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20 Gennaio 2024
Stella Morra

4. Terzo sigillo: la differenza, uomini e donne

Commento a: Mc 5, 21-43


Il tema che ci accompagna è il potere, poteri, forza, possibilità e gentilezza. Vorrei richiamare queste ultime tre parole che avevamo posto all’inizio, perché molte delle cose che ci stanno succedendo intorno, ci dicono molto chiaramente delle cose rispetto alla forza. Se pensiamo al potere, l’accoppiata che ci viene immediatamente in mente è la forza, la violenza, la volontà di imporre con la forza, ecc. Ci viene un po’ meno velocemente in mente l’idea di possibilità e direi che non ci viene in mente il tema della gentilezza. Però, di per sé, nel nostro percorso questi tre elementi dovrebbero un po’ alla volta configurarsi, per darci un’immagine possibile di potere.

Eravamo partiti col testo di Apocalisse, se ricordate a ottobre, ultimo testo che, esattamente vent’anni fa, avevamo letto quando abbiamo riflettuto sul tema del potere, la cui conclusione era il potere come possibilità. E quindi il potere come la condizione di possibilità reale per far vivere gli altri, rendere altri potenti, far vivere l’insieme, la comunità, ciò che è comune, ecc.  In quel testo, da cui avevamo deciso di ripartire per una riflessione ulteriore, è contenuta l’immagine del libro con i sette sigilli, che solo l’Agnello ha il potere di rompere per poter leggere il libro, e in qualche modo abbiamo preso questa figura, come figura guida, ma metaforicamente, e l’idea è quella di far corrispondere ad ogni incontro lo spezzare un sigillo, infatti i nostri incontri sono sette più uno che è stato d’introduzione; ovviamente è solo un’immagine per seguire un po’ il ragionamento, e credo che qualsiasi biblista mi criticherebbe seriamente, ma il nostro obiettivo è un altro.

L’immagine del sigillo è di qualcosa che sembra bloccato, di ciò che sembra chiuso, che sembra così e basta, e su cui non c’è da discutere.  Allora se noi abbiamo sette sigilli che tengono il libro chiuso, non succederà mai niente di nuovo. Tutti possiamo dire: ah, sarebbe meglio la pace che la guerra, sarebbe meglio trovare delle soluzioni diplomatiche, sarebbe meglio ecc. Certo che sarebbe meglio, però le situazioni sembrano tutte bloccate su un piano reale. Ecco, la sensazione, cioè l’immagine dei Sette Sigilli, era legata anche a questo, alla sensazione di avere un libro chiuso, che è il libro della nostra storia comune, della storia del mondo, delle storie che noi viviamo, bloccate in qualche modo, e cercare quali sono i punti possibili che sbloccano.

Allora, almeno secondo ciò che la Scrittura ci propone, il primo punto che avevamo provato a vedere era dal secondo libro di Samuele, l’episodio di Davide che manda il suo attendente Uria, della cui moglie si era innamorato e che aveva messo incinta, in prima linea in battaglia per toglierselo di mezzo. Davide si trovava in una situazione un po’ problematica, e fa una tipica operazione di potere, lo manda a combattere in prima linea chiedendo al suo comandante di fare in modo che muoia durante la battaglia, così si possono dare a lui gli onori eroici, gli onori di guerra, e farlo passare come un eroe, e contemporaneamente lui può tenersi la moglie e il figlio che ne nasce. Questo episodio determinante nella vita di Davide porta a credere che il potere abbia sempre necessariamente quest’unica forma possibile, come non ci fosse nessun altro modo di risolvere i problemi, se non quello di esercitare una forza; e questo era un po’ il primo sigillo che si concludeva con una domanda: il potere ha una forma sola?

È chiaro che la risposta è no, nella Scrittura non è così, ed è chiaro pure che questa è la domanda che dobbiamo farci noi qui ed ora, vale a dire quali sono le altre forme di potere possibile, realistiche e non solo teoriche, e quali strade, atti, percorsi, strategie, possono essere messe in atto.

Il brano successivo sul quale abbiamo meditato a dicembre era il brano di Matteo riguardo ai Magi, e il sigillo da rompere è quello legato al tema dell’universalità e della parzialità, cioè i Magi rappresentano gli stranieri, i sapienti di un’altra sapienza, quelli che arrivano d’altrove, che sono diversi, che quindi rappresentano un tema di universalità, ma contemporaneamente in tutto quel percorso, l’incontro con Erode, il dialogo, le domande, la stella che c’è, che non c’è, eccetera, mostrano la loro parzialità, partono da lontano, hanno interpretato il cielo, arrivano, fanno la loro offerta e se ne vanno. E non sappiamo cosa ci sia successo dopo, infatti le tradizioni e le leggende in ambito cristiano circa i magi, sono bellissime, perché non sapendone niente si è inventato più o meno di tutto, che uno ad es. era nero.

In questa ultima Epifania sono girate anche tante immagini dei tre magi raffigurati come donne, e infatti di per sé non c’è scritto da nessuna parte che non erano donne, però non c’è neanche scritto che lo fossero, ma quello che il testo evangelico ci dice è che i Magi rappresentano una parte, una parte distante e che non è che poi si converte, diventa ebrea, no, rimane una parte, e la loro salvezza, rispetto a Erode, è di rimanere una parte, di tornarsene a casa passando da un’altra parte, di non essere implicati nell’unica forma di potere di Erode, che decide: “siccome non mi hanno detto dov’è il bambino, faccio uccidere tutti quelli che hanno meno di due anni e siamo sicuri che lo uccidiamo”.

E poi, ci sono Giuseppe, Maria e il bambino devono fuggire in Egitto, che diventano, noi diremmo, migranti, cioè diventano una parte, non è che fossero proprio i più ricchi del paese, i più potenti del paese, ma diventano ancora più marginali rispetto alla loro stessa storia.

Tutto questo tema, per cui l’unico modo di essere universali è percorrere fino in fondo la propria parzialità, è la seconda domanda. Qual è la parzialità del potere che abbiamo e di quello che non abbiamo? Ma anche qual è la parzialità del potere che hanno altri? Di fronte al quale il nostro atteggiamento rischia sempre di essere quello che dice: “eh, vabbè, ma ci sono i politici, i capi di stato, i multimilionari, e noi cosa ci possiamo fare? Non ci arriveremo mai, loro sono potenti e noi siamo deboli”, e senza renderci conto fino in fondo, che questo atteggiamento è il nostro riconoscimento, che rende il potere sempre più assoluto, e che invece c’è una parzialità anche nel potere degli altri, oltre che del mio, e su questo bisognerebbe misurarsi e cercarne di capire il funzionamento.

La lectio di oggi

Questo era per fare un breve riassunto delle puntate precedenti, per dire che siamo al Vangelo di Marco, oggi, con il terzo sigillo che in qualche modo è la conseguenza dei due precedenti: se non c’è un’unica forma e se l’unico modo di essere universali è comprendere e assumere, e anche abitare senza sconti la propria parzialità, cioè posso arrivare solo fino lì, e vuol dire che non mi fermo prima, ma fino lì arrivo. Ecco questa parzialità, l’esperienza che ne nasce, è l’esperienza della differenza, di essere diversi, perché la parzialità, per definizione mi dice che io sono una parte, l’altro è anche una parte, ed è abbastanza improbabile, essendo un altro per ragioni statistiche, che siamo esattamente, tutti e due, la stessa parte identica, perfettamente coincidente.

Siamo parti diverse del mondo, con delle parti sovrapposte, con delle cose in comune; ad esempio, tutti quelli che fanno gli insegnanti hanno alcuni difetti professionali, quindi hanno delle parti in comune, e anche tutti quelli che sono padri o madri hanno delle parti della loro vita che sono legate ai figli, e questo va bene, è tutto normale, ma tutti siamo parti diverse.

E in particolar modo vorrei far notare la differenza che in qualche misura è la differenza, purtroppo non so che parola usare, vi confesso, qualsiasi delle parole che uso mi sembra inadeguata, quindi le uso tutte, tra virgolette, e cioè originaria, incurabile, non so, cioè è una differenza che nell’esperienza comune è di quelle differenze che non sono nemmeno da discutere, tipo quella tra uomini e donne. Nel racconto di creazione non si dice che ci sono alcuni neri, altri gialli, altri bianchi, poi si attribuirà a Cam la stirpe dei neri, che era uno dei figli di Noè, però in realtà non si dice niente di tutte queste differenze, che pure sono rilevanti.

L’unica cosa che si dice all’inizio nella creazione è che Dio li creò maschio e femmina, cosa, questa, che crea contemporaneamente una risorsa e un problema, cioè definisce questa differenza appunto originaria e inevitabile? Non lo so, insieme però rischia di stabilire una logica binaria, cioè che sarebbe l’unica cosa su cui ci si divide: “tutti gli uomini e le donne sono uguali, hanno la stessa dignità, sono figli di Dio”, però fin dall’origine maschio e femmina comportano una serie di questioni e di conseguenze sull’attualità tipo la famiglia, con delle problematiche anche nei termini del racconto di creazione, che stabilisce questa differenza originaria, ma come una differenza molto particolare, e che di per sé non è binaria, non è stabilita come binaria nel racconto di creazione, ed è una differenza particolare, perché maschio e femmina vengono riportati alla stessa origine, non solo nei termini di Dio, ma nei termini quasi della rottura di un corpo originariamente uno, e vengono posti l’uno di fronte all’altro, uno all’altezza dell’altro, un aiuto simile a me, dice la Scrittura.  Quindi questa è una struttura di una logica binaria, poi se volete mettiamo sul blog qualche citazione bibliografica per leggere un po’ di analisi esegetiche sul testo di creazione primo e secondo.

Per adesso ci basiamo sul testo che ho scelto, che è il testo di Marco, perché il testo così si presenta, per far vedere questa differenza nel bisogno, quindi in una logica di potere, dove c’è un rapporto tra delle persone che hanno bisogno, e Gesù viene individuato come colui che ha il potere di risolvere il loro bisogno, questo non sta nel testo, ma è la situazione che lo dice.

A monte del testo ci sono Giàiro e l’emorroissa che hanno un problema serio, grave, e tutti e due individuano Gesù come colui che ha il potere di risolvere il loro problema, e si vede bene qual è la differenza in questo testo, per come Marco lo costruisce, e cosa vuol dire che Gesù, alla fine, esaudisce entrambi, cioè riconosce la legittimità dei due diversi modi, perché non ce n’è uno migliore e uno peggiore, ma li raccoglie tutti e due, e anche risponde in modo diverso.

Il testo: Mc 5, 21-423

5 21Essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. 22E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi 23e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». 24Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
25Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni 26e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, 27udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. 28Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». 29E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.

30E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». 31I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: «Chi mi ha toccato?»». 32Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. 33E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. 34Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».

35Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». 36Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». 37E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. 38Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. 39Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». 40E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. 41Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». 42E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. 43E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.

 

Commento:

Il testo è interessante, spero ai vostri occhi piacevole, come per me, leggerlo. È una storia molto costruita dal punto di vista letterario, cioè non sappiamo se corrisponde esattamente cronologicamente a come sono andate le cose, ma certo Marco ha fatto un’opera di ricostruzione, probabilmente su due episodi che si tramandavano, ma costruendoli in modo molto studiato, molto a posteriori. C’è un incipit, poi c’è un intarsio di due racconti, un maschio all’inizio con un bisogno e una domanda, al centro l’episodio cosiddetto dell’emorroissa, la donna, e poi la conclusione della prima parte dell’episodio. Quindi c’è una struttura veramente molto costruita.

L’Incipit dice due cose fondamentali, che sono molto comuni nei testi evangelici, le abbiamo nelle orecchie da quasi non sentirle più.

21Essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. 

Questa immagine è stata per esempio spesso usata nei ricordini funebri: è passato all’altra riva.

È un’espressione che si trova spesso all’inizio degli episodi: Gesù passa all’altra riva, o invita i suoi a passare all’altra riva, fa una traversata, attraversa, si sposta, e questo normalmente è sempre collegato alla presenza della folla. A volte attraversa per lasciare la folla e se la trova anche di là. C’è sempre un rapporto con la folla. Questo è un punto su cui si potrebbero dire molte cose, si può fare anche tanta poesia, ma di per sé la figura è molto chiara e cioè Gesù è un rabbi in movimento ed è un rabbi che ha che fare sempre con questa riva e l’altra riva, la pianura e il monte. Ci sono sempre dei posti che noi dovremmo considerare come binari, cioè questo e l’altro, ma che non sono mai contrapposti, e in cui succedono cose diverse, perché ci sono domande diverse. Su questa riva accadono alcune cose, sull’altra riva succedono altre cose. Nella pianura accadono alcune cose, sulla montagna succedono altre cose. Per esempio, Gesù incontra la folla in pianura e prega sulla montagna. Parla ai discepoli sulla montagna e parla alla folla in pianura, e così via. Cioè, è un rabbi che ha il senso della differenza. Che sa che non tutte le persone, tutte le cose, tutti i luoghi, tutti i tempi, sono uguali e che ha il gusto di cogliere questa differenza, per cui la abita da buon teatrante, sa che alcuni discorsi vanno fatti sulla montagna e vanno fatti a pochi, sa che alcuni discorsi vanno fatti a tanti, e il movimento da una riva all’altra è sempre un movimento di sospensione.

Ieri, mentre viaggiavo da Roma a Torino, pensavo di aver avuto una settimana molto faticosa, piena di gente, ancora fino a venerdì mattina prima di partire, piena di parole, piena di pensieri,  e poi una volta  salita in treno e mi sono seduta ho detto: “adesso mi aspettano quattro ore e mezza di Frecciarossa, lascio sulla riva precedente tutti quelli che ho incontrato, con cui ho parlato, che mi hanno posto dei problemi, li ritrovo quando torno con il Frecciarossa, li ritroverò lunedì, perché i problemi restano lì, ma intanto vado sull’altra riva, mi sposto, creo un transito”, e rispetto a questo si potrebbe a lungo discutere sul ruolo della folla.

22E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi 23e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». 24Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.

Di lui sappiamo che è un capo, cioè sta nella logica del potere, per capirci, dello stesso potere di Davide. È riconosciuto come un potente, non con un potere assoluto, ma con un potere significativo, e infatti ne conosciamo il nome. Della donna che viene dopo non sapremo nemmeno il nome, infatti viene tramandata come l’emorroissa.

È uno dei capi di nome Giàiro, il quale si getta ai piedi, cioè fa un gesto da schiavo, dunque entra nella dinamica del potere, dell’unica forma di potere, che è quella che riconosce il suo potere a Gesù: tu Gesù, puoi guarire mia figlia; quindi, io ti devo un atteggiamento da schiavo.

E lo prega con insistenza, per un ottimo scopo, la mia figlioletta è agli estremi, vieni a imporgli la mano. Imporgli le mani, ancora oggi è un rito religioso, è l’imposizione per la discesa dello Spirito Santo; quindi, ad es. conferisce il potere di consacrazione ai preti, ma nell’antichità era un gesto molto più comune, non solo religioso, l’imposizione delle mani, perché appunto da lì viene, era proprio il trasmettere il proprio potere. C’erano due modi fondamentali nell’antichità per passare il potere: imporre le mani o lanciare il proprio mantello, che sono i due gesti per i due miracoli.

Allora c’è una richiesta legittima, c’è una situazione di bisogno, quest’uomo si mette nella logica ordinaria del potere, nell’unica forma riconosciuta, di lui sappiamo che è un capo e ha un nome, fa le cose bene, cioè riconosce che Gesù è più potente di lui e gli chiede di imporre le mani su sua figlia, perché la figlia viva. Fa un buon uso del potere. E dunque Gesù va con lui.

È buffo perché nel Vangelo c’è sempre qualcuno che va con Gesù. Sono pochissimi i casi in cui Gesù va con qualcun altro. Cioè, bisogna sempre seguire Gesù e invece qui è Gesù che segue noi, che è una bella cosa, cioè bisognerebbe ragionarci un po’, esiste anche questa forma, non c’è mai una forma sola.

Certamente negli ultimi cinque secoli il cristianesimo, soprattutto nella forma cattolica, ha molto  spinto sul concetto per cui noi dobbiamo seguire Gesù; pur tuttavia, con grande dignità, forse dobbiamo anche farci seguire da lui, o perlomeno provare a chiederglielo, se non viene possiamo insistere, e se viene è possibile, e il testo continua dicendo che la folla lo segue e si stringe intorno, ed è chiaro che questo è funzionale al racconto che segue, ma rimane nell’indistinto, rimane nella forma classica, ordinaria, di uno scambio di poteri tra potenti.

25Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni 26e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, 

E qui si inserisce l’incastro, l’altra possibilità, la differenza. Si viene a creare un interstizio, cioè spezza il racconto, c’è un’altra storia e poi il racconto riprenderà. Questo è il primo carattere di una differenza particolarmente utile di questi tempi, soprattutto in relazione al potere che è abitare gli interstizi, cioè bisogna mettersi in mezzo, non ci sarà mai un invito in una piazza con una folla tutta ordinata in cui si dice: “prego, prego, si accomodi”, ma bisogna individuare le crepe, vedere dove ci si può inserire, e la grande responsabilità, per avere consapevolezza della propria parzialità di potere, è capire quali sono le crepe che ci riguardano, quelle dove noi possiamo arrivare, piccole o grandi che siano, e non rifiutarsi di abitarle, ma infilarsi in quella crepa. E poi di questa donna non sappiamo il nome, non sappiamo la qualifica, se era una donna di famiglia altolocata o semplice, ma a differenza di Giàiro ne conosciamo la storia. Ci sono due forme del potere, quella che noi diremmo delle qualifiche, dei ruoli, e quella delle storie.

E sono molte diverse tra di loro, entrambi parziali e che hanno percorsi diversi, utilità diverse, ribadisco, guardate, Gesù alla fine guarisce tutti e due, risponde al bisogno di entrambi positivamente, quindi non c’è una differenza morale, ma ci sono forme diverse, e ognuno di noi deve chiedersi: in fondo se la sua impossibilità ha una forma non è la chiamata all’altra, per esempio, o una terza che ancora non è descritta qui.

Di questa donna non sappiamo il nome, non sappiamo se fa parte della classe ricca o no, ma sappiamo che da 12 anni era affetta da emorragia, aveva molto sofferto per opera di molti medici, non per il suo male, ma per i medici, spendendo tutti i suoi averi, senza nessun vantaggio, anzi peggiorando, la sua è una storia di delusione, l’aver fatto tutto quello che ragionevolmente poteva fare e ritrovarsi delusa.

Bisogna tener conto che una donna nel mondo ebraico è già impura di suo, una donna mestruata è doppiamente impura, gli ebrei ortodossi non danno la mano a donne a meno che non abbiano 90 anni o 3 anni, perché non sapendo è meglio evitare di toccare una donna che potrebbe essere mestruata, e una donna con una emorragia permanente, è una donna permanentemente impura; quindi, è proprio intoccabile da tutti i punti di vista. Quindi siamo di fronte ad una storia di delusione e di esclusione. E lei si infila nell’interstizio.

27udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. 

La donna coglie Gesù alla sprovvista, ha sentito parlare di lui, lo raggiunge, gli arriva alle spalle e tocca il mantello, che è l’altro gesto antico di trasmissione della forza, della potenza, come vi dicevo prima. O si impongono le mani o si getta il mantello, Elia getterà il mantello su Eliseo per fare di Eliseo il suo successone, e lei tocca il mantello alle spalle essendo lei impura; dunque, sapendo perfettamente che secondo la legge, poiché lei toccava Gesù, rendeva Gesù impuro, se fosse guarita o no, lei non lo poteva sapere, ma sapeva esattamente che stava rendendo, questo maestro potente, impuro.

28Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». 29E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.

Questa è la forma del suo bisogno, del suo desiderio. Allora non vorrei aprire polemiche, ma non posso evitare di condividere con voi il fatto che riprendendo ieri e l’altro ieri questo testo per oggi, mi è venuta in mente tutta la polemica creatasi su “Fiducia supplicans”, questo documento sulle benedizioni, che mi auguro abbiate avuto occasione di leggere, e sul comunicato stampa che è seguito, perché esattamente mi sembra che “Fiducia supplicans” si ponga in questa forma del potere.

C’è un potere giusto, tradizionalmente nella Chiesa, che dice che ci sono delle situazioni che non sono un bene, e quindi non si può ricevere un sacramento su una determinata situazione, e va bene, ma si può chiedere una benedizione? Si può toccare il lembo del mantello? Si può arrivare alle spalle ed esprimere questa questione? E Dio che cosa fa? E dunque la Chiesa in nome di Dio che cosa fa in relazione a questo? Urla: “pazza! Mi hai contaminato?”. Oppure cosa fa? Allora tutta una serie di reazioni, scusatemi, in questo io sono parzialissima, mi sembravano proprio come se Gesù si fosse girato e gli avesse detto: “ah, pazza, mi hai contaminato!”. È vero, dal punto di vista della legge, lei lo ha contaminato, niente da dire, lei dice se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita, da 12 anni era affetta, aveva visto molti medici, aveva speso tutti i suoi averi, e subito le si fermò il flusso di sangue, e sentì nel suo corpo che era stata guarita da quel male. Trovo questa espressione evangelica bellissima, non c’è scritto: capì, non c’è scritto che qualcuno glielo dice, non c’è scritto che studia sé stessa per capire, ma sentì nel suo corpo, non nel suo cuore, grande parola che mitizziamo rispetto alla Scrittura, sentì nel suo corpo che era stata guarita.

30E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». 31I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: «Chi mi ha toccato?»». 

Dopo si dirà che gli abitanti della casa di Giàiro lo deridevano, perché Gesù dice che la fanciulla non è morta ma dorme. E qui sono i discepoli che lo deridono. E gli dicono: ma come sei in mezzo alla folla, tutti ti spintonano e tu dici chi mi ha toccato? Gesù non dice chi mi ha toccato, Gesù dice chi mi ha toccato il mantello, perché ha sentito la potenza uscita da lui.

Che cosa vuol dire questo racconto? È, se lo traduciamo dalla narrazione un po’ magica, dalla concezione del potere magico, che si aveva nell’antichità, la reciprocità dei poteri. La donna, che si è messa in un interstizio, sta potentemente di fronte a Gesù e gli ha estorto un potere.

Giàiro si è gettato ai piedi, partiva dal suo senso di potenza, e riconosceva la potenza di Gesù come una potenza maggiore quanto alla malattia di sua figlia, ma dicendo: “io sono io, comunque”, invece questa donna non è niente, parte dalla sua parzialità, e quindi infilandosi in un interstizio può stare alla pari con Gesù, può estorcergli un potere.

32Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. 

Questa è un’immagine che io trovo bellissima. Gesù cerca tra la folla: dov’è, chi è che ha estorto questo potere?

33E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. 

E la donna a quel punto impaurita e tremante si palesa e gli dice tutta la verità, cioè si mette, come Adamo ed Eva nel momento della creazione, di fronte a lui, ripeto, impaurita e tremante, e gli dice quello che ha da dire, gli dice questo è ciò che è accaduto, questa è la verità, e a quel punto Gesù risponde:

34Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».

E qui si chiude l’interstizio, perché l’unica cosa di cui c’era bisogno, era questo stare di fronte, questa reciprocità. È un bisogno che viene raccolto da Gesù, senza che nemmeno Gesù lo sappia, infatti non ci sono parole, non c’è una domanda, c’è solo un contatto.

Ovviamente, qui non posso dilungarmi troppo, non è un malanno qualsiasi quello di questa donna, voi sapete è l’unico caso nel Vangelo in cui si parla di questo male. Mediamente nel Vangelo sono presentate persone affette da malattie più comuni, ci sono ciechi, paralitici, muti, sordi, invece una donna che vive questo tipo di potere è una donna che si dissangua, cioè in cui il peso è la perdita dell’energia vitale, e questo significa che vivere negli interstizi ci dissangua; quindi, ci si potrebbe fare una serie di ragionamenti.

35Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?».

Mentre ancora Gesù sta dicendo: va bene, sii guarita dal tuo male, arrivano dalla casa di Giàiro, e a questo punto la successionegerarchica dei poteri è più chiara.

Arrivano e dicono: tua figlia è morta, perché disturbi ancora il maestro?

Dopo questo dialogo emotivamente potentissimo con l’emorroissa, i messi di Giàro pronunciano una frase educata, gentile, carina, ma al contempo fastidiosissima.

Mi sembrerebbe una frase da cuneese, perché il grande problema archetipico di ogni cuneese è non disturbare. Non disturbare è il comandamento meno violabile dell’universo, come a dire “tanto è morta, non disturbare il maestro, lascia stare”.

Ed è pure interessante notare che Giàiro non sente niente nel suo corpo, non sente né che la figlia è morta, né che guarirà, né quando è guarita, e Gesù non cerca i messi, quelli arrivano e portano la notizia, e tutto questo è secondo le cose, secondo una logica gerarchica del potere.

E poi Gesù pronuncia una frase che suona un po’ strana:

36Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». 37E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. 

Non temere. Continua solo ad aver fede. Che cosa vuol dire non temere? Nessuno dice che Giàiro aveva paura, poteva aver paura che la figlia morisse, e nel momento in cui gli dicono è morta, non è che ha paura, può essere addolorato, sofferente … che cosa vuol dire non temere? Che cosa non deve temere, Giàiro? E qui, secondo me, bisognerebbe veramente dedicare un po’ di tempo a confrontarsi su qual è il timore che sta dentro le logiche gerarchiche del potere, che alla fine paralizza tutti, perché è un timore che in genere non ha ragioni. Gesù dice: non temere, e fa un’operazione che viene ribadita nelle poche righe seguenti più di una volta, ed è che non permette a nessuno di seguirlo, ma ammette solo Pietro, Giacomo e Giovanni e poi i parenti e poi di nuovo manda fuori tutti.

38Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. 39Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». 40E lo deridevano.

E lo deridevano esattamente come i discepoli che lo hanno deriso quando aveva detto: chi mi ha toccato il mantello? Non si riesce a prendere sul serio un potere di tipo diverso? Un potere delle intersezioni?

Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. 41Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». 42E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni.

Gesù fa un gesto che desta interesse, che è un gesto che non è né l’imposizione delle mani, né la consegna del mantello, ma si riaggancia al potere della donna: prende la mano della bambina. La forma del potere è il contatto, lui la prende per mano, non impone le mani, non le fa toccare il mantello, la prende per mano e dice: “Talità kum”, che significa: “alzati”, “fanciulla io te lo dico, alzati” e subito la fanciulla si alzò …, e ci viene detto che ha 12 anni e dire l’età non è marginale, perché prima Gesù aveva incontrato una donna che soffriva di perdite di sangue, adesso incontra una ragazzina che prende per mano, che è nell’età della pubertà, cioè che non è affatto certo che sia pura, dal punto di vista di un bravo fariseo, perché ha 12 anni, non ne ha 3, non ne ha 5, ha 12 anni.

Gesù contaminato dalla donna impara il gesto di un’altra potenza, prende per mano. Veramente Gesù segue, si fa insegnare dalladonna un’altra forma, gentile, di un potere impuro.

E per questo si conclude dicendo:

43E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.

Fa due operazioni, ha lasciato la folla e dice questo è un segreto, questa è un’altra forma di potere, un potere gentile, ed è un potere che nutre, datele da mangiare, non basta guarire, bisogna nutrire.

Chiuderei dicendo che questo prendere per mano mi ha fatto venire in mente una poesia di Chandra Livia Candiani dalla raccolta “Fatti Vivo”, che se non l’avete letta leggetela, perché è bellissima, tutta la raccolta. La poesia dice: “dammi l’acqua, dammi la mano, dammi la tua parola, che siamo nello stesso mondo”. Trovo che è una poesia bellissima e che dice molto di un potere gentile, che non solo è forte, non solo guarisce, nutre, ma prende per mano.

Fossano, 20 gennaio 2024

 Testo non rivisto dall’autore

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16 Dicembre 2023
Stella Morra
3. Secondo sigillo: l’universalità, solo una parte?
Mt 2, 7-23
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3 Febbraio 2024
Stella Morra
5. Quarto sigillo: la forza, quale
2 Cor 12, 5-15
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23 Marzo 2024
Stella Morra
6. Quinto sigillo: la gentilezza, perché
Lc 1, 26-56
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6 Aprile 2024
Stella Morra
7. Sesto sigillo: le possibilità, per chi
Eb 11, 1-3.8-16.32-40
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4 Maggio 2024
Stella Morra
8. Settimo sigillo: le vite degli altri
Gv 6, 1-15
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