, come un soffio leggero.

Dunque il compito fondamentale, per chi è interessato ad essere credente, non è tanto cercarsi le croci, fare o capire chissà che cosa, ma continuare a squilibrarsi, a squilibrare il proprio baricentro perché il sassolino della buona notizia possa farlo rotolare.

Ed è incredibile quanta energia sviluppa un sassolino se ci colpisce nel momento giusto! Riusciamo ad ammaccarci dappertutto, a fare un sacco di movimento, abbiamo molta energia in più di quella che avevamo messo in quel passo, perché siamo squilibrati.

Uno dei nostri problemi, nel seguire Gesù, è che stiamo sempre piantati su tutti e due i piedi!

Non c’è mai lo squilibrio necessario perché la parola di Dio ci possa raggiungere e far rotolare improvvisamente in avanti. Detto in modo più colto, questa sarebbe “la potenza della novità dello Spirito”! Per tutte le generazioni credenti la preoccupazione più grande è sempre stata quella di dire: “non spegnete lo Spirito, non chiudetelo, non tenetelo fermo”. Come si fa a non spegnerlo? Posso spegnerlo se sto fermo e ben piantato, perché lo Spirito di Dio è potente, ma non violento! Se io sto fermo non mi sposta, perché vuol dire che io voglio stare fermo e tranquillo e lui rispetta la mia libertà. Se io sposto il mio baricentro, mi metto in movimento, allora basta un soffio per mettere in movimento la novità.

Il conflitto nella nostra vita è lo spostamento del baricentro, la rottura di un equilibrio, quindi non è mai una faccenda allegra. Se il nostro obiettivo è stare tranquilli, lasciamo perdere! E’ chiaro che la prima sensazione nello squilibrio è: adesso cado!

Il previo rispetto ad ogni scelta possibile è l’accettazione di non padroneggiare totalmente il proprio equilibrio, di non essere l’unico re e governatore di sé – la scrittura definisce così il peccato di idolatria: pensarsi come unico padrone di sé.

I giudei si fermano fuori dal pretorio perché non vogliono contaminarsi; gli spostamenti contaminano, sporcano. Non c’è un modo per squilibrarsi e rimanere corretti! Io credo che uno dei grandi drammi della cristianità attuale sia l’ossessione della correttezza

Noi ci poniamo il problema di essere corretti, equidistanti, giusti e ci sembra che questo sia il centro di tutto. Gesù non è corretto, Gesù è misericordioso, onnipotente, ferito, morto, risuscitato… non è corretto.

I Padri della Chiesa e tutta la tradizione ci insegnano che il grande movimento con cui Gesù si fa uomo si chiama Kenosi, cioè abbassamento: con il linguaggio di oggi noi chiameremmo questo movimento contaminazione. Gesù si è “sporcato” dell’umanità. Se si fosse posto il problema della correttezza, sarebbe rimasto nella comunione della Trinità, e noi staremmo nei guai.

Gesù ha squilibrato verso l’umanità il grande equilibrio della Trinità! Dio si è misericordiosamente piegato sulla storia!

Questa legge per noi è durissima. Contaminarsi, sporcarsi significa accettare fino in fondo la propria parzialità, il fatto che io non posso essere tutti, non posso essere ogni cosa, non posso essere giustizia: posso essere una cosa sola e forse non sono neppure convinto che quella sola cosa che posso essere sia in assoluto il meglio, forse è il meglio che riesco a capire fino lì.

Pilato e i Giudei

Dialogo tra Pilato e i Giudei, primo quadro.

29 Uscì dunque Pilato verso di loro e domandò: «Che accusa portate contro quest’uomo?». 30 Gli risposero: «Se non fosse un malfattore, non te l’avremmo consegnato». 31 Allora Pilato disse loro: «Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge!». Gli risposero i Giudei: «A noi non è consentito mettere a morte nessuno». 

(Giovanni, con ironia, nel quadretto parallelo, al versetto 7 del capitolo 19, dice: ‘Gli risposero i Giudei: ‘Noi abbiamo una legge e secondo questa legge deve morire’. Giovanni ci mostrerà il concetto che i giudei hanno della legge: non gli è consentito mettere a morte nessuno, ma quello lì deve morire…).

Questo breve dialogo tra Pilato e i Giudei è eclatante: è la paralisi delle due soluzioni di cui si parlava prima. Io sono corretto, tu sei corretto, tutti sono corretti, non si fa niente, non succede niente: è la morte. Ognuno ha in testa una cosa, quella vuole difendere, non impara niente da ciò che accade, dalla legge, dalla storia, dal movimento, dal dialogo con l’altro e tenta solo di non prendersi una responsabilità.

E’ la questione degli scrupoli, quando ci poniamo domande del tipo: “è giusto o sbagliato?”, “cosa vuole Dio da me”?… ragioniamo in questo modo. Ci chiediamo se era giusto o sbagliato ciò che abbiamo fatto quando, in realtà, una parte di noi sapeva che era sbagliato. Ci dà fastidio averlo fatto e non riusciamo a ‘farcene una ragione’. Cominciamo a fare delle giravolte, a chiedere consigli, siamo in balia degli scrupoli, dei sensi di colpa, che sono una radice micidiale di conflitti.

Ci sono pochi così incapaci di accettare la diversità dell’altro in modo creativo come coloro che si sentono in colpa!

Sentirci in colpa ci fa diventare molto aggressivi perché, in genere, come i Giudei con Pilato, dobbiamo trovare nell’altro il motivo che ci dà ragione. Sentirsi in colpa non è solo sbagliato rispetto alla propria psiche e inutile rispetto al cristianesimo: è un grande motore di malvagità, ben al di là delle nostre intenzioni coscienti.

Chi è libero può abitare un conflitto in modo creativo, mentre chi si aggroviglia sui propri sensi di colpa in genere crea confusioni che alla fine non governa più.

Provate a pensare ai nostri dialoghi interiori quando ragioniamo sui nostri sensi di colpa. E’ inquietante, ci sono dentro di noi un Pilato e un giudeo che giocano a non contaminarsi. C’è dentro di noi questa dinamica di aggrovigliamento che è micidiale.

Pilato e Gesù

Secondo quadro, il primo dialogo tra Pilato e Gesù:

33 Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Tu sei il re dei Giudei?». 34 Gesù rispose: «Dici questo da te oppure altri te l’hanno detto sul mio conto?». 35 Pilato rispose: «Sono io forse Giudeo? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me; che cosa hai fatto?». 36 Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». 37 Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». 38 Gli dice Pilato: «Che cos’è la verità?». E detto questo uscì di nuovo

Abbiamo sicuramente sentito tante volte questo dialogo, lo abbiamo dentro le orecchie: proviamo a vederlo sull’orizzonte che stavamo delineando.

Pilato è un uomo di legge, dunque il suo primo problema è stabilire i ruoli, capire chi è re, chi non lo è, chi ha ragione, chi non ce l’ha, chi ha potere, chi non lo ha. Pilato non fa questo in modo doppio, fasullo: questa è la nostra lettura a posteriori. Per lui è molto chiaro, è un tentativo di correttezza – questi Giudei rissosi, non si capisce mai come si organizzano, chi comanda, cosa vogliono veramente…

Pilato cerca di capire: se questo Gesù ha una qualche legittimità ad essere re, bisogna punire gli altri e premiare lui; se invece è un pazzo furioso che si è autonominato re, bisogna dar ragione agli altri e trovare una soluzione. La sua domanda è: “Tu sei re?”

Nel nostro tempo non si farebbe una domanda così diretta, perché abbiamo mille modi per verificare le autorità, ma è esattamente il nostro atteggiamento standard, detto in modo un po’ ironico: questi litigano, chi avrà ragione? Chi ha cominciato? Ci mettiamo un passo fuori e cerchiamo di capire gli elementi della questione, con un po’ di calma e di ragionevolezza.

Pilato ha la sfortuna di trovarsi davanti Gesù che non è uno qualsiasi e soprattutto sta nella situazione di squilibrio, è uno che si sposta continuamente. In tutti i dialoghi raccontati dal Vangelo, Gesù squilibra perché si sposta. Il motivo per cui è venuto nel mondo è se-durci, condurci a sé, tirarci dentro la dinamica della Trinità.

Giovanni usa sempre, nel suo Vangelo, questo artificio: quando qualcuno fa una domanda a Gesù, questi risponde con un’altra domanda e si crea uno squilibrio, uno spostamento costante, provocato da domande che si susseguono.

Pilato chiede: “Sei tu il Re?” e Gesù risponde: “Lo dici da te o te lo ha detto qualcuno?”.

Che logica ha questo dialogo? Le parole si capiscono, ma è necessario scoprirne il senso profondo.

Pilato mira a stabilire chi ha ragione tra Gesù e i Giudei, perché vuole essere un uomo giusto secondo le leggi. Gesù gli contrappone una domanda su di lui, su Pilato stesso, gli fa una domanda sulle fonti su cui fonda la sua domanda.

Quando ci viene da dire: devo sentire le ragioni dell’uno e dell’altro per vedere chi ha ragione, la questione vera è: da dove viene a me la possibilità di dire chi ha ragione? Qual è il criterio? Sono io stesso? Io so chi ha ragione?… “Lo dici da te o te lo ha detto qualcun altro?”

Disinnescare questo piccolo meccanismo, fare l’esercizio di non pensare mai che io posso stabilire chi ha ragione, già sarebbe una bella storia.

Pilato fa il primo passo falso. Se dentro un conflitto io dico: non sono io in questione, non stiamo parlando di me, mi chiamo fuori, già comincio a slittare su una china che non funziona, che mi esclude dal meccanismo vitale del conflitto.

Pilato dice a Gesù: “parliamo di te: che cosa hai fatto?” Gesù accetta e risponde:

36 Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei.

“Vuoi parlar di me? Va bene. Io non funziono come voi, ho un altro criterio, la mia autorità è altrove, sono venuto per rendere testimonianza alla verità”.

E Pilato allora chiede che cosa sia la verità, ma non si ferma a sentire la risposta, esce!

Gesù accetta di parlare di sé, dice che viene da altrove ed è venuto per dare una testimonianza alla verità, a ciò che veramente conta, a ciò che è vero davvero. Se Pilato fosse stato ad ascoltare la risposta, la storia forse sarebbe andata diversamente. Ma Pilato chiede senza avere nessuna intenzione di stare ad ascoltare la risposta.

Mi domando: quante volte ci diciamo “Dio non risponde!” perché siamo usciti prima che lui abbia il tempo di rispondere. Una questione decisiva rispetto a Dio è il tempo. Non nel senso che bisogna dargliene molto per pagare un prezzo, stare ore a pregare perché se no questo Dio, affamato di preghiere, non è nutrito. Il tempo, perché le nostre vite hanno dei tempi!

Ci sono cose che, con tutta la nostra buona volontà, oggi non capiamo, domani neppure capiremo, non ne vediamo la direzione e il senso; ci vogliono anni perché maturino, e dobbiamo stare lì ad aspettare la risposta magari per anni. Ma non ci dobbiamo dimenticare della domanda fatta.

Se manteniamo aperto lo squilibrio, ad un certo punto la nostra vita matura, produce il frutto di una novità possibile. Bisogna avere il coraggio di ripetere la propria domanda e rimanere, non andare via.

Il Vangelo di Giovanni fa dire a Gesù nella preghiera sacerdotale “Rimanete in me”, che significa proprio “non andate via, rimanete qui”. C’è un bellissimo versetto nel libro di Isaia al cap. 62: “Voi, che rammentate le promesse al Signore, non prendetevi mai riposo e neppure a lui date riposo, finché non abbia ristabilito Gerusalemme”.

Pilato fa l’esatto contrario: fa la domanda e se ne va.

Barabba e gli scherni

Poi ci sono i due quadri su Barabba e gli scherni.

38 … E detto questo uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: «Io non trovo in lui nessuna colpa. 39 Vi è tra voi l’usanza che io vi liberi uno per la Pasqua: volete dunque che io vi liberi il re dei Giudei?». 40 Allora essi gridarono di nuovo: «Non costui, ma Barabba!». Barabba era un brigante.

Giovanni è ironico, come è chiaro da tutto il suo Vangelo. Il nome Barabba in ebraico è costruito da Bar Abbà, che vuol dire ‘figlio del padre’, è il nome di Gesù. E’ chiaro che Giovanni giocherella anche con i nomi, fa un po’ di caos, per noi la traduzione di Barabba è un nome proprio, scritto con la lettera maiuscola, quindi non cogliamo questa ironia.

1 Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. 2 E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora; quindi gli venivano davanti e gli dicevano: 3 «Salve, re dei Giudei!». E gli davano schiaffi. 4 Pilato intanto uscì di nuovo e disse loro: «Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui nessuna colpa». 

Abbiamo già brevemente detto di questi due quadretti centrali: sono la soluzione peggiore possibile, spostamento e scherno. Se la legge e la correttezza da una parte, o l’ideologia della religione dall’altra non bastano a proteggerci dal conflitto e dalla violenza, ma soprattutto dalla paura dello spostamento e dello squilibrio, allora si ricorre alla rimozione o allo scherno, all’insulto. Ma queste vie di difesa non hanno nessun seguito, non producono nulla se non altra violenza.

Gesù il nuovo Abele

Poi comincia il secondo quadro di Pilato con i Giudei

5 … E Pilato disse loro: «Ecco l’uomo!». 6 Al vederlo i sommi sacerdoti e le guardie gridarono: «Crocifiggilo, crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Prendetelo voi e crocifiggetelo; io non trovo in lui nessuna colpa». 7 Gli risposero i Giudei: «Noi abbiamo una legge e secondo questa legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio».

Avete mai notato come siano inconcepibili queste due cose? “Ecco l’uomo. Non trovo in lui nessuna colpa”.

Ricordate quando abbiamo letto di Caino e Abele? Eva si rallegrò perché “Mi è stato dato di partorire un uomo”. E l’uomo partorito immediatamente crea una catena di colpe.

E’ molto chiaro che Giovanni sta usando queste parole per dirci che è la nuova creazione, che è la buona notizia, che qui c’è un uomo che non costruirà una catena di colpe!

Egli non si metterà nella logica di questo conflitto inevitabile e per fare questo morirà in croce. Viene flagellato, schernito, si mette dalla parte di Abele il giusto, è colui che viene sacrificato, non colui che sacrifica. Per citare Mt. 10, è colui che prende su di sé la croce, non la proietta addosso agli altri. “Non trovo in lui nessuna colpa”.

Ci sarebbe un bel po’ da ragionare sulla nostra piena umanità, sull’essere all’altezza del nostro essere uomini e donne, su che tipo di uomini siamo: figli di Caino e/o figli di questo primogenito? E’ questa una questione su cui si può dire di essere credente o che non ci interessa esserlo. Non è tanto sull’andare a messa la domenica o sul partecipare alla vita della parrocchia, – sono modi concreti che possono aiutarci, possono essere importanti, in alcuni casi pure decisivi, perché non siamo puri spiriti, abbiamo bisogno di luoghi, di cose, di tempi, dell’Eucarestia innanzitutto.

Ma dentro di noi la qualità su cui si decide il nostro ateismo o il nostro credere non è una proclamazione teorica, bensì il saper mettere da qualche parte il nostro squilibrio.

Sono questioni molto concrete, molto reali, credo che tutti noi le abbiamo presenti nella nostra vita. Forse uno dei motivi per cui il cristianesimo è stato folklorizzato è anche perché abbiamo ridotto queste questioni, con grande scrupolo, a una miriade di scelte piccolissime e ci pare che uno debba essere cristiano dieci volte ogni mezz’ora.

Non è così! Nella vita le cose grosse, che spostano il nostro orientamento, non ci accadono tutti i giorni, fortunatamente, perché non avremmo fiato per reggerle! Ma non è neppure che non ci accadono mai. Ci sono ogni tanto dei momenti in cui sappiamo bene che intorno a quella particolare questione, magari apparentemente irrilevante, girare a destra o a sinistra, vuol dire prendere una strada o quell’altra. Dentro di noi quella questione, per piccola e banale che sia, ha il suono di mettersi dalla parte di Caino o no, del fidarsi a giocare un ruolo perdente o no, dello squilibrarsi o del rimanere saldi sui propri piedi. Se lo raccontassimo a qualcuno non gli darebbe peso, perché la cosa in sé è piccolissima. In realtà sono quelle ‘piccole scelte’ che per molto tempo determinano la rotta della nostra vita.

Nella vita quotidiana poi diventa difficilissimo invertire la rotta, perché le nostre scelte ‘figliano’ molto rapidamente, ogni mancanza di coraggio nello squilibrarsi, ogni rimanere saldi sui propri piedi, immediatamente genera una serie di conseguenze. Poi uno cosa fa? Manda tutto in aria?

Funziona un po’ come per le bugie. Abbiamo imparato fin da piccoli che quando uno dice una piccola bugia, per riparare deve poi raccontarne due, e poi cinque e in breve tempo non si sa neppure più qual è stato il punto di partenza e ci si aggroviglia.

Da bambini funziona così, ma da adulti è un po’ più pesante, perché se uno sbaglia su due o tre questioni, poi si ritrova con tutta una struttura di vita quotidiana, un modo in cui ha organizzato la sua esistenza non del tutto soddisfacente. E’ la famosa questione per cui gli adulti dicono sempre, “eh, la vita…” come se la vita fosse chissà che cosa, una specie di entità metafisica.

Forse un piccolo spicchio della buona notizia è: ‘la vita non è un destino malvagio, è sempre possibile convertirsi!’.

Può essere faticoso, ci vorrà molto tempo, ma non c’è niente di irreversibile. Forse su qualche passaggio siamo rimasti troppo saldi sui nostri piedi, non ci siamo squilibrati e Dio non è riuscito a mettere in campo una novità possibile. Calma: possiamo ‘reinvertire’, convertire questa storia.

Certo ci vuole realismo e pazienza perché, se su quella vicenda successa dieci anni fa, io ho costruito tutta una vita concreta, non è in due giorni che la posso capovolgere. Quella si chiama incoscienza, non conversione! Ci vorranno altri dieci anni, ma si può!

Ecco l’uomo!… Non trovo in lui nessuna colpa”.

Uno dei motivi per cui la Chiesa ci invita a celebrare la quaresima tutti gli anni, è perché almeno una volta all’anno, per evitare di accumulare una storia dalle conseguenze troppo complicate, dovremmo fermarci un attimo, pensare ai due o tre bivi che ci sono capitati, vedere se era proprio quella la strada che volevamo fare.

Quando si dice tempo di penitenza, di conversione, si dice questo. Abbiamo un tempo specifico in cui tutta la liturgia, ci aiuta a fermarci e chiederci quali sono stati, dalla Pasqua scorsa ad ora, le due o tre questioni su cui abbiamo usato un equilibrio, siamo stati fermi, su cui abbiamo macinato sensi di colpa, costruito confusioni, usato l’arma di chi ha ragione e chi ha torto.

Quali sono quei due o tre punti? Quello che è successo dopo, è quello che volevo costruire, come storia di conseguenze? In genere per un adulto un anno è una buona misura: consente di avere un po’ di distanza, ma non è ancora stato costruito così tanto che per cambiare sia proprio necessario buttare all’aria la vita.

In genere questo tempo noi lo passiamo a chiederci quali peccati abbiamo fatto, e così passano anni prima che ci capiti un’occasione in cui qualcosa o qualcuno ci costringa a pensare alle due o tre questioni fondamentali degli ultimi anni. E spesso abbiamo costruito troppa storia per avere il coraggio e la forza di tornare indietro.

Vi ho già fatto notare prima la questione della legge pronta a tutti gli usi: “Non possiamo condannare nessuno… Secondo la nostra legge deve morire

L’importante è che noi abbiamo ragione ma senza sporcarci le mani, non lo dobbiamo condannare noi, lo deve fare qualcun altro. Anche questo discorso sulla responsabilità sarebbe un grosso capitolo.

Cosa vuol dire veramente assumersi una responsabilità? Come dimostrerà subito dopo il dialogo tra Pilato e Gesù, è una questione di potere. La responsabilità non è per esempio, ‘devi fare catechismo perché c’è bisogno di un catechista, se no non ti assumi le tue responsabilità da credente’ – questo è uno degli aspetti concreti molto applicativi!

La responsabilità è fare i conti con il potere che abbiamo, qualsiasi esso sia, dove ‘potere’ vuol dire ‘poter fare’.

Noi abbiamo perennemente l’atteggiamento di chi, dato che non siamo famosi e non abbiamo conti stratosferici in banca, ritiene che praticamente nulla dipenda da noi e non facciamo mai i conti con il ‘potere’ della nostra vita. Forse non è quello di una grande personalità politica, ma è un potere! Sicuramente il potere di aiutare lo abbiamo: abbiamo più tempo e più denaro di altri, sicuramente di tre quarti dell’umanità e quindi possiamo aiutare, questo è sicuro. C’è un potere quotidiano, il potere che abbiamo rispetto alle persone che amiamo e che ci amano, il potere che abbiamo rispetto ai piccoli che incontriamo, rispetto agli affetti….

Gesù e Pilato

Infatti ecco il dialogo che segue tra Gesù e Pilato:

8 All’udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura 9 ed entrato di nuovo nel pretorio disse a Gesù: «Di dove sei?». Ma Gesù non gli diede risposta. 10 Gli disse allora Pilato: «Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?». 11 Rispose Gesù: «Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo chi mi ha consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande».

La questione del potere è una questione seria. Pilato crede di avere potere perché può liberare Gesù o crocifiggerlo. Forse non è quello l’unico potere in gioco, ma il potere resta una questione seria della nostra vita perché il potere è la capacità di governo.

Prima ho detto: uno dei rischi dell’ateismo è pensare di essere l’unico governo di se stessi. Noi non governiamo noi stessi, ma abbiamo un potere di governo sugli altri e sulla vita, non su di noi. Facciamo sempre questa confusione: pensiamo che abbiamo poter su di noi, ma non possiamo decidere sostanzialmente niente rispetto agli altri e alla vita, perché gli altri sono liberi e fanno quello che vogliono, la vita è la vita.

E’ esattamente il contrario. Questa è un’altra scheggia di buona notizia. Su di noi, sul nostro mistero non abbiamo quasi potere, perché c’è la grazia, ma sulla vita, sulle cose, sulle relazioni con gli altri abbiamo un potere, dunque una responsabilità di governo.

Pilato e i Giudei

12 Da quel momento Pilato cercava di liberarlo; ma i Giudei gridarono: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque infatti si fa re si mette contro Cesare». 13 Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette nel tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà. 14 Era la Preparazione della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: «Ecco il vostro re!». 15 Ma quelli gridarono: «Via, via, crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Metterò in croce il vostro re?». Risposero i sommi sacerdoti: «Non abbiamo altro re all’infuori di Cesare». 16 Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso.

La conclusione è che se non cogli l’occasione di percorrere un conflitto, quello che ti rimane è solo la paura. Pilato si ritrova alla fine con in mano solo la propria paura: la paura di Gesù, la paura di Cesare, la paura dei Giudei…

La paura è il figlio perverso dei conflitti mal gestiti, e la tragedia è che la paura non esiste, la paura è ciò che ci abita per ciò che potrebbe accadere, ma che non è ancora accaduto. Quando una cosa accade io posso avere dolore, fatica, ferite, non paura. Il peggio che ci può succedere è bruciare le nostre energie, paralizzarci, soffrire per qualcosa che non c’è.

Chi si confonde su quei due o tre passaggi della vita, chi rimane piantato sui suoi piedi, pensa di governare sé, di avere potere, non si assume la responsabilità rispetto alla vita e agli altri, rimane con la paura come unico frutto di tutta questa fatica.

Forse, se facciamo fatica ad esaminare quali sono i due o tre punti su cui possiamo esserci confusi, possiamo guardarrne i frutti e chiederci, per esempio, quanta paura abbiamo: se ne abbiamo tanta c’è qualcosa che non funziona!

16 Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso.

Gesù rimane più forte, è la misura su cui si scontra e si rende visibile un conflitto radicale.

Si vede bene che cosa succede nel conflitto tra Pilato e i Giudei. I Giudei vanno a casa apparentemente soddisfatti, ma con il sangue di Gesù sulle loro mani. Pilato va a casa con la sua paura. La legge genera paura, la religione genera violenza – questo tipo di degenerazione della religione genera violenza. Questa è un po’ la conclusione di Giovanni.

L’unico uomo senza colpa resta Gesù, ma per lui il risultato è che viene crocifisso. Dunque non c’è un lieto fine, non ci si ritrova corretti, carini, non squilibrati, sereni, con un risultato giusto.

O ci si mette dalla parte di chi è crocifisso o ci si mette dalla parte di chi crocifigge

Non c’è modo di essere equidistanti e neutrali, di non essere chiamati in gioco!

Questa è la forza e la potenza di questa notizia sul regno di Dio che viene. Il regno di Dio ci chiede di metterci da una parte.

Non c’è modo di essere Pilato e farlo bene. Se sei Pilato e persegui la strada di Pilato resti con la tua paura. E’ una possibilità. Forse in alcuni tempi della nostra vita non siamo capaci di fare altro, ma non è una soluzione.

Mi pare che da questo punto di vista questo testo sia estremamente moderno ed un ottimo orizzonte per una riflessione quaresimale, per provare con pazienza a domandarci che cosa vuol dire mettersi dalla parte di Gesù.

A noi spetta risolvere i conflitti con noi stessi, ma restano i conflitti che gli altri portano, perché gli altri sono così, perché sono diversi, perché forse non hanno risolto i propri conflitti – ma quelli non dipendono da noi. Noi non ce la faremmo comunque mai a risolvere tutti i conflitti.

Il di più che ci viene detto è che Gesù accetta di abitare questo conflitto e si mette dalla parte di colui che viene crocifisso, che abita il conflitto accettando di perdere. Non usa come criterio chi ha ragione e chi ha torto, chi ha potere e chi non ce l’ha, ma testimonia che invece di buttare sugli altri il conflitto non risolto su di sé, prende su di sé il conflitto che gli altri non hanno risolto.

Già evitare di buttare sugli altri è un bello sforzo, ma addossarsi i conflitti degli altri, è un passo in più.

Il primo passo è cercare il più possibile di lavorare su se stessi, evitare di vuotare addosso agli altri quello che non riusciamo a sbrogliare.

In altre parole dobbiamo essere molto attenti, quando percepiamo un conflitto, a chiederci se c’è qualcosa di nostro che non abbiamo risolto, anche se non ce la faremo mai a farlo fino in fondo, perché noi siamo veramente un mistero a noi stessi.

Gesù è ancora più scandaloso perché quello che ci dice è: “fai del tuo meglio dentro di te, fai del tuo meglio per non buttare addosso agli altri quello che eventualmente non hai risolto, assumiti quello che gli altri non hanno risolto di sé” (“Prendi la tua croce”).

Gesù facendo questo, assumendosi il nostro conflitto non risolto – i nostri peccati, come ci hanno insegnato – muore in croce per i nostri peccati, si assume ciò che non lo riguardava, perché egli è l’unico giusto. Facendo questo ci salva, produce una vita eterna, e questo è il passaggio ulteriore.

Fossano, 8 marzo 2003

(testo non rivisto dal relatore)

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