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18 Febbraio 2006
Stella Morra

4. DUE STRANI VIAGGI

Commento a: Mt 2, 1-23


Premessa

Con la lectio di oggi facciamo un passo indietro nel tempo liturgico; il racconto del viaggio dei Magi e della fuga in Egitto ci fa tornare al tempo di Natale.

Stiamo ragionando sul tema del viaggio; i primi tre testi, dell’Antico Testamento, ci hanno dato il profilo delle dimensioni profonde, umane di un possibile viaggio legato al tema del desiderio, del non essere soli durante il viaggio, dell’aspettare strade appianate.

Già nel primo incontro abbiamo detto che il viaggio è un tema visitato da poeti, letterati, romanzieri, pittori perché è una dimensione profondamente umana che attraversa tutte le culture. Abbiamo deciso di dedicare alla parte più descrittiva del viaggio solo l’inizio del nostro percorso poiché possiamo trovare da tante parti spunti o idee per comprendere a fondo qual è, all’interno di ciascuno di noi, il movimento che ci muove verso il viaggio,

Nella seconda parte cercheremo di passare ad una dimensione più specifica del viaggio, per approfondirlo più dal punto di vista cristologico. Così come nell’annuncio evangelico, nella novità introdotta da Cristo, nei suoi gesti, nella sua vita e nelle sue parole questi viaggi prendono anche altri segni, altre direzioni. Nella vita di Gesù le dimensioni umane ci sono, non sono mai negate o cancellate, ma sono assunte e trasformate. Gesù è un uomo come noi, dunque vive, subisce e sceglie in prima persona come noi le cose che gli uomini e le donne di ogni tempo vivono, subiscono e scelgono; contemporaneamente, però, Lui non è ‘solo uomo’ e il suo assumere le dimensioni umane le attraversa, le compie e le trasforma in un segno – in teologia si dice sacramento – di qualche cosa che le cose non mostrano ancora ma che, noi crediamo, tutti mostreremo nell’ultimo giorno.

Non è solo un dato teorico, è fondamentale. Faccio, come al solito, delle traduzioni un po’ da cartone animato, così ci capiamo. Spesso abbiamo l’idea inconscia che l’essere cristiani, il centro, lo specifico del cristianesimo sia un contenuto piuttosto che un altro. E facciamo delle classificazioni: i cristiani fanno così; i non cristiani, gli induisti, i buddisti, i musulmani in altro modo. Ci chiediamo: in che cosa ‘il mio essere cristiano’ in politica, sul lavoro, in famiglia, mi differenzia? Dove si vede la diversità rispetto a chi non è cristiano? In genere sono ragionamenti molto faticosi; uno passa il tempo a discutere su molti comportamenti, scelte, modi di fare propri e altrui, e conclude prendendo atto che a volte chi non crede è migliore. Il succo di tutta la faccenda, alla fine è: i cristiani dovrebbero essere più bravi degli altri; ma dato che questo non è sempre vero, i cristiani sarebbero quelli che desiderano essere più bravi degli altri. Tradotto, significa che ‘proprio dei cristiani’ sarebbe essere secchioni, essere i primi della classe a tutti i costi.Ma è un ragionamento che alla fine non torna.

Questa domanda: dove sta il ‘proprio del cristianesimo’? Che cosa vuol dire quello slogan che ripetiamo senza sapere bene che cosa significa: E’ cristiano chi segue Gesù!? Ci sono dei contenuti che i cristiani hanno e gli altri no? Questa è una questione seria, perché non solo conforma i comportamenti personali, fa sì che io mi comporti in un certo modo, ma è seria anche perchè conforma le chiese, il modo in cui pensiamo il cristianesimo nel mondo, il modo di rapportarsi agli altri…

La legge dell’incarnazione

Io credo che il proprio del cristianesimo stia in quelle cose che dicevo prima, e che riprendo. Teologicamente si dice che il proprio del cristianesimo è nella dinamica dell’incarnazione. Cioè non è un contenuto, nel senso di un tema, una questione, un dato etico, ma è in un ‘metodo’, in uno stile che è stato per primo agito da Dio nei nostri confronti in Gesù e che dunque deve essere agito da noi nella nostra vita. Questo stile, questo metodo, questa dinamica è quella dell’incarnazione: Gesù, pur essendo divino, non rifiuta, non cancella niente di ciò che non era suo, che era umano, non lascia cadere niente, ma assume tutte queste cose e le fa lievitare secondo la loro legge, non secondo la sua legge. Le fa crescere per farle fiorire secondo come sono fatte.

Questa è la legge degli amori veri. Se una persona ha un amore felice non ha più problemi o meno, non li risolve in modo magico, non diventa un’altra persona, ma chi è amato diventa ‘un sé’ che fiorisce secondo la propria logica. Questa è anche la durezza degli amori, perché trovare la misura per cui io posso guardare l’altro volendogli bene e lasciandolo fiorire secondo la sua logica, è sempre un passaggio complicato.

La legge dell’incarnazione è abitare dentro, assumere e far fiorire secondo la legge interna in una fiducia di fondo che il Dio che ha creato tutte le cose le ha create bene e che dunque, se tutte le cose fioriscono ciascuna secondo la propria logica, fioriscono bene. Dio le ha create secondo delle logiche buone, fioriscono come nel paradiso terrestre.

I testi del Nuovo Testamento che ci accompagneranno da qui alla fine, vanno in questa direzione: ci fanno intravedere come Gesù, la sua vita, i suoi atti attraversano i temi del desiderio, del viaggio, delle separazioni e le fanno fiorire in un modo che di per sé era inaudito ed inatteso da quelle cose in sé, in un modo che era loro proprio, ma che non si potevano dare da sole.

Viaggi e sogni

Il testo di oggi, dal Vangelo di Matteo, è un vero racconto di viaggio. Lo leggiamo come un racconto da bambini, quasi come una favola: ci sono i personaggi del presepio, c’è un lieto fine, ce l’abbiamo negli occhi, più che nelle orecchie, ma è pieno di parole di viaggio, è tutt’altro che un racconto per bambini. Facciamo molta fatica a leggerlo veramente per quello che è. E’ una favola per adulti, come il piccolo principe, un racconto che dice delle verità profonde sull’esistenza delle donne e degli uomini adulti.

Questo testo è pieno di verbi di viaggio e di sogni. E’ pieno di separazioni, partenze, gioie, tristezze, paure, di tutto ciò che fa la miscela della vita umana; è come se fosse concentrato tutto in questo breve testo: si nasce,…. si muore. C’è il dolore ingiusto ed innocente dei bambini uccisi al posto di Gesù. C’è la grande gioia dei Magi per aver trovato quello che cercavano. La grande gioia della vita è trovare quello che cerchiamo!…- il che significa sapere quello che cerchiamo, ed è un bel problema. C’è la paura e la protezione di Giuseppe vecchio padre che salva i suoi… In quaranta righe ci sono tutti gli elementi portanti dell’esistenza.

E’ ben curioso: tutto ciò che riguarda l’esistenza sta in mezzo ai viaggi, non sta fermo. Noi abbiamo la sensazione che la nostra vita sia ferma perchè vediamo un fotogramma alla volta. Vediamo la foto di quella settimana, di quell’anno, di quel periodo e diciamo: è stato terribile! Adesso vedrai; queste settimane sono ancora un po’ caotiche, ma appena avrò un po’ di calma ci vedremo. Il che vuol dire, di solito, che passano due o tre anni prima che ci vediamo. Perchè tutti siamo in attesa che accada una cosa che non arriva mai e vediamo solo il fotogramma del momento, che in genere è pesantissimo.

Quello che non vediamo è la vita vera. Non vediamo la dinamica, che siamo sempre di passaggio da un fotogramma ad un altro, e che ogni luogo, ogni sentimento, ogni dolore, ogni gioia in cui siamo nel momento in cui lo proviamo è già da lasciare, è già accaduto e ci chiama già altrove. C’è un dolore che ci chiama a scommettere sulla vita oltre il dolore stesso; se c’è una miopia quella ci chiama a non tentare di capitalizzarla, ma continuare a vivere.

La vita è un viaggio! Tutte le dorsali fondamentali della vita stanno in quaranta righe, sono poche, essenziali e tutte inframmezzate da viaggi. Questi vanno e vengono in continuazione. Il vangelo di Luca ci presenta tutta la vita pubblica di Gesù come la sua salita a Gerusalemme, il suo cammino verso Gerusalemme.

Il primo elemento che ci viene provocato rispetto al modo stesso in cui inizia la vita di Gesù è: attenti non siamo noi che abbiamo un desiderio di viaggio. Noi che siamo lì, piantati sui nostri piedi e pensiamo di farcela ad andare, desiderare, ma siamo noi in viaggio. Non è una scelta. I viaggi materiali, quelli che ci portano in un altro luogo sono solo il segno, il sacramento che noi siamo in viaggio. Tra l’altro, i cristiani questo l’hanno sempre saputo, hanno sempre chiamato pellegrinaggio terreno la vita storica. Ed hanno sempre pensato che la loro patria era altrove. Ed hanno sempre chiamato la morte riposo eterno, quando uno finalmente sta fermo. In un modo un po’ inquietante per la nostra cultura che ha paura della morte, ci hanno sempre detto noi siamo, in quanto siamo in viaggio.

Lontani e vicini

Altro aspetto curioso, di ordine generale: rispetto a questi strani viaggi ci sono due soggetti particolari: i Magi e Giuseppe. Paradossalmente, rispetto a Gesù nella sua forma storica di bambino appena nato, sono i più lontani e i più vicini. I Magi sono l’esotico, i re persiani venuti dall’oriente, il principe azzurro, l’immagine di ogni possibile esotica lontananza, di quanto di più diverso, astruso; sono la sapienza che viene da altrove, i gentili, i non appartenenti alla stessa religione, non appartenenti a niente… Magi. E, dall’altra parte, Giuseppe, che tutti i Vangeli ci presentano come l’ultimo giusto del Nuovo Testamento, l’ultimo che sogna come nel Vecchio Testamento, l’ultimo della stirpe dei sognatori che inizia da Giuseppe l’egiziano. Da lì in poi, da Giuseppe l’egiziano a Giuseppe, padre di Gesù che sogna e interpreta sogni, c’è tutta una lunga preparazione: i giusti, i buoni, coloro che fanno del loro meglio e che sono premiati nel fare del loro meglio da essere posti a guardia di questo piccolino che cambierà, anzi, che sta cambiando il corso della storia. Ad essere così vicini da vederlo crescere, da sentire la gente che dice: non è costui il figlio di Giuseppe il falegname? come viene riportato dai vangeli.

I più lontani e i più vicini; i più estranei, i più esotici, ed i più normali. Tutti e due sono chiamati esattamente alla stessa cosa, e tutti e due sono chiamati senza preavviso, presi da dove sono, spostati, turbati da quello che avevano organizzato. E’ interessante. Solo Gesù riesce a far fare la stessa cosa ai più lontani e ai più vicini. A noi non viene mai così bene.

Traduco: ognuno di noi ha sempre questa oscillazione tra il fuori e il dentro, tra l’occuparsi degli altri e l’occuparsi di sé, tra le proprie fasi riflessive e quelle produttive, tra il vicino e il lontano, tra il nuovo e il conservare l’antico, tra lasciarsi turbare da ciò che accade e conservare, rimanere saldo in quello che si è, si è pensato, si fa. Noi abbiamo sempre queste due facce, il fuori e il dentro. Il conservare e il rischiare, il raccogliere e il seminare…

I magi e Giuseppe: la tradizione antica e la sapienza che viene da fuori. Quello che mi sta vicino, che è solido e rassicurante, e quello che viene da lontano, porta ori, mirra, incenso, è bello, ma anche inquietante. Tra il fascino di ciò che muta, cambia, innova, dà nuove strade e la fedele continuità.

Noi in genere fatichiamo a tenere insieme questi due pezzi. Quando ci sbilanciamo a cambiare, saremmo tentati di buttare via tutto quello che è dentro, quello che è vecchio, conservato; quando invece decidiamo di conservare abbiamo grande diffidenza rispetto al nuovo. Questo ci accade nelle varie fasi della nostra vita, per cui da giovani si cambia di più, da vecchi di meno; da giovani si è più proiettati verso il futuro, da vecchi verso il passato e la memoria, ciò che è stato… C’è differenza anche da persona a persona. Tra noi ci sono quelli più esotici, sempre più attratti da una nuova questione e quelli più conservatori, pacati, calmi che tendono a stabilire, a pianificare tutte le cose della loro vita…Ci è molto difficile mettere in viaggio tutte e due queste parti contemporaneamente.

Questo bambino che nasce ci dice che se non viaggiano tutte e due le parti, se non viaggia il fuori e il dentro, se non si muove il nuovo e l’antico, l’attenzione agli altri e l’attenzione a sé, se non si muovono tutte e due insieme, non succede niente di vero! Succedono solo dei cambiamenti di facciata, delle sceneggiate come quelle di Erode, che in genere producono dolore innocente! E’ buffo, perché anche Erode vuole mettere insieme ciò che ha e ciò che la novità gli porta attraverso la bocca dei Magi, ma lo vuole mettere in moto in modo che nessuna delle due cose cambi, che nessuno dei due viaggi. Il risultato è l’uccisione degli innocenti!

Vedere i segni

A me piace moltissimo il versetto 2, un po’ perchè mi chiamo Stella, sento la mancanza di un santo di cui portare il nome, quindi ho eletto come santo di protezione la stella dei magi, – che mi sembra una bella idea – ed un po’ perché trovo che questo versetto sia un capolavoro, di grande bellezza.

“Dov’è il Re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo. All’udire queste parole, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme”.

I Magi sono persone per bene, con gli occhi aperti, scrutano i cieli, cercano segni, hanno desideri e dunque hanno visto sorgere la stella. E’ il passo numero uno per essere gente per bene: vedere i segni! Vedere quello che accade, guardare la storia, vedere il tempo, gli accadimenti, gli altri, quali stelle sorgono. Ma i Magi sono per bene sul serio! Non solo hanno visto sorgere la stella, cioè hanno riconosciuto nella loro storia un segnale, ma si sono messi in viaggio, con tutta la fatica che questo comporta, e sono anche venuti con retta intenzione per adorarlo! Risultato di questa operazione tutta giusta, anzi più che giusta… un premio? No! Una domanda: “Dov’è il re dei Giudei?”. Il risultato di una vita che vede le stelle e si muove per viaggiare e con retta intenzione, è una domanda, non una risposta!

Questo versetto, secondo me, è incredibile, è di una bellezza, di una consolazione, di una lucidità incredibile. C’è qui il nostro grande inganno, quello per cui noi diciamo: Ho deciso di essere cristiano, ho cercato di comportarmi meglio che potevo, e adesso non mi danno dieci? Io credo che qui ci sia la fioritura della vita tipicamente cristologia, che ci sarà continuamente ripetuta nel vangelo fino alla croce. Ma noi abbiamo fatto tanta bella poesia sulla croce di Gesù Cristo per cui non la vediamo più, l’abbiamo ben esorcizzata. In passaggi come questi la vediamo meglio, ci prende un po’ alla sprovvista perché, avendo questo tono da racconto per bambini, non l’abbiamo raffreddata, non l’abbiamo cancellata, quindi ti piglia alla gola.

“Abbiamo visto la stella”. Hanno ben interpretato quello che accadeva, hanno guardato il cielo. Ci sono tanti dipinti che rappresentano i Magi nell’atto di scrutare il cielo notturno, a cercare i segni: hanno visto la stella e l’hanno ben interpretata. Hanno avuto il coraggio di mettersi in viaggio; l’hanno fatto con retta intenzione, per adorare il bambino, e ciò che raccolgono è una domanda: “Dov’è il re dei giudei?”

Di fronte a loro ci sta la reazione, I Magi sono la stella per Erode, il segnale, il versetto seguente dice: “all’udire queste parole il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme”. Questo versetto è doppiamente incredibile: turbato. I segnali che ci raggiungono ci turbano, nel senso che ci squilibrano, ci richiedono di uscire dal luogo in cui siamo. E pochi versetti dopo Erode dirà: “Andate”. Lui non si mette in viaggio. Dice loro: “Andate, … poi venite a riferirmi” e così spezza la logica: la sua intenzione è di uccidere il bambino, non di adorarlo. E questo frutterà dolore.

Io mi chiedo abbastanza spesso da dove arrivano i miei dolori. In genere la prima spiegazione è che la colpa è di qualcuno; in prima battuta di qualcun altro; il passaggio successivo è di ammettere, forse, anche un po’ di colpa mia. Facciamo una serie di ragionamenti sempre legati alla colpa. I nostri dolori normalmente nascono dal non aver visto le stelle, dall’essere stati turbati senza aver avuto la capacità di mettersi in viaggio per adorarlo, dall’aver provato a difendere ciò che avevamo acquisito invece di farsi condurre da una stella.

Questo versetto mi ricorda un film, “Viaggio in Inghilterra”, che riprende la stessa questione: il nostro premio è una domanda. Ed è un altro viaggio. Per chi è cristiano è molto chiaro, è così, perché la nostra unica patria è il cielo; l’unico posto in cui potremo stare fermi sarà il paradiso. Noi questo lo sappiamo, ma siccome fa un po’ impressione, svaluta un po’ la vita di quaggiù, ce la raccontiamo sempre in un modo un po’ ritagliato. In realtà è molto chiaro: il nostro premio è avere ancora giorni per poter ancora scorgere stelle e metterci ancora in cammino.

“Allora Erode chiamati segretamente i Magi si fece dire con esattezza da loro il tempo… e”.

Segretamente. La segretezza è il contrario del viaggio perché solo chi ha una casa, un luogo stabilito, dei posti dove nascondersi può essere segreto; chi è in viaggio ha bisogno di tutti, chi si sposta è visibile, non può essere segreto, un viaggio si vede, nel suo farsi e nel suo risultato: si è stanchi, provati, si racconta Un viaggio non è fatto per la segretezza: tutti i viaggi generano racconti non segreti. Il genere letterario racconti di viaggio è diffusissimo. La stabilità, il difendersi genera la segretezza, è la paura di perdere

Dunque Erode manda i Magi a proseguire il viaggio. I Magi hanno fatto la loro parte, sono giunti con una domanda e si sentono dire: la domanda è giusta, continuate pure!

Uno strano viaggio

“Udite le parole del re, essi partirono. Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere,li precedeva, finchè giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono.”

E’ curioso! Provano gioia al vedere la stella. Rispetto al bambino non provano gioia, lo adorano, gli offrono in dono oro incenso e mirra, poi sono avvertiti in sogno di non tornare da Erode e per un’altra strada fanno ritorno al loro paese.

“Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese”.

L’unica risposta che hanno, paradossalmente, è un sogno che li avvisa di non fidarsi di Erode. E’ uno strano viaggio.

I Magi sbucano dal nulla e finiscono nel nulla. Sono perfettamente impersonati dalle statuette del presepio. I grandi viaggiatori sono lì, fermi, paralizzati davanti alla capanna, nelle classiche pose: uno inginocchiato, uno in piedi, l’altro con lo scrigno. Sono grandi viaggiatori, ma di loro si ricorda un solo viaggio; non sappiamo null’altro di loro e sono paralizzati nel gesto del rendere adorazione a questo bambino. Tutto ciò che sappiamo di loro è questo gesto. Ma è vero che tutto ciò che conta è la strada, quella che li ha portati lì e quella che li ha riportati a casa. La tradizione popolare ha infarcito il viaggio di ritorno di chilometri e chilometri, attribuendo loro strani giri.

E’ uno strano viaggio che parte non sappiamo da dove e ritorna non sappiamo dove. Un viaggio che ha come unico nome e unica gioia quella di una stella che li guida; ha un pessimo incontro, quello con Erode che non si lascia contagiare dal viaggio, ma che fa prevalere la paura e finisce lì.

I sogni

Quello che avverte i Magi di non passare da Erode è il primo di tre sogni.

“Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse. ‘Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finchè non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo”.

Questo più che un viaggio è una fuga. E si parla di Egitto, una figura molto particolare, significativa nella storia del popolo ebraico. E’ l’Egitto che ha accolto Giuseppe ed ha sfamato i suoi fratelli nella carestia, perché Giuseppe era diventato potente interpretando sogni. I sogni lo avevano fatto ricco e potente, e diventano strumento di nutrimento per tutti i suoi fratelli nel tempo della carestia. L’Egitto è il luogo della schiavitù da cui si fugge e, qui, verso cui si fugge. L’Egitto è la grande potenza, il nemico che incombente, quello che periodicamente entra a scombinare i piani. E’ chiaro che questa fuga in Egitto è il contrario della fuga dall’Egitto.

Si sta inaugurando il nuovo esodo. Gli ebrei erano stati liberati con mano potente fuggendo dalla schiavitù per diventare liberi e qui l’ultimo dei giusti, l’ultimo dei sognatori, il nuovo Giuseppe, torna in Egitto, fugge in Egitto. Tutti, credo, abbiamo in testa l’idea della fuga in Egitto associata soprattutto a dei quadri perché è un evento che si prestava bene ed è molto rappresentato, ma forse non abbiamo mai realizzato il perché di questa espressione.

Che cosa mette in movimento questa fuga in Egitto rispetto alla fuga dall’Egitto? Tornano per ritornare schiavi? E’ questo che Matteo sta dicendo ai suoi uditori? No. Ma la terra della libertà si è trasformata in terra della schiavitù? La Galilea e la Giudea, che erano le terre della libertà, sono diventate talmente invivibili da dover tornare nella terra della schiavitù come una terra della libertà? Con tutte queste domande voglio dire che schiavitù e libertà non si legano al luogo. Non è che se una volta abbiamo viaggiato dalla schiavitù alla libertà, poi siamo arrivati. La terra della libertà può tornare ad essere la terra della schiavitù. I viaggi non sono unidirezionali. E’ come se qui ci venisse detto – altro elemento che fa fiorire ciò che è umano in un viaggio – si viaggia per arrivare, ma non si arriva. Noi viaggiamo verso una meta, con un progetto, ma non c’è una meta, la meta siamo noi, la meta è la nostra vita. La terra della libertà è sempre sotto la minaccia di diventare terra della schiavitù.

Infatti, affinché gli ascoltatori avessero chiaro ciò che stavano ascoltando, Matteo cita un versetto di Osea, “Dall’Egitto ho chiamato il mio figlio”, che era sempre stato legato alla liberazione che gli ebrei avevano avuto al tempo dell’Esodo. E Matteo fa questo salto mortale doppio, avanti e indietro, tra terra della libertà e terra della schiavitù.

Spesso mi domando se mi ricordo di viaggiare sempre verso la terra della libertà. Essere adulti liberi non è facile. Paradossalmente è più facile essere ragazzi, adolescenti liberi, perché si è ancora accumulato poco. Le nostre vite funzionano come le nostre case: se uno fa trasloco dopo un anno che sta in una casa, tutto sommato non ha grossi problemi, ma dopo trent’anni viene fuori di tutto, perché siamo degli accumulatori inguaribili. Anche quelli che buttano via di più, accumulano. Le nostre vite funzionano allo stesso modo. Gli anni che passano non portano solo sapienza, – questa sì, si spera! – ma portano anche accumulazione. Abbiamo di più da cui separarci. Guadagnarsi la propria libertà, man mano che gli anni passano, non è più così banale.

Il viaggio mancato

Ai due viaggi segue il racconto dell’effetto del mancato viaggio di Erode. Di per sé doveva venire subito dopo il racconto sui Magi, ma i due viaggi sono il lontano e il vicino che rispondono al segno e al sogno, viaggiando; ed Erode, l’unico che non risponde al segno, viaggiando, manda ad uccidere tutti i bambini E’ l’immagine più orrenda che per una cultura come la nostra si possa avere: siamo in grado di tollerare molta brutalità, ma non quella nei confronti dei bambini.

“Un grido è stato udito a Rama, un pianto e un lamento grande; Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata”.

E’ riportato il versetto di Geremia, dopo il racconto della morte dei bambini. Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata perché non sono più. Questa espressione “Non vuole essere consolata” esprime una durezza incredibile

Il versetto seguente inizia dicendo – non sappiamo quanto tempo è passato, certo molto –: “Morto Erode, – che aveva creduto di fermare i viaggi – un angelo del Signore apparve a Giuseppe in Egitto e gli disse: ‘Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nel paese d’Israele; perché sono morti coloro che insidiavano la vita del bambino”.

E ricomincia un viaggio. Si ritorna dall’Egitto e non solo. Si viaggia ancora tra Giudea e Galilea. In Giudea c’era Archelao, meglio spostarsi. E si va a Nazareth. E comincia l’ennesimo grande viaggio…

Questo testo comunica molte cose; mette in evidenza piccoli segnali propri di ciò che ci riguarda tutti: come l’inaudito può uscire da ciò che tutti ci riguarda, come funzionano i viaggi, come il risultato di un viaggio fatto bene è una domanda e come il turbamento che rifiuta un viaggio produce dolore innocente. Mi sembrano segnali importanti su cui ragionare!

Domanda: Come mai i Magi provano gioia per la stella e non per il bambino che trovano?

Risposta: Forse bisognerebbe scavare un po’ di più nel testo greco, ma la riflessione mia è che veramente il viaggio dei Magi è un viaggio libero, e la loro gioia è per ciò che li conduce nel viaggio, non per la meta. E’ per la luce che hanno per viaggiare, per l’essere accompagnati nel viaggio. Peraltro io credo che ciascuno di noi, avendo superato l’adolescenza, sappia abbastanza bene che nella propria vita uno si sbaglia tanto, e spesso pensando che sarà contento ‘quando’ avrà risolto una questione, ‘quando’ sarà riuscito a fare una determinata cosa, ma non è mai vero. In realtà le gioie profonde ci sono date da chi ci accompagna nel quotidiano, prima di quel ‘quando’, e in chi è fedele al nostro viaggio, fa il tifo per il nostro viaggio mentre viaggiamo, mentre siamo troppo stanchi, mentre non abbiamo tanto tempo, mentre siamo confusi, e non tanto da coloro che sono disponibili ad incontrarci e a condividere qualcosa con noi solo quando questo ‘quando’ si è realizzato. Quello che davvero conta è la strada fatta insieme, ma non in modo poetico; proprio nei giorni concreti, quando eri confuso, non avevi le idee chiare, non sapevi ancora bene cosa sarebbe successo, quando eri molto allegro per qualcosa che ti era capitato. Chi è solo in grado di stare con te nel giorno in cui sei arrivato, non è quello che fa la differenza, perché ci rimane il dubbio che sia amato il nostro risultato e non noi.

Fossano 18 febbraio 2006

(testo non rivisto dal relatore)

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