Skip to main content
4 Novembre 2023
Stella Morra

2. Primo sigillo: unica forma?

Commento a: 2 Sam 11, 1-15.26-27


Nella precedente occasione, abbiamo ripreso il discorso da dove ci eravamo interrotti vent’anni fa. In particolare, ci eravamo soffermati su un testo dell’Apocalisse che in qualche modo tracciava un quadro delle dinamiche umane legate al potere. Questo testo si concludeva con la provocazione tratta dalla parola di Dio, considerando il potere come la possibilità di rendere liberi partendo dalla vulnerabilità del soggetto di potere. Non dalla sua forza, bensì dalla sua debolezza, un principio strettamente legato alla storia di Gesù: il suo essere Dio non si manifesta nella forma dell’onnipotenza, ma nella debolezza, attraverso ciò che tecnicamente viene definito come la kenosi di Dio, che rende possibile a Gesù di essere colui che rende gli altri liberi.

 

La lectio di oggi

Da un certo punto di vista, ho scelto di seguire un percorso specifico in questo secondo momento, affrontando questo tema. Mi sono lasciata guidare da un’immagine simbolica che abbiamo discusso la volta scorsa. Si parlava nel testo di “colui che aveva il potere di aprire il libro e romperne i sigilli”. Quest’immagine mi ha colpito. Il libro, nella concretezza del tempo di Apocalisse, è un rotolo, non un libro a pagine come quelli che conosciamo, ma un rotolo. E questa visione dell’Apocalisse descrive un rotolo con sette sigilli. Nella Bibbia, il numero sette rappresenta l’intera creazione, l’immagine della totalità e della completezza. I sigilli di ceralacca venivano usati per chiudere i rotoli, anche se erano relativamente facili da rompere, se si voleva; ma qui si chiede: “Chi ha l’autorità di aprire il libro e romperne i sigilli?”

Così, ho scelto di farmi guidare da questa immagine simbolica. È come se chiedessimo alla parola di Dio di avere l’autorità per rompere i sigilli. In un periodo come quello che stiamo attraversando, non so quale impressione avete voi, ma io avverto un senso di difficoltà nel leggere il libro della storia [conflitto Hamas-Israele del 2023 N.d.R.]. Non è solo questione di essere d’accordo con uno o con l’altro, ma anche di non riuscire a comprendere appieno ciò che sta accadendo. Su questioni fondamentali ho delle distinzioni chiare, ma sembrano quasi inutili. “È meglio la pace della violenza”: concordo pienamente con questa affermazione. Dunque? Il problema, nella realtà storica attuale, non è solo affermare un principio, ma trovare un modo realistico per realizzarlo. Ognuno ha le proprie ragioni o colpe, a seconda del punto di vista, ed è estremamente complicato determinare chi stia dalla parte della pace e chi della violenza. Tuttavia, qui abbiamo una dimostrazione ancor più lampante, evidente e innegabile. È evidente che i detti popolari esistono per un motivo: generalmente sono veri, come ad esempio ‘la violenza chiama violenza’. Qui è evidente che nessuno di noi può pensare che in questa situazione i bambini che cresceranno saranno sereni, disponibili e pronti a una giustizia riparativa. Saranno arrabbiati e feriti in modo molto profondo se cresceranno in queste circostanze. Ieri ascoltavo un frammento in cui qualcuno diceva: “Voi dite che dovremmo risparmiare i bambini di Gaza. Ma quei bambini, quando saranno adulti, uccideranno i miei nipoti.” E tu dici, “Eh, quindi, cosa facciamo, li eliminiamo subito così i tuoi nipoti non saranno eliminati?” Come possiamo uscire da situazioni del genere? Mi sembra che il libro della storia, che include eventi rilevanti che coinvolgono tutti noi, sia più sigillato che mai, sempre più difficile da leggere, soprattutto se ci sforziamo di evitare un atteggiamento ideologico.

In questa logica, mi piace l’idea di chiedere alla scrittura di aiutarci a rompere i sigilli per vedere da un altro punto di vista, adottare una prospettiva differente, e riuscire a leggere il libro, almeno in parte, per capire meglio. Ognuno di noi può fare qualcosa, poco o tanto, ma per agire è necessario avere un’idea chiara. Devi possedere almeno qualche categoria di comprensione per sapere da che parte stare, perché il rischio è notevole. Il rischio dell’ignavia dei buoni, di essere strumentalizzati, nonostante non siamo affatto d’accordo con le motivazioni, ma finiamo per far parte di processi generati da altri. In conclusione, ciò che ho pensato preparando questo intervento è quale sia il primo sigillo. E attraverso alcune riflessioni che spero di esprimere oggi, ho individuato il primo sigillo, la prima incapacità di vedere da un altro punto di vista, nel fatto di immaginare che il potere esista in un’unica forma

Poi cercherò di spiegare meglio cosa intendo, ma più rifletto e studio su questi temi, più mi sembra evidente che ogni cultura e ogni epoca elaborano una forma prioritaria di potere, una sorta di modello predominante al quale ci adattiamo dicendo: “Eh, va bene così, in politica funziona così, nella professione funziona così, in certi tipi di ingiustizia è la logica del mercato”. Sembra che esista solo un’unica possibilità. Arriviamo al punto in cui non vediamo altre forme possibili, tutte le altre sembrano strane, utopiche, non riconosciute, non riconoscibili. Questo mi ha spinto a riflettere su quale sia la forma di potere predominante nella nostra civiltà, in questa Europa che si racconta di essere in pace da decenni. Abbiamo sviluppato una forma di potere piuttosto precisa che, anche quando non ci piace, riconosciamo.

Il potere si nutre di riconoscimento, non esiste se non gliene riconosci l’esistenza e la potenza, poiché il potere è innanzitutto un bene simbolico e quindi deve essere riconosciuto per esistere. Se riflettiamo su alcune figure che riconosciamo come estremamente potenti e ci chiediamo perché lo siano, ci sarebbe molto da analizzare sulla quantità di potere che è loro riconosciuta e le ragioni di tale riconoscimento. Il cardinale Pellegrino sosteneva che quando si recava a Roma, faceva delle dichiarazioni molto forti senza preoccuparsi delle conseguenze, poiché a Roma si ragiona così: se parli in modo così deciso, esagerato, subito pensano: “Chi lo protegge per permettergli di parlare così apertamente? Altrimenti non lo farebbe.” E così si metteva al sicuro. Trovo che questo aspetto sia molto interessante. Questa situazione ci mostra quanto il potere sia, in realtà, fortemente simbolico, basato sul riconoscimento.

Mi chiedo cosa succederebbe se molte persone decidessero di non riconoscere alcune forme di potere, anche se è un compito estremamente difficile poiché richiede un lavoro interiore complesso. Fondamentalmente, tutte le esperienze di resistenza sono forme di non riconoscimento del potere. Pertanto, il primo sigillo, secondo me, è rappresentato dall’idea di un’unica forma di potere.

Mi è venuto in mente, come primo passo di riflessione, il testo su cui vorrei soffermarmi oggi, il capitolo 11 del secondo libro di Samuele. Ometterò alcune parti poiché è piuttosto lungo, ma è un racconto ben strutturato, a differenza di altri testi come ad esempio le lettere di Paolo, che spesso risultano più complesse da comprendere. È un racconto dell’Antico Testamento che coinvolge Davide, Betsabea e Uria, una storia che molti di noi conoscono. Davide è considerato la figura emblematica del re, il simbolo per eccellenza del regnante, colui che si allea con Dio. In lui sono presenti molte doti, ma anche tutte le possibili disgrazie, le debolezze umane e le vulnerabilità. A differenza di Salomone, considerato un re saggio e visto come simbolo del re saggio, Davide è decisamente più complesso.

 

 

Il testo: 2 Sam 11, 1-15.26-27

11 1L’anno dopo, al tempo in cui i re sogliono andare in guerra, Davide mandò Ioab con i suoi servitori e con tutto Israele a devastare il paese degli Ammoniti; posero l’assedio a Rabbà mentre Davide rimaneva a Gerusalemme. 2Un tardo pomeriggio Davide, alzatosi dal letto, si mise a passeggiare sulla terrazza della reggia. Dall’alto di quella terrazza egli vide una donna che faceva il bagno: la donna era molto bella di aspetto. 3Davide mandò a informarsi chi fosse la donna. Gli fu detto: «È Betsabea figlia di Eliàm, moglie di Uria l’Hittita». 4Allora Davide mandò messaggeri a prenderla. Essa andò da lui ed egli giacque con lei, che si era appena purificata dalla immondezza. Poi essa tornò a casa.

5La donna concepì e fece sapere a Davide: «Sono incinta». 6Allora Davide mandò a dire a Ioab: «Mandami Uria l’Hittita». Ioab mandò Uria da Davide. 7Arrivato Uria, Davide gli chiese come stessero Ioab e la truppa e come andasse la guerra. 8Poi Davide disse a Uria: «Scendi a casa tua e làvati i piedi». Uria uscì dalla reggia e gli fu mandata dietro una portata della tavola del re. 9Ma Uria dormì alla porta della reggia con tutti i servi del suo signore e non scese a casa sua. 10La cosa fu riferita a Davide e gli fu detto: «Uria non è sceso a casa sua». Allora Davide disse a Uria: «Non vieni forse da un viaggio? Perché dunque non sei sceso a casa tua?». 11Uria rispose a Davide: «L’arca, Israele e Giuda abitano sotto le tende, Ioab mio signore e la sua gente sono accampati in aperta campagna e io dovrei entrare in casa mia per mangiare e bere e per dormire con mia moglie? Per la tua vita e per la vita della tua anima, io non farò tal cosa!». 12Davide disse ad Uria: «Rimani qui anche oggi e domani ti lascerò partire». Così Uria rimase a Gerusalemme quel giorno e il seguente. 13Davide lo invitò a mangiare e a bere con sé e lo fece ubriacare; la sera Uria uscì per andarsene a dormire sul suo giaciglio con i servi del suo signore e non scese a casa sua.

14La mattina dopo, Davide scrisse una lettera a Ioab e gliela mandò per mano di Uria. 15Nella lettera aveva scritto così: «Ponete Uria in prima fila, dove più ferve la mischia; poi ritiratevi da lui perché resti colpito e muoia».

26La moglie di Uria, saputo che Uria suo marito era morto, fece il lamento per il suo signore. 27Passati i giorni del lutto, Davide la mandò a prendere e l’accolse nella sua casa. Essa diventò sua moglie e gli partorì un figlio. Ma ciò che Davide aveva fatto era male agli occhi del Signore.

 

Commento:

1L’anno dopo, al tempo in cui i re sogliono andare in guerra, Davide mandò Ioab con i suoi servitori e con tutto Israele a devastare il paese degli Ammoniti; posero l’assedio a Rabbà mentre Davide rimaneva a Gerusalemme.

Questo inizio è interessante, poiché menziona il periodo in cui i re di solito partono per la guerra. Questo mostra un’abitudine radicata, una sorta di ritualità, che implica che la guerra è un evento annuale, il che non è affatto trascurabile. Questo ci fa riflettere sulla potenza della violenza, che sembra stabilita come un destino, in linea con il ciclo delle stagioni. Le piogge rendevano difficile la guerra, poiché i soldati a piedi rimanevano bloccati nel fango. Questo fa parte delle tipiche dinamiche di una società antica. La natura aveva un ciclo autonomo, tanto da essere divinizzata dai contemporanei di Davide. Collegata a questo ciclo naturale è la ciclicità della guerra. Davide agisce esattamente come tutti gli altri re, seguendo la stessa matrice: invia i suoi uomini, soprattutto Ioab, il suo generale fidato, e tutto Israele per devastare il territorio degli Ammoniti. Forse c’erano buoni motivi o interessi a farlo, oppure poteva esserci una divergenza religiosa, dato che gli Ammoniti non credevano in Jahvè. Poi pongono l’assedio a una città, mentre Davide rimane a Gerusalemme, come fanno solitamente i re. Questo scenario ricorda la situazione attuale a Gaza, dove coloro al potere non si mescolano nella realtà della guerra, ma rimangono al sicuro in un altro luogo, in una situazione differente.

Il potere di Davide assume forma all’interno di questo scenario. Senza queste circostanze, ci sarebbero state altre possibilità. Con questo scenario, sembra che la storia sia già scritta, come se Davide fosse intrappolato in un ciclo che non gli permette alternative, in cui esiste solo una forma possibile di azione.

 

2Un tardo pomeriggio Davide, alzatosi dal letto, si mise a passeggiare sulla terrazza della reggia. Dall’alto di quella terrazza egli vide una donna che faceva il bagno: la donna era molto bella di aspetto. 3Davide mandò a informarsi chi fosse la donna. Gli fu detto: «È Betsabea figlia di Eliàm, moglie di Uria l’Hittita». 4Allora Davide mandò messaggeri a prenderla. Essa andò da lui ed egli giacque con lei, che si era appena purificata dalla immondezza. Poi essa tornò a casa.

Questo evento è umano e comprensibile, ma rispecchia una struttura gerarchica. Davide non solo evita di partecipare alla guerra, ma si concede un lungo riposo prima di passeggiare sul terrazzo. Da lì, nota una donna bellissima e, considerato il suo status privilegiato e il distacco dalla realtà della guerra, non considera altri poteri possibili. Unicamente il suo desiderio conta, senza alcuna considerazione ulteriore. Il testo descrive il momento in modo lineare: Davide la vede, la trova attraente, manda a chiederne informazioni e poi ordina di portare la donna da lui, nonostante gli abbiano fatto presente che era la moglie di un altro uomo, Uria. Questo, in realtà, non infrange la legge, poiché Betsabea si era appena purificata, quindi l’atto non era contro la legge. Tuttavia, dal mio punto di vista, questa parte del racconto fa venire i brividi. È una rappresentazione di una violenza estrema, in cui il desiderio di Davide ha la priorità su tutto, perfino sull’aspetto della purezza rituale. Se dovessimo considerare questo episodio nell’oggi, potremmo dire: ‘Beh, Davide aveva le sue ragioni’. Ma dove sono le ragioni degli altri personaggi in questa narrazione così unilaterale? Forse non è chiaro, ma questo racconto lineare e semplice è spaventoso. E poi il gioco si chiude. Davide fa venire Betsabea, giace con lei, come dice il testo biblico, e poi lei torna a casa. Betsabea è ridotta a un oggetto, un oggetto della bellezza che soddisfa il desiderio di Davide. Non conosciamo i suoi sentimenti in merito a questa situazione, se fosse d’accordo o meno, se avesse una propria soggettività oppure se potesse permettersi di averla in quel contesto storico. Ciò che sappiamo è che c’è un esercizio assolutamente gerarchico e violento che si basa su due elementi: l’informazione e la purezza.

L’informazione e la pretesa di fare giustizia sono tra i principali strumenti di violenza del potere. A Roma, una delle frasi più comuni è ‘Eh, ma tu non sai’, perché l’informazione è potere. Quindi, c’è sempre qualcosa che sfugge a te, che tu non sai, perché qualcun altro lo sa e tu no. Forse, nella vita di tutti i giorni, questo prende una forma differente, ma questi due aspetti, la pretesa di fare giustizia e il possesso dell’informazione sulla realtà, sono cruciali. Coloro che possiedono l’informazione sembrano sapere di un complotto, sanno chi decide e conoscono molte altre cose, rendendoci incapaci di leggere il libro della storia. Loro sanno, mentre noi no.

Il racconto prosegue con il classico cliché:

5La donna concepì e fece sapere a Davide: «Sono incinta».

Le donne sono collegate alle stagioni, non per la guerra, ma per la procreazione. È un simbolismo profondo, un legame tellurico e basilare, in cui le donne sono associate alla perpetuazione della specie e hanno un rapporto diretto con la realtà, poiché questo è intrinseco al loro corpo. È una realtà fisica, non solo mentale. Questo rende difficile per i maschi comprendere appieno questa esperienza, poiché manca loro la stessa intensità e concretezza. Il fatto che la donna informi Davide della gravidanza impone una realtà al potere. Ognuno di noi potrebbe immaginare le varie possibilità in una situazione del genere. Eppure, Davide, apparentemente, non considera neanche l’idea di parlare con lei o di affrontare la situazione. Ognuno di noi potrebbe immaginare diverse soluzioni a una situazione simile, in cui la realtà si impone sulla simbolica del potere. Davide ha agito con totale violenza e la realtà gli risponde con un dato, costringendolo a trovare un modo per gestire la situazione.

6Allora Davide mandò a dire a Ioab: «Mandami Uria l’Hittita». Ioab mandò Uria da Davide. 7Arrivato Uria, Davide gli chiese come stessero Ioab e la truppa e come andasse la guerra.

Davide, seguendo la struttura gerarchica del potere, manda a chiamare Uria attraverso Ioab. Il generale ubbidisce al re, inviando Uria da Davide.

8Poi Davide disse a Uria: «Scendi a casa tua e làvati i piedi».

Non sto a ricordare tutta la questione dei piedi nella scrittura, un ricorrente riferimento simbolico dell’atto sessuale. E quindi Davide gli dice sostanzialmente: ‘Hai fatto la guerra, sei stanco, sei stato male, hai rischiato di morire, va’ a casa e rilassati un attimo’.

Uria uscì dalla reggia e gli fu mandata dietro una portata della tavola del re.

Per compiere la sua manipolazione, Davide gli dà anche da mangiare una portata della tavola del re, lo mette a parte del suo potere, gli fa godere di un privilegio. Questo è veramente il massimo del manipolatorio. Ovviamente è molto chiaro cosa Davide spera: che Uria stia con la moglie per poter dire che il figlio è di Uria.

9Ma Uria dormì alla porta della reggia con tutti i servi del suo signore e non scese a casa sua. 10La cosa fu riferita a Davide e gli fu detto: «Uria non è sceso a casa sua». Allora Davide disse a Uria: «Non vieni forse da un viaggio? Perché dunque non sei sceso a casa tua?». 11Uria rispose a Davide: «L’arca, Israele e Giuda abitano sotto le tende, Ioab mio signore e la sua gente sono accampati in aperta campagna e io dovrei entrare in casa mia per mangiare e bere e per dormire con mia moglie? Per la tua vita e per la vita della tua anima, io non farò tal cosa!».

 

Anche qui si vede benissimo, Davide sta cercando di manipolare Uria, usa la forma del potere gerarchico. Uria lo smonta non con un contropotere, ma rende vano il suo piano semplicemente rispettando, noi diremmo ‘il buon senso’, essendo un uomo per bene che dice: ‘Ma come? L’arca, Israele e Giuda abitano sotto le tende e io dovrei andarmene comodo a casa mia?’. Ed è strano il giuramento ‘per la tua vita e la vita della tua anima’. Uria non giura per la sua anima, giura per quella di Davide. È interessante perché esattamente è il rovesciamento del manipolatorio: per salvare la tua vita, la tua anima, io non starò in questo gioco di manipolazione.

12Davide disse ad Uria: «Rimani qui anche oggi e domani ti lascerò partire». Così Uria rimase a Gerusalemme quel giorno e il seguente. 13Davide lo invitò a mangiare e a bere con sé e lo fece ubriacare; la sera Uria uscì per andarsene a dormire sul suo giaciglio con i servi del suo signore e non scese a casa sua.

 

Davide prova l’ultima operazione manipolatoria possibile: far perdere se stesso all’altro; farlo ubriacare significa fargli perdere il dominio di sé. Ha ben capito che Uria è più potente di lui perché non perde il controllo, perché è in grado di commisurare i suoi desideri col fatto che l’arca, Israele e Giuda sono sotto le tende. Allora certo, lui probabilmente aveva un desiderio di stare comodo, di stare a casa sua, di vedere sua moglie, ma il suo desiderio non è l’unica cosa che ha. Un potere di una sola forma, che è fatto solo della forma del proprio desiderio diventa manipolatorio. Solo se insieme al proprio desiderio ci sono altri elementi di realtà, ad esempio che riguardano altri e altri desideri, allora si è più potenti. Davide prova a giocare l’ultima carta: fargli perdere se stesso, ubriacarlo, perché lui perda il dominio di sé. Ma l’abitudine a considerare la pluralità dei desideri è talmente forte che non riesce a farlo perdere, che nemmeno ubriaco il suo desiderio prende il sopravvento.

14La mattina dopo, Davide scrisse una lettera a Ioab e gliela mandò per mano di Uria.

 

Qui c’è il massimo dell’ironia tragica del potere: è Uria stesso che porta la sua condanna a morte a Ioab. Davide manda una lettera al generale, perché se non può manipolare Uria, gerarchicamente può manipolare altri.

15Nella lettera aveva scritto così: «Ponete Uria in prima fila, dove più ferve la mischia; poi ritiratevi da lui perché resti colpito e muoia».

 

Se non può attribuire quel figlio a Uria (anche se poi lo farà, nel senso che comunque Uria è stato due giorni a Gerusalemme, forse ci si potrà dimenticare che non è andato a dormire a casa sua), può almeno farlo morire e lo fa appunto per via gerarchica e con la sua inconsapevole collaborazione. Segue un lungo pezzo che salterei perché racconta due volte la stessa cosa. Cioè racconta come vanno le cose per cui Uria muore e poi racconta come il messaggero riferisce a Davide come sono andate le cose per cui Uria è morto. Ed è interessante che sia narrato due volte perché il potere è prevedibile, ha una logica che non è capace di novità, che non fa un’altra cosa, che non prende un’altra forma. Dopodiché il capitolo si conclude così:

26La moglie di Uria, saputo che Uria suo marito era morto, fece il lamento per il suo signore. 27Passati i giorni del lutto, Davide la mandò a prendere e l’accolse nella sua casa. Essa diventò sua moglie e gli partorì un figlio. Ma ciò che Davide aveva fatto era male agli occhi del Signore.

 

Il racconto ha una specie di lieto fine. Alla fine le cose vanno come Davide voleva, si mette una toppa a questa gravidanza non cercata, la realtà viene piegata al potere. Sì, ma ciò che Davide aveva fatto era male agli occhi del Signore. A Davide tutto questo sarà rinfacciato più avanti quando il profeta gli racconterà l’apologo dei due uomini, uno che aveva un grande gregge, uno che aveva una sola pecorella, e gli dirà: ‘Tu sei quell’uomo’, per dirgli che questo era male agli occhi del Signore, non solo nei cieli, ma anche sulla terra.

Ma noi ci fermiamo qui perché questa è spesso l’esperienza nella storia: sembra che il potere alla fine riesca a chiudere i suoi cerchi, cioè sistemare le cose e aggiustare il reale. Quello che la scrittura poi ci dirà è che questo povero figlio, che non c’entrava niente, finirà malissimo. Ci sono tante conseguenze che vengono pagate per questa chiusura. Ma quello che si mostra come un primo sigillo da spezzare è vedere dove il potere ha come criterio il criterio gerarchico, il criterio manipolatorio, dove la realtà è un optional e vedere come non ci sia rispetto per la soggettività degli altri. L’unica cosa che conta, l’unico criterio valido, è il desiderio di chi in qualche modo è nella possibilità di esercitare un potere, cioè appunto un potere che si pensa solo e inevitabilmente così.

Una delle riflessioni che mi viene da fare è che molto spesso, nella nostra esistenza – almeno a me succede abbastanza spesso – ci capita di pensare che nelle situazioni concrete non abbiamo alternative, che uno dice: ‘Sì, non mi piace questa cosa, ma in fondo cos’altro potrei fare?’ Ecco, forse dovremmo cominciare ad avvertire un campanello d’allarme quando facciamo un pensiero di quel genere, perché è veramente la logica autodescrittiva di un potere violento. La realtà ci pone sempre delle altre possibilità che non sono pari, hanno dei costi oppure hanno dei risultati diversi, oppure ci danno più insicurezza. Evidentemente, quando io dico: ‘Cos’altro potrei fare?’, in realtà quello che dico è: ‘Cos’altro potrei fare senza intaccare il mio desiderio di sicurezza, di sentirmi dalla parte del giusto, di rispettare le regole della purezza, di mettermi al sicuro?’. Ma questa parte che non si dice è la parte vincolante, è l’unica forma del potere che invece non è plausibile, è un sigillo, ci impedisce di vedere la realtà. Perché la realtà è sempre ‘L’arca, Israele e Giacobbe vivono sotto le tende’. Ci sono altri, altri punti di vista, altre realtà e quindi altre forme. In genere, quando diciamo ‘cos’altro potrei fare’, in realtà quello che stiamo dicendo è che tutte le altre soluzioni mi costano di più. E guarda caso, molto spesso, questa esperienza di un potere così violento è vissuta come impotenza: ‘Cos’altro potrei fare? Sono alle strette.’ Vivo un’impotenza che in realtà è una forma di potere violento. Ecco, io mi fermerei qui. Nonostante il racconto sia semplice e lineare, offre già molti spunti.

 

Discussione:

Intervento. Ripensando al comportamento di Uria, mi viene da pensare che comunque si può essere il granello di sabbia che rompe l’ingranaggio. Quando tu reagisci come ha reagito Uria, chi in quel momento fa la parte di Davide rimane spiazzato, perché non si aspetta che tu ti ponga in un’altra prospettiva, che tu agisca in un’altra logica. Forse a noi cristiani è chiesto di essere capaci di porci da un’altra prospettiva, di vedere altri desideri oltre il nostro, di sottrarci a questo modo di vedere le cose.

Commento. Sì, tenendo conto che non c’è un lieto fine, che Uria viene ucciso. La figura è cristologica e noi non siamo diversi dal nostro maestro: il nostro maestro finisce in croce. Vero che poi c’è la resurrezione e anche nella storia di Davide e Uria ci sarà una giustizia che il profeta ristabilirà. Però, nel frattempo, Uria viene ucciso e, apparentemente, Davide vince, è spiazzato, ma vince perché sposa Betsabea. Quindi, bisogna anche uscire da una logica un po’ troppo “caramellosa” di questo ragionamento e riprendere il senso anche del testo dell’altra volta di Apocalisse. L’esperienza cristiana è un’esperienza agonica, nel senso che è un’esperienza di una battaglia. Non è melassa a buon mercato, buoni sentimenti. Si tratta di prendere una parte e di prenderla sapendo che c’è un costo da pagare perché è un’esperienza di una battaglia. Non è una passeggiata, appunto. Anche qui cercando di capire, perché quello che poi manca è la possibilità, nella situazione concreta, di vedere gli altri desideri e di metterli in atto. Cioè, di prendere la posizione di Uria realisticamente.

Intervento. Una delle grandi differenze tra Davide e Uria è sapere o no che esiste una pluralità di desideri al di là del proprio. Bisogna essere abituati a ragionare in questo modo. C’è una valenza pedagogica da recuperare nel riconoscere e vedere che c’è una pluralità di desideri. Non si improvvisano istintivamente.

Commento. Assolutamente sì. Tutte le attitudini che la scrittura chiede sono attitudini mai immediate. Sono quelle che la Bibbia chiama attitudini del cuore che noi spesso traduciamo come sentimenti o emozioni. Ma non è così. ‘Del cuore’, per la scrittura, vuol dire attitudini profonde che segnano la persona. E per segnare una persona ci vuole un’attitudine costruita nel tempo, esercitata, raffinata. Per questo la tradizione, per esempio, ha elaborato il concetto di vizio o di virtù che non è mai un atto puntuale. Un vizio non è una volta che fai una stupidaggine. Un vizio è l’abitudine elaborata a certe stupidaggini. Così come una virtù non è una volta che fai una cosa buona, ma è l’abitudine, l’habitus, dice San Tommaso, a fare delle cose buone. E questo fa la differenza effettivamente perché una sciocchezza o una cosa buona si può sempre fare. Succede, ti distrai un attimo. Ma l’habitus lo si costruisce invece con un allenamento.

Intervento. Fermandomi al fotogramma in cui Davide fa la prima proposta a Uria, mi immagino uno shock di Davide nel constatare che l’altro non la accolga: perché Uria non dovrebbe consentire di andare a casa e, addirittura, avere parte del privilegio di Davide? Quello che mi colpisce è che poi scatta un’escalation. Lì poteva esserci un bivio, una possibilità di uscita. Invece l’unica via possibile del potere è stata aumentare la posta fino ad ammazzare Uria.

Intervento. Io vorrei sottolineare due punti. Primo, la figura di Betsabea, in fondo, a me non piace tanto. È una donna che dà da pensare. Certo, Davide era il re, però Betsabea mi è sembrata un po’ arrendevole, ripensando al comportamento di altre donne nella Bibbia. Una seconda osservazione è che Davide fa uccidere Uria, non Betsabea. Probabilmente, in quel quadro di riferimento storico, ma forse anche simbolico, la posta in gioco che viene dal desiderio di potere di Davide riguarda i maschi fino all’ultimo momento. Supera anche la vita di Betsabea.

Commento. Il racconto pone Betsabea come un oggetto. La posta in gioco è Betsabea, quindi non è un soggetto che Davide può far uccidere perché è ciò che ha rubato. È come dire: ‘Se io rubo l’oro del tesoro, poi non lo butto via! Me lo tengo e faccio uccidere il padrone del tesoro a cui ho rubato l’oro.’ Quindi, è chiaro che Betsabea non fa una gran figura in questo racconto, è veramente resa un oggetto, tutto il racconto è costruito perché lei non ci sia. È interessante che tu lo faccia notare. La monoforma del potere è spesso maschile. Questo è assolutamente vero, un po’ perché storicamente le donne hanno dovuto imparare, non vedendo mai riconosciuto simbolicamente il loro potere, a usare altre forme del potere, delle forme più trasversali, meno dirette.

Intervento. Vorrei riprendere velocemente l’intervento sulla pluralità di desideri come un percorso pedagogico importante. Mi chiedo se potrebbe essere anche un percorso ecclesiale importante. Nel senso che il potere nella Chiesa dovrebbe essere quello che riesce a dare spazio, voce, a conciliare i vari desideri di una pluralità. Questo spesso non avviene. Pensiamo ai tanti modi in cui tanti desideri e tante voci non hanno espressione, non arrivano a essere ascoltati dal potere. Il sinodo in corso sarebbe bello poterlo immaginare anche come uno spazio in cui i desideri di tutti coloro che sono nella Chiesa trovano un’espressione maggiore di quella che hanno.

Commento. Credo che questa cosa sia verissima e credo anche che effettivamente la questione sinodale sia proprio questa. Provare a fare questa operazione molto complicata. Però, ad esempio, il documento che è uscito recentemente per la prima volta da tanti anni è un vero documento di lavoro in cui sono evidenziate convergenze, questioni da approfondire e problemi aperti. Mi sembra un buon metodo. Quest’anno, secondo me, ecclesialmente è un anno abbastanza delicato per vedere se alcune cose si sbloccano o no. Forse bisognerebbe spiazzare un po’, come Uria, fare un’altra cosa.

Fossano, 4 novembre 2023

Testo non rivisto dall’autore

Lectio 2023/2024

DataTitoloCommento a:
7 Ottobre 2023
Stella Morra
1. Ricominciare da dove eravamo arrivati
Ap 5, 1-14
Leggi di più
16 Dicembre 2023
Stella Morra
3. Secondo sigillo: l’universalità, solo una parte?
Mt 2, 7-23
Leggi di più
20 Gennaio 2024
Stella Morra
4. Terzo sigillo: la differenza, uomini e donne
Mc 5, 21-43
Leggi di più
3 Febbraio 2024
Stella Morra
5. Quarto sigillo: la forza, quale
2 Cor 12, 5-15
Leggi di più
23 Marzo 2024
Stella Morra
6. Quinto sigillo: la gentilezza, perché
Lc 1, 26-56
Leggi di più
6 Aprile 2024
Stella Morra
7. Sesto sigillo: le possibilità, per chi
Eb 11, 1-3.8-16.32-40
Leggi di più