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7 Ottobre 2023
Stella Morra

1. Ricominciare da dove eravamo arrivati

Commento a: Ap 5, 1-14


Allora, questo tema potere-poteri è uscito nel corso del seminario in modo trasversale rispetto a molti problemi, e quindi abbiamo deciso di prenderlo. Abbiamo deciso di prenderlo anche per un altro motivo che, come al solito, è molto personale: ed è che io sto scrivendo sul tema e sto riflettendo molto. Mi sono detta che sarebbe stato più semplice per me affrontare questo tema, perché ho materiale, riflessioni, idee. Poi ci siamo accorti, dopo aver deciso, che questo tema lo avevamo già trattato e ne era uscito un libro, Questioni di potere, nel 2003-2004, cioè vent’anni fa. Forse si può, da una parte, ricapitalizzare quelle cose e magari anche riprenderle; però anche andare avanti, approfondire il nostro confronto con la Parola rispetto a quei temi.

Se avete visto il programma che vi è stato inviato, questa volta ho messo una poesia di Szymborska in apertura. Vorrei leggerla con voi, perché ci si potrebbe chiedere cosa c’entra. Personalmente trovo sempre più importante entrare nei temi non solo concettualmente, ma anche attraverso simboli, associazioni un po’ più libere, nel modo in cui ciascuno di noi viene chiamato in gioco da linguaggi diversi, per creare un’atmosfera in cui poi la riflessione più concettuale, più verbalizzata, ci accompagni. Questa poesia dice così:

 

Poteva accadere.
Doveva accadere
È accaduto prima. Dopo.
Più vicino. Più lontano.
È accaduto non a te.

Ti sei salvato perché eri il primo.
Ti sei salvato perché eri l’ultimo.
Perché da solo. Perché la gente.
Perché a sinistra. Perché a destra.
Perché la pioggia. Perché un’ombra.
Perché splendeva il sole.

Per fortuna là c’era un bosco.
Per fortuna non c’erano alberi.
Per fortuna una rotaia, un gancio, una trave, un freno,
un telaio, una curva, un millimetro, un secondo.
Per fortuna sull’acqua galleggiava un rasoio.

In seguito a, poiché, eppure, malgrado.
Che sarebbe accaduto se una mano, una gamba,
a un passo, a un pelo
da una coincidenza.

Dunque ci sei? Dritto dall’attimo ancora socchiuso?
La rete aveva solo un buco, e tu proprio da lì?
Non c’è fine al mio stupore, al mio tacerlo.
Ascolta
come mi batte forte il tuo cuore.

 

Contrariamente ad altre volte, vorrei spiegare perché ho scelto questa poesia. Sembra una poesia contraria al tema del potere. Sembra un inno al caso, alla casualità, al fatto che le cose accadano indipendentemente da noi, non c’è responsabilità, le cose accadono comunque. Almeno per me, come spesso accade con i testi di Szymborska, lei ha una grande capacità di mettere insieme cose diverse. Scrive una poesia sul caso, che in realtà nelle ultime tre righe gira tutto il senso della poesia, ti rendi conto che significa un’altra cosa.

“Non c’è fine al mio stupore, al mio tacerlo. Ascolta. Come mi batte forte il tuo cuore”. In queste tre righe, si dice che apparentemente tutto è un caso: in realtà non è un caso, è che siamo vulnerabili. Nella relazione “mi batte forte il tuo cuore”, nella relazione con l’altro talmente profonda che è il tuo cuore che batte in me, cioè in una relazione di una qualità infinita e, nello stupore taciuto, scopriamo che questa vulnerabilità è il grande potere, la grande possibilità.

È buffo perché in italiano usiamo “possibilità” in questo duplice senso: possibilità come potere, la capacità di, essere in grado di, avere la possibilità di, ma anche in senso statistico, “c’è una possibilità su un milione”, cioè la parola “possibilità”, che sta al centro del nostro titolo, “potere”, “poteri”, “forza”, “gentilezza”. La possibilità ha questa ambivalenza: il potere è strettamente collegato alla vulnerabilità, non alla forza, e mi sembra che questo tema ci accompagnerà. Quindi lo annuncio solo attraverso questa poesia. Il caso è, per gli umani, l’esperienza più forte di vulnerabilità perché hai proprio la sensazione che non dipende da te, non ci puoi fare niente, né pro né contro; “Per fortuna, perché a destra? Perché a sinistra? Perché il primo? Perché l’ultimo?” Ma non lo sapevi prima, no? Se conveniva essere il primo o l’ultimo? La vulnerabilità è tutto ciò su cui noi, apparentemente, non abbiamo potere alcuno. Eppure, in questa vulnerabilità, c’è la forza infinita di un potere sano.

Dico questo perché questo, in qualche modo, è il tema centrale di tutto il nostro percorso. Quindi, lo annuncio fin dall’inizio. Il grande potere, colui a cui è stato dato ogni potere, è colui che muore in croce. L’abbiamo detto milioni di volte, ma forse non ci abbiamo mai pensato. La grande vulnerabilità del Dio, che si rende vulnerabile, facendosi uomo, e che si rende vulnerabile due volte, morendo invece di uccidere i colpevoli. È il potere, colui a cui è stato dato ogni potere, sulla terra, sottoterra, in cielo. E questo è, come dire, il senso profondo di un potere generativo, di un potere non tossico.

Allora, sul sito c’è anche la poesia potete rileggerla, lasciarla girare un po’, pensarci su, e così via. Questa sarebbe l’atmosfera in cui vorrei fare questa riflessione.

 

La lectio di oggi

Dunque, in questo primo passo, vorrei ricominciare da dove eravamo arrivati vent’anni fa, cioè dall’ultimo brano che abbiamo letto vent’anni fa, che era il capitolo 5 di Apocalisse. Vent’anni fa abbiamo fatto un percorso, come dire, una specie di ABC delle questioni del potere, una descrizione, prima esaminandone le dimensioni più umane, attraverso i tre episodi della vita di Mosé: il suo nascere da privilegiato, da salvato, figlio del caso messo sull’acqua e tratto dalla figlia del faraone. Poteva la corrente portarlo in un altro luogo? Poteva la cesta non galleggiare? Potevano succedere mille cose. C’è un’ambiguità nell’origine di ogni potere. Poi, la complessità e la decisione quando Mosé sente la propria impotenza ma senza la propria vulnerabilità, e quindi decide di uccidere l’egiziano. L’altro episodio famoso in cui fa giustizia, ha ragione! Perché dimentica la vulnerabilità e sente solo il proprio potere e gli israeliti si ribellano contro di lui. Infine, il terzo passo quando Dio gli dice: “Porta fuori da qui il tuo popolo” e lui risponde: “Sì, vabbè, ma io chi sono? Come faccio? Che faccio? Vado dal faraone e gli dico “ehi coso lascia andare via gli schiavi?””. E allora il Signore gli affida il segno del bastone che si tramuta in serpente. Il potere come logica di segni; nel rapporto tra vulnerabilità (chi sono io per fare questo?) e capacità di farlo, di cambiare la storia. La logica che sta in mezzo è una logica, noi diremmo, sacramentale, cioè del segno, che sta dalla parte dei segni con tutto ciò che questo significa.

In seguito, dopo questa descrizione più fenomenologica, avevamo percorso tre testi Neotestamentari: quello di Gesù che maledice il fico che non dà frutti fuori stagione e quando ripassano il fico è seccato. Gli apostoli dicono: “Ammazza, è proprio seccato, l’hai maledetto”. E lui dice: “Se aveste fede quanto un granello di senape, direste a questo fico: ‘spostati,’ e lui si sposterebbe”. Quindi la relazione tra la vulnerabilità e la fede, se volete. Poi, l’episodio della guarigione del paralitico, in cui Gesù dice, “Ti sono perdonati i tuoi peccati,” e tutti rimangono lì come degli scemi perché l’avevano portato per farlo guarire. “Bravi tutti a dire che sono perdonati dei peccati.” I farisei dicono: “Ma chi credi di essere per avere il potere di perdonare i peccati? Se manco lo guarisci”.  E allora Gesù dice: “Giusto perché sappiate che ho il potere di perdonare i peccati, ti dico ‘Alzati’”. E lo guarisce. Poi, quello della Lettera agli Ebrei, in cui si spiega la connessione tra questo e Gesù che muore, che è morto per riconnettere, se volete, la vulnerabilità al potere. In ultimo, appunto, la verità del potere in questo testo di Apocalisse. Questa era solo per fare una specie di riassunto della puntata precedente di vent’anni fa, che però anche qui si trova tutta sul sito.

Ho scelto di ricominciare da qui, cioè di ricominciare da dove eravamo arrivati. Per un verso, perché quelle cose che ci siamo dette rimangono vere, sono un po’ l’ABC, gli elementi, i mattoncini Lego base, della piattaforma, i mattoncini, quelli rettangolari, che servono per fare le prime mura. E forse oggi possiamo, dopo tanti anni di frequentazione della Parola, cercare di entrare un po’ di più in questa ambiguità, in questa relazione.

E quindi, rileggerei esattamente quel testo di Apocalisse, capitolo 5, dal versetto 1 al 14.

 

Il testo: Ap 5, 1-14

5 1E vidi, nella mano destra di Colui che sedeva sul trono, un libro scritto sul lato interno e su quello esterno, sigillato con sette sigilli. 2Vidi un angelo forte che proclamava a gran voce: “Chi è degno di aprire il libro e scioglierne i sigilli?”. 3Ma nessuno né in cielo, né in terra, né sotto terra, era in grado di aprire il libro e di guardarlo. 4Io piangevo molto, perché non fu trovato nessuno degno di aprire il libro e di guardarlo.

5Uno degli anziani mi disse: “Non piangere; ha vinto il leone della tribù di Giuda, il Germoglio di Davide, e aprirà il libro e i suoi sette sigilli”.

6Poi vidi, in mezzo al trono, circondato dai quattro esseri viventi e dagli anziani, un Agnello, in piedi, come immolato; aveva sette corna e sette occhi, i quali sono i sette spiriti di Dio mandati su tutta la terra. 7Giunse e prese il libro dalla destra di Colui che sedeva sul trono. 8E quando l’ebbe preso, i quattro esseri viventi e i ventiquattro anziani si prostrarono davanti all’Agnello, avendo ciascuno una cetra e coppe d’oro colme di profumi, che sono le preghiere dei santi, 9e cantavano un canto nuovo:

“Tu sei degno di prendere il libro
e di aprirne i sigilli,
perché sei stato immolato
e hai riscattato per Dio, con il tuo sangue,
uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione,
10e hai fatto di loro, per il nostro Dio,
un regno e sacerdoti,
e regneranno sopra la terra”.

11E vidi, e udii voci di molti angeli attorno al trono e agli esseri viventi e agli anziani. Il loro numero era miriadi di miriadi e migliaia di migliaia 12e dicevano a gran voce:,

“L’Agnello, che è stato immolato,
è degno di ricevere potenza e ricchezza,
sapienza e forza,
onore, gloria e benedizione”.
13Tutte le creature nel cielo e sulla terra, sotto terra e nel mare, e tutti gli esseri che vi si trovavano, udii che dicevano:
“A Colui che siede sul trono e all’Agnello
lode, onore, gloria e potenza,
nei secoli dei secoli”.
14poiché E i quattro esseri viventi dicevano: “Amen”. E gli anziani si prostrarono in adorazione.

 

Commento:

Come al solito, le scene dell’Apocalisse hanno questo dono di essere mirabolanti, un po’ televisive, ma anche di sconcertarci, perché poi, magari, uno mentre l’ascolta dice: “Le coppe che saranno? Aveva sette corna, sette spiriti, che vorrà dire?”. Allora, ricordo i due criteri che usiamo sempre leggendo l’Apocalisse. Il primo è: l’Apocalisse funziona come un film, non come un libro. Non è che ogni cosa vuol dire una cosa; tutto fa scena, ma non è che una cosa vuol dire un’altra cosa. Non è un dizionario, ma tutto fa scena. Come in un film quando sentite la musica molto tesa, la porta che scricchiola, l’immagine è tutta buia, uno dice: ”Arriva l’assassino, adesso succede qualcosa.” Riconosciamo, non è che uno dice: “cosa vuol dire la porta che scricchiola?” La porta che scricchiola non vuol dire niente; può anche essere resa in un altro modo in un altro film, ma fa sì che tu faccia l’esperienza della paura, dell’attesa. Allora, l’Apocalisse funziona così. Non è che ogni cosa vuol dire qualcosa, ma di per sé, non avendo il linguaggio video, Giovanni cerca di far fare l’esperienza di questo evento radicale, di questo cambiamento necessario e indispensabile, che è avvenuto con Gesù e che continua ad avvenire nella storia.

Quindi, la prima avvertenza è: l’Apocalisse funziona come un film, solo che non ha l’immagine, ha le parole, quindi scrivevano le immagini. Ed è chiaro che usano tutta la simbolica del tempo: le coppe, i profumi, i troni, i vegliardi, in una società povera, dove si moriva giovani, i vegliardi sono una roba strana e così via.

Il secondo avvertimento: l’Apocalisse non riguarda la fine del mondo e la fine della storia, riguarda esattamente la storia. Quello che ci dice l’Apocalisse è: “Ok, tutto è successo, la battaglia è avvenuta, ha vinto l’Agnello e dunque adesso cosa succede?” L’Apocalisse ci racconta cosa succede, non cosa succederà, cosa succede e come districarsi in quello che succede, da che parte mettersi, quali criteri usare.

Questi sono i due criteri di fondo da tenere sempre presenti. Dunque, non chiedetemi cosa vogliono dire le sette corna e i sette occhi, perché posso volentieri darvi 50 spiegazioni. Se poi lo mettete su Google, adesso, con questi strumenti, trovate 700 spiegazioni, perché ogni mattarello di questo mondo ti dice: “No, ma vuol dire questa cosa qui, va benissimo”. Ma non è la domanda giusta: il problema non è cosa vogliono dire, sicuramente la cosa minima che vogliono dire è che quando la scrittura dice “7”, vuol dire “tutto”: siccome la creazione è avvenuta in sette giorni è simbolo di completezza e chiarezza. Quindi sette corna e sette occhi: questi qui avevano tutto; non gli mancava niente, avevano la pienezza di ogni dono. Allora, la visione che c’è in questo pezzo di racconto è particolarmente pompata ma molto bella.

1E vidi, Nella mano destra di Colui che sedeva sul trono

C’è uno seduto sul trono, di cui non si dice che è Dio; in tutta l’Apocalisse non lo si dice mai, ma c’è uno che sta seduto sul trono. Per un antico, questa immagine era chiara: quello lì comanda, sopra di lui non c’è nessuno. Cioè, la nostra immagine di potenza assoluta, talmente assoluta che non riusciamo nemmeno più a immaginarla, perché nella nostra testa non esiste più un potere assoluto. Non possiamo immaginare uomini o donne tanto potenti. Perché tanto ricchi? Potentissimi. Ma un potere assoluto come l’antichità lo concepiva non riusciamo più a immaginarlo, perché non abbiamo più questa esperienza. Per gli antichi, colui che siede sul trono è uno che è consacrato da Dio, per non avere sopra nemmeno la legge. “Assoluto”, cioè, sciolto da ogni legame, soggetto solo di diritti, non di doveri. Quindi è l’immagine del potere.

La mano destra era quella che teneva lo scettro, quella che impartiva i segni di benedizione, di imposizione, eccetera. Come sapete, in tutte le civiltà, almeno Occidentali, la mano sinistra è considerata una mano minore, la mano destra è la mano potente, forte. E siccome la maggioranza delle persone è destrorsa, la usiamo di più, ci viene più facile fare una serie di cose. Nella mano destra di questo, che è il potere assoluto:

un libro scritto sul lato interno e su quello esterno, sigillato con sette sigilli.

Che cos’è la storia secondo l’Apocalisse? C’è da qualche parte qualcuno che davvero può tutto, e che nella sua potenza ha in mano un libro. Un libro insieme sovrabbondante e intimo. I libri, qui, sono rotoli, non sono libri stampati. E il rotolo si scriveva da un lato solo, ovviamente, quello dove si reggeva. Tenendo il rotolo per le due estremità, continuando a svolgerlo, lo si leggeva. Quindi è sovrabbondante, scritto sul lato interno e sul lato esterno, ma è un libro chiuso, sigillato da sette sigilli.

Allora, a noi fa venire la pelle d’oca con estrema facilità. Se la pigliamo come un’immagine da film, senza troppi ragionamenti, ma come immaginario ci dice: “Ah, allora vedi che esiste il grande complotto!” Non il grande complotto dei ricchi, dei finanzieri, degli americani, dei russi, degli inglesi, di chi non so, ma è il grande complotto. La religione vorrebbe farci credere che c’è un Dio che ha tutto il potere e che ha tutta la scrittura della storia già in mano, e sta lì, così, seduto sul trono e dice: “Ah, adesso vediamo questi come se la cavano.” Ci va a cascare su un’immagine di Dio onnipotente, e dunque giudice, e dunque onnisciente. Che lui sa tutto, ha letto il libro, sa chi è l’assassino, ma noi no. Peccato che questo racconto inizia così, secondo lo schema del potere assoluto dell’antichità, ma non continua così. Non è questa l’immagine che vuole evocare.

2Vidi un angelo forte che proclamava a gran voce: “Chi è degno di aprire il libro e scioglierne i sigilli?”.

Questo è il primo passaggio decisivo. Un angelo nella cultura antica, nel film che è l’Apocalisse, è un mediatore, uno che fa avanti e indietro tra l’assoluto e lo storico, quello che crea relazione, quello che è a servizio della relazione. Un angelo forte, quindi, non uno qualsiasi, uno tosto. Butta là una domanda: “Chi è degno di aprire questo libro?” Questo libro non è chiuso per sempre. Il libro che la storia è, un libro sovrabbondante e intimo, ma non è chiuso per sempre. È un libro destinato, a essere aperto, srotolato, letto. È un’opera aperta, perché è un’opera chiusa, cioè, è un’opera che ha bisogno di un lettore. Se nessuno lo legge, non succede niente. La storia e il tempo per essere degni di aprire il libro, di diventare il lettore che fa parte di quel libro, senza il quale il libro non esiste. Questa domanda dell’angelo ci consegna una possibilità, e uso non a caso questa parola, una possibilità incredibile: potete diventare parte, co-protagonisti, oppure no, ma bisogna trovare il modo di aprire il libro. E questa è la risposta alla domanda di Apocalisse: cosa c’è da fare durante la storia? Aprire il libro.

3Ma nessuno né in cielo, né in terra, né sotto terra, era in grado di aprire il libro e di guardarlo. Io piangevo molto, perché non fu trovato nessuno degno di aprire il libro e di guardarlo.

Questa immagine è bellissima, perché è proprio la fatica di vivere. Sappiamo che da qualche parte deve esserci una vita buona e un modo buono di leggere la nostra vita. Ma piangiamo molto perché non troviamo nessuno, perché nessuno ha il potere di rendere la nostra vita buona. La fatica di vivere è tutta lì.

5Uno degli anziani mi disse: “Non piangere; ha vinto il leone della tribù di Giuda, il Germoglio di Davide, e aprirà il libro e i suoi sette sigilli”.

Qui ci risuona Giovanni 21, “Donna, perché piangi?”. L’insegnamento di non piangere è l’insegnamento del risorto: non piangere. Ma colei che piange è l’unica che per prima vedrà il risorto, che avrà quell’incontro. “Va dai miei fratelli e dì loro che li precedo in Galilea.” Perché bisogna piangere per smettere di piangere, per sentirsi dire: “Non piangere”.

Non piangere, perché c’è qualcuno che ha questo potere, che l’ha fatto, lo farà. Perché ha vinto e cosa vede allora colui che è, diciamo, il narratore in prima persona, che ha questa visione? Vede qualcuno “in mezzo al trono”. Uno dice: “Allora, in mezzo al trono, che vuol dire?” In braccio a Dio?

6Poi vidi, in mezzo al trono, circondato dai quattro esseri viventi e dagli anziani, un Agnello, in piedi, come immolato; aveva sette corna e sette occhi, i quali sono i sette spiriti di Dio mandati su tutta la terra.

Allora, tutti abbiamo nella testa l’agnellino pasquale. Qui al nord non si fa tanto, ma dove si fa, l’agnellino è di marzapane, tutto bello seduto ordinato, con lo stendardo del vincitore, nell’immaginario, nei quadri, nelle pitture. Ma qui si dice “un agnello in piedi e come immolato”. Non è l’agnellino carino, è un agnello sgozzato che sta in mezzo al trono. Il massimo della potenza coincide, ha nel mezzo, il massimo della vulnerabilità. Questo massimo della vulnerabilità, un agnello sgozzato, è, evidentemente, e lo vedremo subito dopo ancora più chiaramente il segno della Pasqua, caso mai non avessimo capito. Ma non solo della Pasqua di Gesù, è l’agnello pasquale della tradizione ebraica, che aveva sette corna, sette occhi, i quali sono i sette spiriti di Dio mandati su tutta la terra, la pienezza di tutto ciò che è stato mandato su tutta la terra, in tutto ciò che ci è stato donato della sovrabbondanza del Libro.

7Giunse e prese il libro dalla destra di Colui che sedeva sul trono8E quando l’ebbe preso, i quattro esseri viventi e i ventiquattro anziani si prostrarono davanti all’Agnello, avendo ciascuno una cetra e coppe d’oro colme di profumi, che sono le preghiere dei santi, 9e cantavano un canto nuovo:

L’espressione è la stessa del canto nuovo di Esodo 15, passato il Mar Rosso. Gli Ebrei intonavano un canto nuovo. C’è un canto nuovo perché questo gesto di prendere il libro da parte dell’agnello immolato è il gesto che produce la libertà, che produce la nostra potenza nella storia, la nostra possibilità. L’abbiamo detto un milione di volte: il Messia vincerà morendo, non uccidendo. Non vincerà perché uccide tutti i suoi nemici, ma vincerà perché lui morirà. Ed è questo potere vulnerabile che segna la comprensione della storia, la possibilità di leggere il libro.

Che cosa sono le preghiere dei santi? Le coppe piene di profumo sono le preghiere dei santi. Se non ci sforziamo di dare una spiegazione troppo razionalista, ma ci immaginiamo l’immagine, capiamo perché ha senso pregare. Mi piacerebbe che ogni volta che Dio compie un gesto che crea più libertà sulla terra, questo gesto di Dio sia profumato, reso più bello, semplicemente più bello. Funzionerebbe lo stesso, ma si è reso più bello, profumato dalle preghiere che abbiamo detto, perché quella libertà ci fosse, per noi, per altri, per i poveri. Per questo noi preghiamo. Non per una logica mercantilistica di quante preghiere in cambio di quali risultati, ma per rendere più bello il gesto di vulnerabilità di Dio, renderlo profumato, produce libertà nella storia. Quando davvero preghiamo per qualcuno a cui vogliamo bene, con intensità, comunque in qualsiasi forma lo facciamo, noi lo sappiamo che è così. Non si tratta di mercanteggiare, è un’altra cosa. Riempiamo coppe di profumo, che magari rendono profumati atti di libertà di cui non sapremo mai, e che non sono quelli che chiedevamo.

“Tu sei degno di prendere il libro
e di aprirne i sigilli,
perché sei stato immolato
e hai riscattato per Dio, con il tuo sangue,
uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione,

È il linguaggio dell’Esodo. Ricordate il comando è di sacrificare l’agnello e mangiarlo nella comunità, nella notte della piaga dei primogeniti, per passare il sangue dell’agnello sulle porte, perché l’angelo passi avanti e non uccida i primogeniti. Per quello gli ebrei, ancora oggi, quando circoncidono un primogenito, lo riscattano, fanno un dono, come è raccontato nei Vangeli rispetto a Gesù. Lo fanno ancora oggi, fanno un dono, non più al tempio, che oggi non c’è, ma alla sinagoga, perché il primogenito è proprietà di Dio e quindi va ri-scattato, ri-comprato. E allora qui si dice: “Tu, agnello, sei stato immolato e hai riscattato con il tuo sangue.” Ma non solo i primogeniti degli Ebrei: “uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione”. Non ci sono più primogeniti degli egiziani che devono morire. Il sangue dell’agnello riscatta tutti. Riscatta da quel potere assoluto che non c’è, che non vuole esserci.

10e hai fatto di loro, per il nostro Dio,
un regno e sacerdoti,
e regneranno sopra la terra”.

Se c’è una cosa che Israele, il popolo di Israele, aveva chiara, era la distinzione tra re e sacerdote. Questo era l’asse della organizzazione del popolo di Israele, dopo il regno. Gli Israeliti antichi erano stati molto diffidenti rispetto all’istituzione del regno, perché avevano molta paura che il re si sentisse troppo uguale a Dio. Vedevano le popolazioni loro vicine con tutti i rischi. Quindi erano stati diffidenti all’inizio. Come tutti sappiamo, si erano dati una struttura di giudici, cioè una struttura plurale, perché non fosse uno solo. Poi vanno alla struttura regale con Davide, con Saul. Ma mantengono un doppio canale. Ci sono i re e i sacerdoti. Per me è molto chiaro che sono due poteri diversi. Qui si dice: “Hai fatto di loro, per il nostro Dio, un regno e i sacerdoti regneranno sopra la terra”.  Voi sapete che la tradizione cristiana insegna che nel battesimo ciascuno di noi diventa re, sacerdote e profeta. Diventiamo tre, nemmeno due, assumiamo il triplice ruolo che si chiama in latino ‘munus’, cioè potere. Il triplice potere di re, di sacerdoti, di profeti. Su questo ragioneremo nelle prossime volte.

 

11E vidi, e udii voci di molti angeli attorno al trono e agli esseri viventi e agli anziani. Il loro numero era miriadi di miriadi e migliaia di migliaia e dicevano a gran voce:

“L’Agnello, che è stato immolato,
è degno di ricevere potenza e ricchezza,
sapienza e forza,
onore, gloria e benedizione”.
13Tutte le creature nel cielo e sulla terra, sotto terra e nel mare, e tutti gli esseri che vi si trovavano, udii che dicevano:
“A Colui che siede sul trono e all’Agnello
lode, onore, gloria e potenza,
nei secoli dei secoli”.
14poiché E i quattro esseri viventi dicevano: “Amen”. E gli anziani si prostrarono in adorazione.

Questa grande visione, che è dove eravamo un po’ arrivati vent’anni fa, era un po’ il punto conclusivo di vent’anni fa. Ci dice che c’è un potere assoluto, ma non così assoluto, che solo se mette insieme la vulnerabilità e la possibilità diventa un potere che libera: che rende possibile agli altri, che dà la possibilità agli altri, perché riscatta, rende la pienezza del proprio potere a tutti, ma attraverso l’assunzione di una vulnerabilità.

Bene, questo sarebbe un po’ il punto di partenza, non so se ci sono questioni, domande e riflessioni a caldo, o basta così? Perché la Metro-Goldwyn-Mayer dell’Apocalisse è già bastata. Non so se avete sentito la prima osservazione di Nadia, che diceva che era venuta l’associazione con le coppe di profumo, che sono le preghiere dei santi, con uno degli ultimi brani dell’anno scorso, della donna che unge Gesù e viene rimproverata di sprecare. Si rimane in una logica mercantile. Invece, c’è questo profumo gratuito, senza scopo, in qualche modo, che rende bello. E l’altra, invece, associazione era con una parola del contemporaneo, cioè questa, che non esiste in italiano: la parola “empowerment”, cioè con una parola sola dire “il dare potere”. Tutte e due le associazioni sono, secondo me, stimolanti. Vanno in questa direzione. Forse incominciamo ad avere abbastanza materiale per fare questo esercizio di lasciare un po’ che alcune immagini ci lavorino dentro, sia a caldo immediatamente, ma sia nel tempo, e producano, in qualche modo, i loro frutti che spesso sono frutti molto personali, cioè che non necessariamente valgono per tutti, ma in qualche modo mi diventano chiari a me che li lascio lavorare dentro di me.

Con la scrittura funziona così. Silvana condivideva un po’ l’emozione di dire: “Sempre rimaniamo un po’ così, dobbiamo pensarci, ripensarci, ma insieme ci sono cose che ormai incominciano a risuonarci come note. Non esserci più così estranee, a essere riconosciute, riconoscibili, allora qualcosa abbiamo imparato in tutti sti anni.” E io trovo che questo è veramente la vera questione rispetto alla Scrittura. Il grande criterio, poi ci sono mille cose che ci aiutano o cose che non ci aiutano, ma la cosa fondamentale rispetto alla scrittura è la famigliarità. Cioè, è la pazienza testarda di continuare a girarci intorno, di estorcere dalla Parola di Dio, dal “libro con sette sigilli”, estorcergli quello che ha da dirci. Bisogna essere testoni, però poi alla fine funziona. Non so come dire, anche perché, secondo l’antica regola dei padri, la Scrittura si spiega con la Scrittura. Quindi, ad esempio, l’associazione che faceva Nadia con la donna, certo, se uno ha in testa l’episodio o quello, mille altri, gli scatta, non deve cercarlo, non so come dire. Alcune cose cominciano a scattarti e fanno il loro mestiere, costruiscono la nostra memoria e anche in qualche modo la nostra identità.

Fossano, 7 ottobre 2023

Testo non rivisto dall’autore

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