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17 Dicembre 2005
Stella Morra

2. LA VERITA’ DEL DESIDERIO DELLA META

Commento a: Sal 84, (83)

La Lectio del 17 dicembre 2005 non si è svolta, ma è stato comunque fornito il commento scritto al Salmo 84 (83)

Premessa

Questo salmo è un canto di pellegrinaggio, il cui contenuto è molto serio, e mi sembra il più adatto ad accompagnarci nella quotidianità della vita credente, nella fatica tipica di chi è in movimento. L’ho scelto per ricordarci che la vita cristiana non è un telefilm.

Il tema è quello del cammino; più esattamente il tema di questo salmo è quella che si chiama tecnicamente la dinamica tra presenza e assenza. La fatica di sentire presente uno che concretamente è assente; la gioia di sperimentare nell’assenza le forme della presenza. La fatica di chi ha una meta; ama la meta verso la quale cammina, ma ama anche la strada, perché è quella che lo porta verso la meta; ogni tanto si confonde un po’: ama più la strada che la meta; trova la strada pesante e si stanca, si rimette in cammino… Mi pare un salmo che ci può aiutare nel camminare, ci fa compagnia nella quotidianità.

Alcune note tecniche per entrare nel linguaggio di questo salmo.

E’ il primo di una miniserie, i salmi dall’84 all’88, detta dei “salmi coraiti”. Il salmo 84 è un canto di pellegrinaggio; poi c’è la preghiera per la pace e la giustizia, la tensione in un mondo addolorato, in una storia faticosa, dove l’unico desiderio è la pace; segue la preghiera nella prova personale, la prova del dolore; un canto su Sion, madre dei popoli, Gerusalemme, il posto dove arrivare per stare tranquilli; il salmo ottantotto, forse il più bello di questo gruppo, è una preghiera dal profondo dell’angoscia, uno dei pochissimi salmi in cui non c’è una parola di speranza: è la disperazione più nera, non c’è una parola positiva. Il grido è totalmente davanti a Dio “davanti a te grido giorno e notte … grido a te Dio della mia pace…” Ma è come se non ci fosse risposta.

Questi sono i salmi delle tensioni, del movimento, delle fatiche dei passaggi, dei mutamenti; tempi della vita in cui abbiamo alcune cose belle, ma anche un altro desiderio: vogliamo più pace, più vitalità, più allegria. Sono salmi che ci fanno compagnia, preziosi per i tempi dell’inquietudine. Non danno risposte, non cancellano l’inquietudine, ma consolano; ci dicono che, fin dai tempi più lontani, davanti al Signore ci sono degli inquieti. Lo troviamo nella Parola di Dio, dunque è un tema che ha una sua dignità, fa parte del paradigma di vita che il Signore offre ai suoi figli insieme a tutti i pezzi della vita, insieme ai salmi dell’esultanza, della richiesta di perdono…

Questi salmi di tensione usano spesso la figura della città, del baluardo, della fortezza, delle mura, della stabilità. E’ come tutte le volte in cui uno sta in un tempo di passaggio e dice: “Anche se dovesse andare male, come vorrei che questa situazione fosse risolta!” E’ faticosissimo stare nella tensione, nell’attesa, nella ricerca; stai meglio in una situazione anche non troppo serena, ma che almeno sia risolta, in cui sai come stanno le cose. E’ un discorso teorico; in realtà c’è sempre la speranza che le cose vadano bene. La sensazione della stabilità contrapposta all’instabilità ci dà un senso di riposo, di quiete, di sicurezza, di poter fare i conti. L’immagine più frequente è dunque quella di Gerusalemme come città salda, stabile, città sulla roccia, il contrario della tensione; si sta nelle mura, si sta nella casa … non c’è più niente da cercare, da aspettare!

Ci sono tutta una serie di commenti dell’ordine della psicologia del profondo su questo gruppo di salmi, perché hanno una tematica tipica: le mura, la fortezza, la casa, come contrapposizione all’angoscia del mutamento. Non a caso in questi salmi per ‘casa’ si usa sempre il termine ‘Bet’, che in ebraico antico indica casato, casa nel senso di discendenza, di lignaggio – la casa di Davide, per dire la stirpe di Davide. L’immagine di stabilità non è solo la casa nel senso delle pareti, è proprio il casato, la discendenza, la storia, le radici…

I salmi coraiti

Sono detti salmi coraiti, perché “corath”, radice ebraica, vuol dire tensione, allargamento. Sono quindi salmi della tensione, di allargamento; dal punto di vista religioso usano l’immagine della santità del tempio allargata a tutta Gerusalemme.

Mi spiego: il tempio di Gerusalemme è la presenza di Dio in mezzo al suo popolo. Le sinagoghe sono dei luoghi di studio, non luoghi della presenza di Dio. Distrutto il tempio di Gerusalemme non c’è più “Shekinà”, cioè presenza reale di Dio con il suo popolo. Il tempio era il luogo assolutamente particolare dove il cielo toccava la terra. Si diceva che nel cuore di Sion sta un monte, su questo monte Dio scende. Lì c’era il tempio.

I salmi coraiti estendono questa idea a tutta la città santa; e la città, tutta Gerusalemme, diventa la Gerusalemme ideale. Non la Gerusalemme reale, terrena, bensì quella che i cristiani chiameranno la ‘Gerusalemme celeste’. Non corrisponde alla città storica che sta in Palestina, ma è ‘il dominio di Dio sugli uomini’, dovunque essi siano geograficamente; è l’abitare di Dio con gli uomini. E’ chiaro che, per i cristiani, questo luogo è Gesù. Per questo noi diciamo che Dio è presente in tutte le chiese; non perché sono luoghi magici, ma perché, sotto la forma dell’Eucaristia, c’è Gesù, e Lui è l’espressione di questa universalità dell’abitare di Dio nel mondo. Poiché nell’Eucaristia noi abbiamo la presenza di Gesù in ogni chiesa, diciamo che in ogni chiesa c’è la presenza di Dio. Non è un ritorno moltiplicato all’idea del tempio, – c’è il tempio, noi abbiamo tanti templi – no, è una universalizzazione. Dal tempio, attraverso questi salmi coraiti, si allarga a tutta la città, che diventa l’immagine della Gerusalemme celeste e non più un luogo geografico; questo desiderio, espresso dai profeti, si realizza in Gesù, quindi Dio abita con tutti gli uomini perché prende carne umana, comune, e la presenza di Gesù con noi nell’Eucaristia fa sì che Dio abiti nei luoghi dove noi viviamo.

Questo è il desiderio che passa per i salmi coraiti: la grande tensione è stare con Dio! E Gerusalemme non è solo immagine psicanalitica, immagine di stabilità, casa, difesa, casato, tradizioni…- questa c’è; è la dinamica esistenziale nostra, è quella che ognuno di noi pensa quando è inquieto e sogna di avere un posto suo, tranquillo, dove chiudere la porta e … lasciare tutto fuori … in realtà se uno è agitato dentro, difficilmente trova la pace chiudendo una porta – c’è di più, c’è l’immagine religiosa. Questo luogo, questa stabilità, – casa, mura, città – è la città di Dio!

Faccio un esempio legato alla vita amorosa, che in genere è più semplice da capire. Tutti gli adolescenti passano la fase di ‘vado a vivere per conto mio’, – che vuol dire: ho un posto mio, dove nessuno mi controlla se telefono, se torno tardi, cosa mangio… – senza tener conto che questo comporta il dovere di pagare un affitto, bollette.… Su questa situazione reale, non si va a vivere per conto proprio, perché si ha il desiderio di una casa, ma è un desiderio di difficile realizzazione quando si scontra con la realtà. Quando poi uno cresce, decide di sposarsi, metter su casa; è più o meno lo stesso desiderio che aveva espresso da adolescente, ma il suo pensiero cambia: non desidera più un luogo dove essere ‘libero’, ma pensa alla casa come luogo che ‘ci’ accoglie, accoglie due persone nella loro relazione.

C’è dunque il desiderio di Gerusalemme quasi come luogo di difesa dal mondo, ma c’è un secondo livello, quello religioso: Gerusalemme come luogo dove abito con Dio e dove tutti i popoli della terra sono invitati. Non è più un luogo di difesa, bensì un luogo di esibizione, dove si mostra la ricchezza del proprio amore.

Queste due componenti sono sempre presenti insieme e sempre in conflitto, esattamente come per noi. Nel nostro tempo di angoscia normalmente, se siamo credenti, da una parte avremmo il grande desiderio di una difesa, – se Dio tirasse su un muro e lasciasse fuori tutte le difficoltà! – e dall’altra avremmo il grande desiderio di una rivincita: il poter mostrare che non ci siamo sbagliati, che l’aver creduto in Dio è una cosa seria. Essere fieri non tanto per mostrarlo agli altri quanto, inconsciamente, per mostrarlo quasi a noi stessi … esattamente il contrario dell’atteggiamento difensivo!

Questa è la dinamica della presenza-assenza: tanto mi scoccia che Dio non ci sia, non sia visibile, non si mostri, e vorrei fosse presente per me, per coccolare me, per difendere me, per lasciare fuori tutti gli altri, tanto mi scoccia che sia assente perché pare che io mi sia sbagliato, faccio la figura del credulone. Questi sono i due livelli del salmo.

Salmi cosmici e storici

Questi salmi, e in particolare questo, l’ottantaquattro, sono molto importanti  per la nostra vita quotidiana, per la fatica del pellegrinaggio: sono in genere dei salmi insieme cosmici e storici.

I bei salmi cosmici: “Signore mio Dio quanto è grande il tuo nome su tutta la terra” sulla natura, sulla creazione sono stupendi; in certi momenti ci fanno bene al cuore, ma spesso per noi sono più un desiderio che una realtà. Sono belli, sereni, luminosi, ma in realtà, nel quotidiano capita raramente il dono di veder la natura così bella. 

I salmi storici in genere sono più realistici, ma meno piacevoli; sono pieni di dolori, di litigi, di guerre e somigliano di più alla nostra vita, che nel quotidiano non è bucolica, tranquilla, luminosa e piacevole.

I salmi coraiti in genere tengono insieme il Dio come Dio cosmico, il Signore degli eserciti (in ebraico si dice El Shaddai che vuol dire il Dio delle montagne, delle alture, ed è tradotto Dio degli eserciti perché, di per sé, è il Dio che detiene le alture e nell’arte militare antica, per i metodi di combattimento conosciuti, chi stava in alto aveva il novanta per cento delle possibilità di vincere) il Dio che detiene le alture, che ha tutti i posti in alto, era il Dio degli eserciti, colui che aveva vinto tutte le battaglie e si era assicurato tutti i posti strategici – C’è questo Dio delle alture, dei monti, Dio cosmico, vittorioso e sereno, e insieme ci sono tutte le beghe, le questioni, le fatiche. C’è la dimensione cosmica del rapporto con Dio, il Dio magnanimo – dalla grande anima -, e poi c’è tutta la fatica quotidiana del vivere.

Dal punto di vista tecnico questo testo è molto problematico, perché, avendo una vitalità molto forte, spesso è stato adattato, nel senso che, dentro una storia esistenziale, se un copista non capiva una parola perché non gli tornava nella sua storia biografica, la cambiava e la adattava alla sua storia, per cui abbiamo una serie di manoscritti molto precari. Inoltre questo salmo stava sull’ultimo pezzo di uno dei rotoli di Qumran, -i salmi che stavano all’inizio del rotolo sono i più protetti – ed è stato mangiato dai topi, per cui molte righe sono scomparse. E’ il destino dei manoscritti antichi. In più, siccome i rotoli si aprivano tenendo il capo e srotolandoli, il punto dove si metteva il dito si consumava di più, ed era più fragile. I versetti sei e sette, a metà del testo, sono completamente congetturali perché stavano nel punto dove si metteva il pollice per aprire il rotolo. C’è quindi un problema di interpretazione e di ricostruzione materiale del testo.

In più è un testo difficilmente databile perché è molto esistenziale, ma poco storico; non si nominano fatti o persone che consentano di stabilire la data. Ci sono molte ipotesi, che vanno da una datazione precedente all’esilio, VIII-IX secolo avanti Cristo, fino ad una datazione post-esilio, dell’epoca di Esdra, o di Giosia o della riforma deuteronomista, II secolo avanti Cristo, un arco di sei secoli.

Questo depone a favore di un’interpretazione fortemente esistenziale di questo salmo: va bene per tante epoche. E’ difficilmente databile, perché questo desiderio, questa tensione accomuna gli uomini di molti secoli diversi. Potrebbe essere datato anche nel duemila dopo Cristo!

Canto della soglia

Quanto al genere letterario si trova dentro un po’ di tutto: il tono dell’inno, le motivazioni delle lamentazioni individuali, le benedizioni, la preghiera per il re, la liturgia d’ingresso… I testi che hanno queste caratteristiche vengono chiamati cantici di Sion, cioè canti che hanno origine diversa – individuale, collettiva, liturgica, possono nascere da un episodio particolare, o essere una riflessione quasi di ordine filosofico – che la fede ebraica ha assunto come canti da utilizzare in modo liturgico, come ingresso alla casa di Dio nel pellegrinaggio annuale al tempio.

Non sappiamo in quale occasione sia nato un canto come questo, ma sappiamo che la fede di un popolo credente l’ha riconosciuto come testo liturgico per entrare al tempio, cioè un canto della soglia, del passaggio. Io se dovessi dare un titolo ad un salmo come questo lo chiamerei il canto della soglia. E vi consiglierei di cercare nei vari testi dell’antico e del nuovo testamento tutte le volte che compare questo tema della porta, della soglia.

Vi richiamo due o tre testi, tanto per dirvi tre usi di questa immagine: l’angelo con la spada di fuoco posto sulla porta del paradiso; Anna e Simeone invecchiano sulla soglia del tempio attendendo il bambino Gesù; Gesù che dice ‘Io sono la porta’.

Una delle cose su cui amo molto meditare è l’esperienza della fede come esperienza di un transito, di un passaggio. Nella tradizione cristiana si è spesso insegnato che siamo di passaggio sulla terra: questa è una valle di lacrime. E’ un modo di pensare il passaggio – è una visione un po’ pessimistica.

Cos’è l’esperienza di un passaggio nella nostra vita? Quali sono le esperienze che per noi sono state dei passaggi, delle soglie, delle porte? Quanta paura ha uno ogni volta che deve passare una porta sconosciuta e non sa cosa troverà dall’altra parte? Quanta paura avevamo da bambini ad aprire delle porte che davano su locali per noi non consueti? E contemporaneamente, quanti mondi nuovi ci si aprono ogni volta che apriamo una porta sconosciuta! Spesso quello che troviamo di là ci fa iniziare un gioco da capo, un’altra storia.

Pensate: uno dei primi segni del peccato è un angelo di fuoco posto davanti ad una porta! Cioè una delle prime conseguenze del peccato è non poter più passare soglie, non avere più la gioia dei passaggi, è la tendenza a stare fermi dove si è, perché l’angelo preclude le porte! E Gesù ci riapre le porte del paradiso, ci viene dato di nuovo di passare, di andare oltre.

In questo senso è un cantico di Sion: la fede di un popolo credente ha riconosciuto in questo testo un cantico della soglia, della porta. E proprio perché è un salmo del passaggio, è un salmo molto mobile, che si può leggere di qua o di là dalla porta, mentre si passa… ed ha toni diversi. Lo possiamo leggere con la paura di chi non sa ancora dove andrà, con la gioia di chi ce l’ha fatta a passare da un’altra parte, con lo sperdimento di chi sta lì a metà…

Dicevo prima, c’è un problema testuale abbastanza serio, in particolare sui versetti 6-8, di cui vi dò la versione attualmente più conosciuta, un po’ diversa da quella che trovate sulla vostra Bibbia.

Beati gli uomini il cui rifugio è in te,                      Beato chi trova in te la sua forza

e i tuoi sentieri sono nel loro cuore.                       E decide nel suo cuore il santo viaggio.

Attraversando la valle di Bakra                            Passando per la valle del pianto

la trasformano in un luogo di sorgenti,               la cambia in una sorgente

anche la prima pioggia                                            anche la prima pioggia

l’ammanta di benedizioni.                                      l’ammanta di benedizioni.

Essi camminano di baluardo in baluardo         Cresce lungo il cammino il suo vigore,

Il Dio degli dei appare in Sion.                              finchè compare davanti a Dio in Sion.

Bakra è un luogo geografico, indica la valle del pianto, luogo di una sconfitta, uno dei pochi nomi propri di questo salmo. La tradizione cristiana prende di qui l’espressione ‘valle di lacrime’, che ha avuto grande fortuna dal cinquecento in poi, per indicare tutto il pellegrinaggio sulla terra. E può voler dire un posto dove si piange, ma anche l’immagine del postaccio più orrendo che il salmista conosceva, che era la valle di Bakra.

“Il Dio degli deiè stato mutato perché fa venire in mente il politeismo.

Vi do anche questa versione perché è la più esegeticamente probabile; secondo me ha una forza diversa, è più concreta, meno religiosa. Usa il nome proprio di un luogo, dice il Dio degli dei, che è l’espressione di un’iperbole, una esagerazione.

…basta poco

Il riferimento alla prima pioggia allude alla pioggia d’autunno. In un terreno desertico, come è quello di Israele, la prima pioggia in genere cade per breve tempo su un terreno desertico e non succede niente; solo con la seconda pioggia, quella dell’inverno, un mese intero di piogge, la terra riesce a riprendere vigore. Qui si dice: “…anche la prima pioggia l’ammanta di benedizioni…”. Traduzione: quando si sta per passare basta poco! Quando sei arrivato alla porta ed hai la sensazione che non ce la farai mai, il grosso dello sforzo è già fatto, basta un passo solo.

“Attraversando la valle di Bakra la trasformano in un luogo di sorgenti, anche la prima pioggia l’ammanta di benedizioni”. E’ un versetto che a me fa molta compagnia perché dice: il più è fatto! Bastano due gocce di pioggia e si vedranno spuntare erba e fiori e si raccoglieranno i frutti! Quando sei arrivato fino alla soglia l’ultimo passo è in genere il più pesante, ma anche uno solo; ne hai fatti migliaia per arrivare fino lì, nel tuo tempo di mutazioni!

La struttura del testo: tre strofe: i versetti due-quatto; cinque-nove; dieci-tredici, scanditi da Javhè degli eserciti. C’è quattro volte Javhè degli eserciti, quattro volte solo Javhè e quattro volte Elohim. Dodici volte il nome di Dio in tredici versetti. Quattro volte è il Dio che ha preso la sommità della montagna, quattro volte Dio, e quattro volte Elohim, che è il nome generico.

La casa, l’itinerario, l’intimità

 

Versetti 2-4.

Il tema sono gli atri, gli altari, la casa.

“Quanto sono amabili le tue dimore,

Signore degli eserciti!

L’anima mia languisce

e brama gli atri del Signore.

Il mio cuore e la mia carne

esultano nel Dio vivente.

Anche il passero trova la casa,

la rondine il nido,

dove porre i suoi piccoli,

presso i tuoi altari,

Signore degli eserciti, mio re e mio Dio.”

Versetti 5-9.

L’itinerario per arrivare lì, all’intimità; il fidanzamento per arrivare ad un matrimonio, se volete.

“Beato chi abita la tua casa:

sempre canta le tue lodi!

Beato chi trova in te il suo rifugio

e decide nel suo cuore il santo viaggio.

Passando per la valle del pianto

la cambia in una sorgente,

anche la prima pioggia

l’ammanta di benedizioni.

Cresce lungo il cammino il suo vigore,

finchè compare davanti a Dio in Sion.

Signore, Dio degli eserciti, ascolta la mia preghiera,

porgi l’orecchio, Dio di Giacobbe.”

Signore Dio degli eserciti, mio re e mio Dio, nell’intimità; Signore Dio di Giacobbe è il Dio del cammino che ha accompagnato tutto il popolo, tutta la casa.

Versetti 10-13.

Tra il cammino e l’intimità, c’è quell’attimo dell’ultimo momento.

“Vedi, Dio, nostro scudo,

guarda il volto del tuo consacrato.

Per me un giorno nei tuoi atri

è più che mille altrove,

stare sulla soglia della casa del mio Dio

è meglio che abitare nelle tende degli empi.

Poiché sole e scudo è il Signore Dio;

il Signore concede grazia e gloria,

non rifiuta il bene

a chi cammina con rettitudine.

Signore degli eserciti,

beato l’uomo che in te confida.”

L’invocazione è universale: chiunque in te confidi! – non è più il Dio di Giacobbe- perché tutti hanno un tempo in cui stare sulla soglia, anche se non è Dio che li ha accompagnati fino lì.

Questi tre tempi sono la grande strofa dell’arrivo. Va al contrario, ha un’andatura cronologica scompaginata: la strofa del cammino che si guarda indietro e riconosce la storia dei padri, della tradizione, del casato, di Giacobbe, e poi la grande strofa della soglia, dell’attimo fatale che è universale: beato l’uomo che in te confida.

Qualche osservazione sulle parole del testo.

“Quanto sono amabili le tue dimore Signore degli eserciti. L’anima mia languisce e brama gli atri del Signore. Il mio cuore e la mia carne esultano nel Dio vivente”.

L’anima, il cuore, la carne. L’anima brama gli atri del Signore, il cuore e la carne esultano nel Dio vivente. E’ molto bello. L’anima – noi oggi la chiameremmo la psiche – brama una casa, la stabilità; il cuore e la carne bramano una persona, il Dio vivente… che abiti questa casa!

Penso che noi spesso facciamo confusione su queste dimensioni dei nostri desideri; desideriamo stabilità, e a volte siamo disponibili a sacrificare un amore per una stabilità; o desideriamo un amore e a volte siamo disponibili a sacrificare la stabilità. Raramente abbiamo il coraggio di cercare tutte e due le dimensioni insieme. Questo salmo ci invita a cercare in Dio due cose: la vitalità, la forza di un Dio vivente – che chiede continuamente azioni, come un rapporto vivo che ci chiede di essere sempre attenti, vigilanti, nuovi – e insieme la stabilità di una casa. E’ una delle pretese apparentemente impossibili del .cristianesimo.

Poi c’è la bella immagine, quasi francescana: “Anche il passero trova la casa, la rondine i piccoli per porre i suoi piccoli presso i tuoi altari”. Su questo versetto sono state scritte migliaia di pagine. Anche nel discorso di Matteo 5, sulla provvidenza, i passeri rappresentano la cosa di poco conto, irrilevante; nella terra dell’ebreo coltivatore, i passeri danno solo fastidio, perché portano via le sementi, non sono buoni da mangiare; insieme sono abitanti del cielo, belli, lievi, mobili,molto leggeri, non hanno la pesantezza della vita della terra. Anche loro, inutili e leggeri, trovano casa nella stabilità di Dio.

Se volete, lo traduciamo in termini più moderni, più esistenziali: la stabilità di cui Dio ci parla non è staticità! Non è diventare vecchi borghesi in pantofole e televisione, ma è la stabilità di un piccolo nido, di un essere inutile e leggero che rimane molto libero, a cui Dio non mette confini. I salmi funzionano per immagini e non per concetti, per cui concedetevi il lusso di far funzionare le immagini dentro di voi. E’ chiaro che poi, quando funzionano, diventano le vostre immagini, non sono più quelle del salmo, non c’entra più l’autore. In genere i salmi hanno una grande sapienza, usano immagini che in sé danno una certa direzione. Certo l’immagine di un uccello del cielo non darà un’immagine di staticità, pesantezza, ma di ampi orizzonti, di inutile girare.

Rimanere o passare

“Beato chi abita la tua casa: sempre canta le tue lodi! Beato chi trova in te il suo rifugio e decide nel suo cuore il santo viaggio. Passando per la valle del pianto la cambia in una sorgente, anche la prima pioggia l’ammanta di benedizioni”.

Chi sta e chi passa. Io ho qui un bel territorio di riflessione. Cosa vuol dire stare? Dove si sta e perché si sta? Io trovo sempre più simpatico e semplice per me passare nel senso che, come ripeteva un mio amico di New York, ‘sono solo in visita in questo pianeta’; e mi pare già una bella cosa: sono di passaggio! Viaggiatore interessato, che studia le abitudini locali, ma come per dire, io non c’entro. La mia tendenza perenne sarebbe quella di essere uno che passa, che è solo in visita su questo pianeta. Questo ha una fondo di verità: è vero che noi siamo solo in visita su questo pianeta. E’ anche vero, però, che se uno non impara a stare da qualche parte, perlomeno presso se stesso, qualche problema se lo trova, nel senso che se uno continua solo sempre a passare ad un certo punto non sa più chi è. Mi pare che sia un buon tema di riflessione per adulti; “rimanere o passare”. C’è nel vangelo di Giovanni, che dice “rimanete in me”, tutto il tema del rimanere.

In questo salmo si dice che contano tutte e due le cose; io credo che sia molto vero, non solo dal punto di vista cristiano, ma anche di una normale salute psichica. Uno deve essere capace di passare e capace di stare. Qui si dice: “beato chi sta nella tua casa e trova in te il suo rifugio e decide nel suo cuore il santo viaggio”. Chi ha deciso il suo viaggio passa per un posto schifoso che trasforma in sorgenti… Se uno ha il coraggio di passare basta poco perché tutto diventi benedizione, “l’ammanta di benedizioni”. Uno che passa, che decide il santo viaggio, come Tobia, può benedire, dire bene di un luogo schifoso, perché è beato chi abita la tua casa, chi rimane con te.

“Vedi Dio nostro scudo, guarda il volto del tuo consacrato”.

Qui, per favore, non vi distragga il tono un po’ guerresco; questo è un tema totalmente amoroso. Nei più antichi tempi di Israele, l’abito da sposo era l’abito da guerra. L’accoppiamento di forza, di vigore, l’abito da guerra, come immagine di conquista, nel rapporto matrimoniale – a noi può dare fastidio perché non appartiene più alla nostra cultura – intende il Dio pronto per le nozze, il Dio forte e potente. Infatti dice “guarda il volto del tuo consacrato”. Non si sta parlando di una guerra. Il volto non è il luogo di comunicazione della guerra, bensì di un’altra comunicazione. In tutto l’antico oriente c’era la credenza magica che se uno uccideva un nemico in guerra e lo guardava in volto, il fantasma del morto lo avrebbe tormentato per sempre; come a dire che in una guerra uno combatte per una ragione di stato, non ha un problema con una persona, non uccide per cattiveria.

“Per me un giorno nei tuoi atri è più che mille altrove, stare sulla soglia della casa del mio Dio è meglio che abitare nelle tende degli empi”.

Su questi versetti penso al racconto di Luca 2,22-38, Anna e Simeone, che vi consiglio di leggere. Mi richiama la figura di questi due personaggi, invecchiati negli atri del tempio, sulla soglia della casa di Dio ad aspettare un passaggio; avevano ormai ottantaquattro anni, sembrava non arrivasse più.

“Poiché sole e scudo è il Signore Dio; il Signore concede grazia e gloria, non rifiuta il bene a chi cammina con rettitudine”.

A chi cammina. Per me un giorno nei tuoi atri è più che mille altrove. Stare sulla soglia della casa del mio Dio. Dio non rifiuta il bene a chi cammina con rettitudine.

Sarà stare o sarà camminare?

Signore degli eserciti, beato l’uomo che in te confida.

Fossano, 20 maggio 1995

Lectio 2005/2006

DataTitoloCommento a:
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