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15 Ottobre 2016
Stella Morra

1. Con le migliori intenzioni

Commento a: 2 Sam 6, 12-16; 7,1-18


A conclusione della prima Lectio, sul tema dell’abitare nella Bibbia, è stata suggerita la lettura di questo articolo.


Introduzione alle lectio 2016-2017

La scelta del tema delle lectio di quest’anno ci sembrava interessante perché è una questione che ha attraversato in tanti modi e sotto tanti punti di vista le nostre riflessioni.

È un tema dal punto di vista biblico molto interessante, ha molti aspetti, sicuramente ci darà spazio per fare un po’ di riflessioni, inoltre in un tempo come quello che stiamo vivendo potrebbe essere una provocazione per richiamarci alla mente l’altra metà della questione: abitare significa molte cose positive, ma in un tempo in cui ci sono molti profughi, ci sono molti che non hanno un luogo dove abitare è un momento buono per rifletterci. Abitare rappresenta entrambe le facce: sia la possibilità di stare che la possibilità di andare, quindi fuori di poesia anche la necessità di dover lasciare il luogo dove si abita. Il titolo abitare, abitarsi, lasciarsi abitare è stato scelto proprio per questo, del trovar casa e del lasciarla. Alla fine di questa riflessione mi piacerebbe che venisse fuori con il termine abitare non solo delle cose melense tipo casetta del mulino bianco, ma anche un po’ di altre dimensioni esattamente come la scrittura ci invita a ripensare. C’è un altro tema più profondo, su cui vorrei spendere due parole e per me più significativo, perché attraversa anche la riflessione teologica che sto facendo questo momento: il principio di stabilità. Uno dei grandi pilastri dell’esperienza cristiana in Occidente, in Europa, nelle cosiddette nazioni di antica cristianità, è il principio della stabilità del luogo. Anche in un modo banale da un punto di vista giuridico, l’organizzazione delle chiese è anche un’organizzazione geografica, per territori sempre più ristretti e per compagnia pastorale adeguata ad ogni luogo. Per questo che in ogni piccolo paese magari non c’era niente, ma c’era il parroco. Nel corso della storia questo è stato un grande segno della capacità della Chiesa di abitare la vita degli uomini e delle donne. Tutti sappiamo bene che nei paesini il parroco era un’autorità non solo perché era un’autorità, ma perché condivideva la vita della gente, nel bene e nel male, sapeva tutto di tutti e se non era proprio una bestia era in genere presente e vicino sia nei momenti belli, che nei momenti brutti. L’idea di stabilità da questo punto di vista è l’idea di accompagnamento, di compagnia, quindi un’idea molto bella: la Chiesa era lì dove gli uomini e le donne vivevano. Su quest’idea quasi simbolica e strutturata in termini di spazio non è un caso che arriva papa Francesco e dice che in realtà il tempo è superiore allo spazio. Il grande pilastro della stabilità di vita delle persone e uno dei pilastri su cui in Europa sin dai primissimi secoli si è strutturata la vita delle persone, perché uno viveva tutta la propria vita in un raggio molto ristretto e nello stesso luogo, normalmente il prete che lo battezzava era anche quello che gli faceva la prima comunione, lo sposava, il suo successore, ma parroco dello stesso luogo magari lo seppelliva. Questo pilastro che ha strutturato la vita delle persone per cui si chiedeva parere al parroco oppure si diceva hai sentito il parroco cosa dice, sono tutte espressioni geografiche in una logica della stabilità e non è un caso che su queste cose in parrocchia ancora oggi si litiga un sacco: le discussioni dei genitori della prima comunione oppure degli sposi su dove sposarsi, oppure se il bambino va al catechismo nella parrocchia in cui abita oppure nella parrocchia dove abitano i nonni. Tutti noi scegliamo la Chiesa e non è detto che si vada automaticamente nella parrocchia dove abitiamo. Tutto ciò ci dice che questo grande pilastro sia un po’ scortecciato perché si è proprio distrutta l’idea di stabilità, perché nessuno di noi ha più una vita stabile, ciascuno di noi vive una vita in movimento, quasi nessuno di noi vive, abita e lavora nella stessa parrocchia, non abbiamo più un solo luogo geografico che ci individua e da questo punto di vista la struttura della stabilità e totalmente saltata. Siamo diventati tutti dei nomadi, abitatori soprattutto dei non luoghi, cioè dei centri commerciali, degli aeroporti, delle stazioni, tutti luoghi che sono fatti per essere luoghi di passaggio, ma in cui alla fine spendiamo un sacco di tempo. Questa idea di stabilità non c’è più e ha messo in gioco, anzi va a conflitto con un modo di vivere il cristianesimo, in situazioni molto spicciole, tipo quelle che dicevo prima e ognuno di noi trova poi delle soluzioni, cerca di individuare una misura, va alle iniziative che gli interessano, indipendentemente dalle geografie. Il post concilio mostra bene con la nascita dei movimenti il privilegio delle relazioni rispetto al privilegio del luogo. Una appartiene a una parrocchia, ma la sua vera esperienza cristiana la fa in un monastero piuttosto che in un movimento, dove la relazione è più potente del luogo. I cambiamenti sono epocali, ma soprattutto in Italia si fa un po’ finta che non sia cambiato niente e si continua a fare le cose come prima e si dice ad esempio che la gente non capisce più l’importanza di andare a messa nella sua parrocchia, in realtà lo capisce benissimo, lo capisce talmente bene che poi va in un’altra. Ci sono tutte queste discussioni e frustrazioni, tutti fanno un po’ finta di niente, poi arriva Francesco che dice che il tempo superiore allo spazio, sdoganato improvvisamente un altro punto di vista della questione e cioè mostrando che c’è un altro tema da affrontare, cioè che bisogna avere il coraggio di andare più a monte, guardare la questione dal punto di vista di ciò che è andato in crisi e in qualche modo quando dice che il tempo è superiore allo spazio ci invita a immaginare comunità cristiane che funzionino sul tempo e non solo spazio, ma forse su questo non sappiamo da dove iniziare. Ho fatto tutto questo lungo discorso perché tutto ciò sta dietro alla parola abitare, perché si abitano gli spazi o i tempi? Oppure si abitano sia gli spazi che i tempi? E cosa abita chi? Sono gli spazi e tempi che abitano noi o siamo noi che abitiamo di stati tempi? Vero è che se io dico abitare viene in mente la casa, i muri, ma siamo tutti abbastanza grandi per avere memoria di luoghi in cui siamo stati diversamente, ogni luogo è legato ad un tempo. Questo è lo scenario principale e come vedete, è un tema meno banale di quello che sembra perché ci porta ad interrogarci su abitare, abitarsi e lasciarsi abitare. Forse il titolo ora è più chiaro: si abitano degli spazi e dei tempi, si abita se stessi, si ha una casa interiore e poi in qualche modo bisogna lasciarsi abitare perché ogni relazione è fare uno spazio ad un altro, avere uno spazio interiore in cui in qualche modo un altro può essere.

La lectio di oggi

Il testo di oggi è preso dal secondo libro di Samuele una parte del capitolo 6 e una parte del capitolo 7 il cui sottotitolo è “con le migliori intenzioni” . Questo è anche il titolo di un film di Bergman che andrebbe benissimo su questo testo qua, potrebbe essere interessante durante il mese se avete voglia di cercarlo e vederlo alla luce di questo testo, vederlo in una serata in cui siete molto allegri altrimenti non si sopravvive. Questo per dire che ciò che facciamo “con le migliori intenzioni” non è detto che diano un buon risultato, ma anche quando non danno un buon risultato poi forse funzionano lo stesso, hanno un loro modo di funzionare. Se avete tempo leggetevi tutto il capitolo 6 e 7, non avevo tempo oggi di farlo qui, ma così la storia può avere una sua completezza.

2 Samuele 6,12-16

[12]Ma poi fu detto al re Davide: «Il Signore ha benedetto la casa di Obed-Edom e quanto gli appartiene, a causa dell’arca di Dio». Allora Davide andò e trasportò l’arca di Dio dalla casa di Obed-Edom alla città di Davide, con gioia. [13]Quando quelli che portavano l’arca del Signore ebbero fatto sei passi, egli immolò un giovenco e un ariete grasso. [14]Davide danzava con tutte le forze davanti al Signore. Davide era cinto di un efod di lino. [15]Così Davide e tutta la casa d’Israele facevano salire l’arca del Signore con grida e al suono del corno.

[16]Quando l’arca del Signore entrava nella città di David, Mikal, figlia di Saul, guardando dalla finestra vide il re Davide che saltava e danzava dinanzi al Signore e lo disprezzò in cuor suo.

2 Samuele 7,1-18

[1]Il re, quando si fu stabilito nella sua casa, e il Signore gli ebbe dato riposo da tutti i suoi nemici all’intorno, [2]disse al profeta Natan: «Vedi, io abito in una casa di cedro, mentre l’arca di Dio sta sotto i teli di una tenda». [3]Natan rispose al re: «Và, fà quanto hai in cuor tuo, perché il Signore è con te». [4]Ma quella stessa notte fu rivolta a Natan questa parola del Signore: [5]«Và e di al mio servo Davide: così dice il Signore: Forse tu mi costruirai una casa, perché io vi abiti? [6]Io infatti non ho abitato in una casa mai da quando ho fatto salire Israele dall’Egitto fino ad oggi; sono andato vagando sotto una tenda, in un padiglione. [7]Durante tutto il tempo in cui ho camminato, insieme con tutti gli Israeliti, ho forse mai detto ad alcuno dei Giudici di Israele a cui avevo comandato di pascere il mio popolo Israele: Perché non mi avete edificate una casa di cedro?

[8]Ora dunque dirai al mio servo Davide: Così dice il Signore degli eserciti: Io ti ho preso dal pascolo, mentre seguivi il gregge, perché tu fossi il capo del mio popolo Israele; [9]sono stato con te dovunque sei andato; ho distrutto tutti i tuoi nemici davanti a te e renderò il tuo nome grande come quello dei grandi che sono sulla terra. [10]Fisserò un luogo per Israele mio popolo e ve lo pianterò perché vi abiti e non tremi più e i malfattori non lo opprimano più come in passato, [11]e come dal giorno in cui avevo stabilito dei Giudici sul mio popolo Israele e gli darò riposo da tutti i tuoi nemici. Il Signore ti annuncia che farà a te una casa. [12]Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu dormirai con i tuoi padri, io susciterò un tuo discendente dopo di te uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. [13]Egli edificherà una casa al mio nome e io renderò stabile il trono del suo regno per sempre. [14]Io sarò per lui padre ed egli mi sarà per me figlio. Se farà il male, lo colpirò con verga d’uomo e con percosse di figli d’uomo, [15]ma non ritirerò da lui il mio amore, come l’ho ritirato da Saul, che ho rimosso difronte a te. [16]La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a te e il tuo trono sarà reso stabile per sempre».

[17]Natan parlò a Davide secondo tutte queste parole e secondo tutta questa visione. [18]Allora il re Davide andò a presentarsi davanti al Signore e disse: «Chi sono io, Signore Dio, e che cos’è mai la mia casa, perché tu mi abbia condotto fino qui?

La storia, come spesso accade nel libro di Samuele, (avevamo già visto il profeta Natan in azione nel brano con l’uomo del grande il gregge che ruba la pecorella, tu sei quell’uomo…) è una storia facile, si capisce bene cosa succede: Davide è tutto contento, porta l’Arca in Gerusalemme, lui si sente bene perché è il re, tutti i cattivi sono stati sconfitti, sembra un happy end, ma cosa manca? Una casa per l’Arca. Dunque dice voglio fare una casa di cedro come quelle cui vivo io per l’Arca. Ma Dio se la piglia malissimo egli dà questa risposta: chi t’ha chiesto niente? Solo che come sempre pigliandosela malissimo fa un ragionamento che ci confonde attraverso la visione di Natan. Va anche detto che gioca su una particolarità dell’ebraico in cui le consonanti della parola casa e le consonanti della parola casato, inteso come discendenza, sono uguali e a secondo della vocalizzazione vuol dire una cosa o l’altra. Il testo quindi gioca su questa ambiguità. Spesso in italiano viene risolta dicendo la tua casa è la tua discendenza per dire entrambe le dimensioni della parola ebraica. Gioca sull’ambiguità di avere una casa e l’idea di Davide era di fare una casa di legno e di mura, ma introduce anche un’altra idea di casa che è il casato cioè la discendenza, la durata, il tempo. Giocando su questa discendenza attraverso la visione di Natan Dio dice: non sei tu che farai una casa a me ma sono io che farò una casa a te. È interessante perché questo è un buon esempio ”delle migliori intenzioni”. In fondo, Davide, come sempre, voleva fare una cosa carina, da parte sua era un atto di gentilezza per Dio. In realtà non è così autoevidente nell’ambito della storia che le cose buone siano solo buone, le cose buone hanno sempre un alto tasso di ambiguità, ma anche quelle cattive, cioè Gesù dirà grano e zizzania crescono insieme e tagliando uno rischi di tagliare anche l’altro e dunque l’operazione da fare è la capacità di discernere nell’ambiguità delle parole, dei gesti, dei desideri, ma anche la capacità di ascoltare. Questo è uno dei motivi per cui i cristiani insistono tanto sull’ascoltare che spesso la parola ascoltare viene detta come una parola vuota: come si fa ad ascoltare Dio che però non scrive mail, non manda messaggi. Cosa ascolto? La mia proiezione? La deformazione della Chiesa sulla parola di Dio è talmente forte: che cosa vuol dire ascoltare? Ascoltare invece un senso molto concreto, non nel senso spirituale di generiche voci interiori che non si sa bene da quale parte nevrotica di noi vengano, ma la questione è che bisogna ascoltarsi e ascoltare, dare il tempo e guardare come le cose crescono. Davide esprima un desiderio e il suo desiderio è nella sua intenzione buono, ma poi il suo desiderio mostra la sua ambiguità , Davide alla fine ascolta questa ambiguità. Per fare questo serve tempo perché i desideri, se non è passato un tempo, non si possono vedere, se il grano e zizzania non sono cresciuti, non sono visibili, non si può ascoltare.

2 Samuele 6,12-16

[12]Ma poi fu detto al re Davide: «Il Signore ha benedetto la casa di Obed-Edom e quanto gli appartiene, a causa dell’arca di Dio». Inizia con una parola di benedizione e questa è una struttura che torna sempre nella Bibbia. All’inizio di ogni movimento, prima che ogni movimento sia fatto, che ogni desiderio sia espresso, c’è una benedizione originaria che arriva gratis: l’atto di creazione. L’atto di creazione c’è all’inizio della scrittura ma poi si ripete sempre così, c’è questa struttura, se non c’è una benedizione non c’è un desiderio. La benedizione può arrivare solo da fuori. Detto in termini con le moderne scienze psicologiche se non c’è un amore che ci genera, una madre che ci nutre poi il nostro desiderio sulla vita è faticoso. Se non c’è una benedizione originaria, e le benedizione degli umani sono sempre un po’ traballanti, invece nella Bibbia la benedizione originaria è sempre quella di Dio, perché è una benedizione fedele, non traballante, fondamentale che rende ogni desiderio legittimo. Possiamo desiderare perché c’è una benedizione che viene prima di noi. Dio ha benedetto a causa dell’Arca. L’Arca era un cassone con coperchio, che pare fosse prezioso e che aveva sopra due statue di cherubini, che conteneva secondo la tradizione ebraica un contenitore con la manna, il bastone di Aronne e le tavole della Legge ricevute da Mose`. La tradizione dice che la manna e il bastone sono andati persi quasi subito, poi si sono perse anche le tavole, ma rimane molto difficile stabilire che cosa sia successo all’Arca, casomai sia realmente esistita. Sicuramente se il popolo d’Israele ha avuto dei segni tangibili della sua alleanza con Dio li ha conservati in contenitori solenni, ma l’Arca acquista mano a mano nella storia di Israele il significato di essere il segno preponderante, unico e identificativo dell’alleanza, quindi della presenza di Dio con il suo popolo, di Dio che è con Israele. Nelle litanie lauretane si dice di Maria che è l’arca della nuova alleanza e non è un caso. L’Arca sarebbe stata portata in tutte le peregrinazioni del popolo ebraico, sempre sarebbe rimasta nell’accampamento e periodicamente Mosè parlava con Dio, che appariva solo a Mosè, assiso in trono tra i due cherubini, per cui poi le visioni profetiche dicono sempre che Dio è seguito dei cherubini e noi in automatico lo immaginiamo anche così, questo viene dal fatto che l’arca avesse questa struttura con i cherubini sul coperchio. L’Arca dopo Davide sarebbe stata sistemata nel Tempio, uso tutti questi condizionali perché, siccome non si poteva vedere Dio faccia a faccia, anche l’arca non si poteva guardare e si racconta anche un episodio in cui nel cammino nel deserto i portatori che portano l’Arca inciampano, l’Arca sta per cadere, uno dei guerrieri ebrei si appoggia per non farla cadere, la tiene, l’Arca non cade, ma lui muore perché non si deve toccare, non si deve vedere. Quindi un forte senso di tabù religioso e anche il racconto biblico dice che veniva trasportata coperta con un drappo azzurro, sarebbe poi stata posta nel Tempio di Salomone, dove nessuno poteva entrare. L’esatto opposto dell’Atrio dei Gentili che era un luogo aperto fatto di colonne dove tutti potevano entrare ed uscire e invece al centro c’era questo santa sanctorum, un luogo chiuso dove potevano entrare solo alcuni sacerdoti, i discendenti della tribù di Levi, per rendere culto all’Arca. Altro episodio di Zaccaria che entra e gli viene annunciato che nascerà Giovanni il Battista. Succedono alcune cose accertate come la distruzione del Tempio e la deportazione in Babilonia, e ciò che sappiamo del secondo tempio e che il santa sanctorum era vuoto, era conservata la memoria, la narrazione dell’Arca. Vi ho raccontato tutto ciò per far vedere come c’è la spazializzazione di una memoria ma che alla fine funziona allo stesso. Lì c’è la presenza di Dio anche se non c’è più niente materialmente.

Allora Davide andò e trasportò l’arca di Dio dalla casa di Obed-Edom alla città di Davide, con gioia. [13]Quando quelli che portavano l’arca del Signore ebbero fatto sei passi, egli immolò un giovenco e un ariete grasso. [14]Davide danzava con tutte le forze davanti al Signore. Davide era cinto di un efod di lino. [15]Così Davide e tutta la casa d’Israele facevano salire l’arca del Signore con grida e al suono del corno. Allora Davide decide di prendere l’Arca dalla casa di Obed-Edom, che è una casa sacerdotale (a turno le case sacerdotali spostavano l’Arca) e di portarla alla città di Gerusalemme, lui ha costruito la sua cittadella sulla rocca, e quindi la fa portare con gioia. C’è tutto questo racconto di suoni, canti, vittime e Davide che danza vestito di questo efod, che non sappiamo di cosa fosse fatto, ma sicuramente un vestito minimo. I sacerdoti si mettevano solo l’efod quando dovevano fare sacrifici di animali per non sporcarsi le vesti, quindi Davide si mette ad accompagnare l’Arca solo vestito con l’efod e danza. Spesso Davide è rappresentato come cantore, anche nel nostro Duomo è rappresentato con l’arpa, perché Davide è l’autore dei salmi, il musico, il danzatore.

[16]Quando l’arca del Signore entrava nella città di David, Mikal, figlia di Saul, guardando dalla finestra vide il re Davide che saltava e danzava dinanzi al Signore e lo disprezzò in cuor suo.

Mikal è la sorellastra di Davide vedendolo saltare ballare lo disprezza in cuore suo. Alla fine di tutto questo ragionamento sull’Arca si dice che per questo suo aver disprezzato Davide, Mikal sarà sterile, non avrà una “casa”, una discendenza. La sterilità nell’Antico Testamento era la peggiore delle punizioni. Perché ho messo questo pezzettino di tutta la narrazione? Perché qui c’è già tutta la struttura dell’incrocio tra tempo e spazio, case e abitare. C’è una benedizione all’inizio e un disprezzo alla fine. Spesso i percorsi dei nostri desideri seguono questo andamento, si comincia a causa di una benedizione e si rischia di finire in un disprezzo che rende sterili, che fa sì che il desiderio si esaurisce. In mezzo c’è Davide che è un po’ trasgressivo e che vive con gioia quel tempo, quel desiderio di una casa, lui non sarà sterile, quello che gli viene promesso è una discendenza, una discendenza qualificata, per la cui radice viene il Messia. Una discendenza assolutamente speciale. Questo mi sembra il punto di partenza di ogni possibile riflessione nella scrittura a partire dal tema dell’abitare, dell’abitarsi e dell’lasciarsi abitare.

Tra benedizione disprezza bisogna fare un’altra cosa, si può coltivare un desiderio, magari sbagliato come quello di Davide, ma coltivarlo con gioia e non rischiare di finire nel disprezzo perché il disprezzo del proprio desiderio nella peggior sorte porta ad una sorte sterile. Una sorte sterile non perché sbagliata, non c’è giudizio morale, ma perché non produce niente. I desideri di Davide non generano disprezzo, compresi quando sono sbagliati.

2 Samuele 7,1-18

1]Il re, quando si fu stabilito nella sua casa, e il Signore gli ebbe dato riposo da tutti i suoi nemici all’intorno, [2]disse al profeta Natan: «Vedi, io abito in una casa di cedro, mentre l’arca di Dio sta sotto i teli di una tenda». Avviene tutta la discussione sulla casa. È interessante come inizia il testo il re si stabilisce in casa ed è a riposo e poi alla fine parla Dio e dice ti darò riposo dunque farò di te una casa. E questa cosa è interessante: interessante avere una casa per potersi riposare o riposarsi per poter avere una casa? Provo a dirlo in termini molto banali, ma credo per esempio che una delle questioni in cui ci dibattiamo tutti è che ne manca sempre un pezzo, ovvero che ,se abbiamo le condizioni non siamo capaci di farlo e se siamo capaci di farlo non abbiamo le condizioni. Davide dice devo avere una casa, stabilisce la sua casa e dunque lì è a riposo, il Signore invece dice ti darò riposo e dunque potrò mettere in moto una casa che non è un rifugio, una chiusura, un egoistico luogo difensivo, non è una rocca ma una discendenza. È una fecondità. Tra queste due questioni si snoda tutto ragionamento tra Davide e Dio mediato da Natan. Davide ha il profeta Natan come interlocutore, Natan gliene ha dette già abbastanza, ma proprio perché è un uomo schietto Davide domanda a lui, verifica il proprio desiderio con lui. Davide dice: io abito in una casa di cedri mentre Dio sta sotto una tenda. È un pensiero devoto quello di Davide e da questo brano dovremmo dire che i pensieri devoti offendono Dio. Meglio lasciar perdere. Credo che sia abbastanza vero tra l’altro.

[3]Natan rispose al re: «Va’, fa’ quanto hai in cuor tuo, perché il Signore è con te».

[4]Ma quella stessa notte fu rivolta a Natan questa parola del Signore: [5]«Và e di al mio servo Davide: così dice il Signore: Forse tu mi costruirai una casa, perché io vi abiti? [6]Io infatti non ho abitato in una casa mai da quando ho fatto salire Israele dall’Egitto fino ad oggi

Ma quella stessa notte Dio corregge e mi sembra proprio evidente che la dinamica di questi desideri e la dinamica del terzo incluso, un’altra parola che non avevamo preso in considerazione, e questa è la garanzia che si sta andando verso una fecondità, essere permanentemente spostati, avere un’altra voce.

E Dio dice:; sono andato vagando sotto una tenda, in un padiglione. [7]Durante tutto il tempo in cui ho camminato, insieme con tutti gli Israeliti, ho forse mai detto ad alcuno dei Giudici di Israele a cui avevo comandato di pascere il mio popolo Israele: Perché non mi avete edificate una casa di cedro? [8]Ora dunque dirai al mio servo Davide: Così dice il Signore degli eserciti:

Dio dice ho vagato con te, fa tutta la prima memoria di storia insieme poi però ne fa una seconda e dice:

Io ti ho preso dal pascolo, mentre seguivi il gregge, perché tu fossi il capo del mio popolo Israele; [9]sono stato con te dovunque sei andato; ho distrutto tutti i tuoi nemici davanti a te e renderò il tuo nome grande come quello dei grandi che sono sulla terra. La memoria diventa personale, ce l’ha con Davide non è solo quello che ha fatto per il suo popolo. Dio dice non solo io non ho mai avuto una casa, ma io ho fatto per te e tu adesso te ne esci bel bello che vuoi fare qualcosa per me. Una casa serve ma sarà quella che io costruirò per te: ti darò riposo, ti farò una casa: [10]Fisserò un luogo per Israele mio popolo e ve lo pianterò perché vi abiti e non tremi più e i malfattori non lo opprimano più come in passato, [11]e come dal giorno in cui avevo stabilito dei Giudici sul mio popolo Israele e gli darò riposo da tutti i tuoi nemici. Il Signore ti annuncia che farà a te una casa.

[12]Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu dormirai con i tuoi padri, io susciterò un tuo discendente dopo di te uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. [13]Egli edificherà una casa al mio nome e io renderò stabile il trono del suo regno per sempre. [14]Io sarò per lui padre ed egli mi sarà per me figlio. Se farà il male, lo colpirò con verga d’uomo e con percosse di figli d’uomo, [15]ma non ritirerò da lui il mio amore, come l’ho ritirato da Saul, che ho rimosso difronte a te.

Qui c’è il punto di discordia tra ebrei e cristiani. Gli ebrei leggono questo testo pensando al re Salomone, figlio di Davide, che costruirà il Tempio, mentre i cristiani lo leggono pensando alla prefigurazione di Cristo: Io sarò per lui padre ed egli mi sarà per me figlio. Noi in chiave cristologica lo leggiamo anche così come la prefigurazione di Cristo che discende da Davide e che farà la vera casa per Dio. Gli evangelisti avevano talmente capito questa cosa che per esempio Giovanni fa dire a Gesù nella discussione sulla morte e preannuncio della resurrezione, gli fa dire distruggete questo tempio io lo ricostruirò in tre giorni, e l’Evangelista pensava parlasse del tempio, Gesù parlava di sé. Si vede come questa discussione sulla casa e il suo valore simbolico del tempio prosegue fino al cristianesimo perché la questione è decisiva: chi abita dentro una casa? Le case non sono solo un luogo, le case sono un luogo di persone, perché se non sono un luogo di persone sono una pubblicità di rivista d’architettura, belle esteticamente ma di cui non sai chi ci abita. Quello che è in gioco tra Dio e Davide, in questo brano, è la costruzione di un luogo dove possano vivere insieme Dio e Davide. Questo è esattamente il problema che abbiamo ancora noi: un luogo, la storia, il tempo, la comunità degli umani, le nostre vite dove sia possibile vivere insieme tra noi e con Dio. I profeti useranno per lo stesso tema l’immagine del regno di Dio dove lupo e agnello dormiranno insieme, il bambino metterà la mano nella tana del serpente, sono la stessa questione ovvero un luogo per vivere insieme, ma per vivere il tempo i luoghi servono, per avere un tempo condiviso i luoghi servono.

[16]La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a te e il tuo trono sarà reso stabile per sempre». In questa parte il Signore non parla più dell’alleanza con tutti ma a Davide, alla fine però parlando con Davide dice che non lui sarà stabile per sempre, ma il suo trono, che sarà la sua casa, sarà la fecondità futura a durare e non lui.

[17]Natan parlò a Davide secondo tutte queste parole e secondo tutta questa visione. [18]Allora il re Davide andò a presentarsi davanti al Signore e disse: «Chi sono io, Signore Dio, e che cos’è mai la mia casa, perché tu mi abbia condotto fino qui?

Non è una vera conclusione, il testo non finisce qui, ma al versetto 18 il re Davide va a presentarsi al Signore, in una tenda, fuori dalla casa e dice: «Chi sono io, Signore Dio, e che cos’è mai la mia casa, perché tu mi abbia condotto fino qui? Davide partito da una benedizione, da un desiderio, lo ha percorso anche con un po’ di trasgressione, ha ascoltato tutto il ragionamento dell’evoluzione del suo desiderio ed è arrivato all’unica conclusione giusta: siamo tutti in affitto, cioè le case non sono di proprietà. È il grande riconoscimento che nessuno è proprietario della propria casa, né quella interiore, né la fecondità che non possiamo governare. Nella possibilità di accogliere una persona in una casa, possiamo subaffittare ma non vendere. Questa mi sembra una grande parola di fede in questo lungo testo, il riconoscere da parte di Davide che la proprietà è di Dio, quindi lui certo deve fare quello che gli spetta, deve fare al re d’Israele, deve governare, questo è il compito di Davide, ma di per sé non può decidere a partire dal proprio desiderio come se tutto fosse suo.

Segnalo in conclusione due testi. Sul programma della lectio c’è una piccola citazione di questa poetessa che mi piace molto.

Il proposito della poesia è ricordarci
come è difficile rimanere una persona sola
perché la nostra casa è aperta,
non ci sono chiavi alla porta
e ospiti invisibili vanno e vengono.

Czesław Miłosz, Ars Poetica, (1957)

Questa poesia dice bene sia intorno al nostro tema ma anche di questa esperienza della lectio che è un luogo che non ha chiave alla porta e dove ospiti invisibili vanno e vengono.

Vi consiglio di leggere un piccolo articolo di cui trovate anche il link sul blog dell’Atrio: “Dove l’inconscio vive – Avere una casa, abitare una casa, cercare casa” di Antonietta Augruso. È una piccola lettura di cosa la Bibbia dice intorno al tema dell’abitare.

Fossano, 16 ottobre 2016

(testo non rivisto dall’autore)

Lectio 2016/2017

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