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2 Marzo 2013
Stella Morra

5. I segni e la fede

Commento a: Mc 16, 9-20


Premessa

La volta scorsa ci siamo misurati con una parte del capitolo 24 di Matteo dove si parla dei segni dell’apocalisse interrogandoci su questo dato dei segni al negativo.

Oggi rifletteremo su una parte del capitolo 16 del vangelo di Marco aprendoci alla resurrezione che ci attende dal punto di vista liturgico.

Tra l’happy end di Isaia in cui tutto sembrava bello, con un sogno facile di bellezza, e i segni brutti di Matteo, c’è questa via dura e bella della resurrezione che analizziamo oggi. E’ una via da una parte positiva ma dall’altra non ingenua: la resurrezione non è un happy end da favola ma, come dicevano i medioevali, la salvezza a caro prezzo. E’ il buono che emerge attraversando il negativo e non rimuovendolo.

Il titolo dato al testo di oggi è i segni e la fede perché si parla molto di segni ma anche molto di fede.

Vi richiamo due elementi tecnici importanti prima di iniziare.

Il primo è che questo capitolo di Marco è parallelo, molto simile, agli altri racconti sulla resurrezione ma è come la versione compattata. Tutti gli episodi narrati dagli altri evangelisti con particolari costruzioni letterarie e annotazioni, qui vengono richiamati ognuno in genere in un versetto. Gli elementi, probabilmente di memoria storica, ci sono tutti ma Marco ha pochissimi fronzoli. Un esempio potrebbe essere il racconto dei discepoli di Emmaus su cui Luca si dilunga molto e invece Marco risolve in un versetto. Ho scelto questa versione proprio perché ci aiuta a vedere tutti i passaggi senza troppi fronzoli.

Secondo elemento è che questo capitolo si divide letteralmente in due parti anche dal punto di vista letterario e linguistico: la prima parte dall’1 all’8 e la seconda parte dal 9 al 20.

La prima parte è la parte più antica ed è il racconto proprio della resurrezione, la seconda invece viene chiamata finale deuterocanonico che significa pezzo che è stato aggiunto dopo. Quando hanno risistemato il tutto, presumibilmente prima del III secolo, hanno aggiunto dei pezzi, come è successo in molti altri brani del vangelo, soprattutto sui finali.

Il testo

Risorto il mattino, il primo giorno dopo il sabato, Gesù apparve prima a Maria di Magdala dalla quale aveva scacciato sette demoni. Questa andò ad annunciarlo a quanti erano stati con lui ed erano in lutto e in pianto. Ma essi, udito che era vivo e che era stato visto da lei, non credettero. Dopo questo, apparve sotto un altro aspetto a due di loro mentre erano in cammino verso la campagna. Anch’essi ritornarono ad annunciarlo agli altri ma non credettero neppure a loro. Alla fine apparve anche agli undici mentre erano a tavola e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto. E disse loro: “Andate in tutto il mondo e proclamate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono. Nel mio nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e se berranno qualche veleno non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno”. Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dappertutto mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la parola con i segni che la accompagnavano.

E’ un testo molto duro che non concede sfumature a dei forse o dei però o dubbi interpretativi e si insiste molto sulla fede: quelli che credono sono salvati, quelli che non credono sono condannati.

Si fa poi l’elenco dei segni che accompagnano quelli che credono e poi si dice che Gesù conferma con i segni la parola che viene proclamata.

Spendiamo un attimino per chiederci cosa c’è nella conclusione precedente in cui , in questa parte comune a tutti gli evangelisti, in otto versetti si dice che Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo e Salome comprano gli oli aromatici e vanno alla tomba per ungere il cadavere di Gesù. La loro preoccupazione è quella di chi farà rotolare la pietra all’ingresso del sepolcro. Quando arrivano, l’unico problema che non hanno è quello della pietra. Questo è il punto di partenza ed è uno degli elementi su cui i sinottici insistono troppo perché non sia importante. Le donne compiono questo lusso inutile di prendersi cura di un cadavere. E’ una sovrabbondanza, la condizione della loro fede, della loro possibilità di vedere il risorto. Hanno una preoccupazione che, come tutte le paure, anticipa quello che non c’è e normalmente sbaglia ed è la preoccupazione della pietra da spostare.

Il segno della resurrezione è che non c’è nessuna pietra da togliere. In realtà solo dopo cominciano le apparizioni, nessuno vede la resurrezione e pochi vedono il risorto. Tutti vedono però che non ci si può mettere una pietra sopra e quindi non si può chiudere il discorso. L’esperienza della resurrezione è proprio questa: non si può mettere una pietra sopra.

Questa è la chiave di lettura per poter capire quello che viene dopo. Cosa vuol dire che non ci si può mettere una pietra sopra quando il nostro problema è “chi mi toglierà la pietra?”!

Per cercare i segni della resurrezione non bisogna chiedere a se stessi chi, io o un altro, risolverà il problema ma bisogna chiedersi: ma che problema c’è? Dove sta realmente il problema? Perché non ci si può mettere una pietra sopra. Il segno della resurrezione da cercare è questo. Ogni volta che ci chiediamo come fare ad affrontare un problema, la domanda diventa invece: ma che problema c’è, lì è passato il risorto! Il segno della resurrezione è un’assenza. Questo è il titolo che mette sotto una certa luce tutto lo svolgimento del ragionamento.

La cosa interessante è che l’altro segno della resurrezione è che si dice che le donne “fuggirono dal sepolcro perché erano piene di spavento e stupore e non dissero niente a nessuno perché erano impaurite”. Il fatto di non credere succede a tutti: prima le donne non credono, poi Gesù appare e loro credono e la stessa cosa succede per gli uomini. Poi Gesù dice “chi crederà e sarà battezzato sarà salvato ma chi non crederà sarà condannato”. Ma vale la prima reazione o la seconda? Se vale la prima sono tutti perduti perché non hanno creduto, se vale la seconda sono tutti salvati.

Le donne nella cultura ebraica non erano degne di avere fede, né di testimoniare in tribunale, per esempio, quindi erano non soggetti. Guarda caso però le prime testimoni della resurrezione sono tutte donne. Maria di Magdala che è conosciuta nei secoli come apostola degli apostoli è stata accoppiata con la peccatrice. Marco ci dice: “Gesù apparve prima a Maria di Magdala dalla quale aveva scacciato sette demoni” e questo per l’evangelista equivale a dire che era una donna senza né capo né coda, una figura negativa.

Insisto su questo perché se noi prendiamo solo il versetto “chi crederà e sarà battezzato sarà salvato ma chi non crederà sarà condannato” facciamo distinzione tra credenti e non credenti. Qui in realtà tutti sono credenti ma anche non credenti, tutti sono peccatori e anche un po’ santi, tutti vedono e non capiscono e hanno paura, poi però vedono e un po’ capiscono.

“Questa andò ad annunciarlo a quanti erano stati con lui ed erano in lutto e in pianto. Ma essi, udito che era vivo e che era stato visto da lei, non credettero”.

Qui la dinamica è quella tipica del segno: se sento non credo, se vedo credo: credono solo quando Gesù appare. In compenso però né quando sentono, né quando vedono, capiscono. E’ uno spostamento molto pesante, rispetto al nostro modo di comprendere la fede e i segni, sul piano del vedere e del sentire più che del capire.

La presunzione contemporanea è che un segno serva ad essere spiegato e a capirne il significato. Infatti abbiamo grande difficoltà con l’arte.Tutto il dibattito attuale sull’arte è legato al fatto che se l’arte serve solo a rappresentare qualcosa, è meglio la foto. C’è tutta una distinzione tra foto digitale e non digitale. Si dice che la foto digitale non rappresenta le cose perché fa vedere quello che non c’è. A volte però solo facendo vedere quello che non c’è si ha la stessa sensazione di quello che c’è. L’arte antica aveva capito bene che per far sentire alle persone che guardavano il grande affresco di una battaglia la stessa paura di quella battaglia, non bisognava rappresentare la battaglia ma bisognava rappresentare l’epicità e in questo modo ognuno veniva catapultato dentro a questa dinamica.

Il rapporto tra il segno e il capire è molto complesso perché il segno, nel novanta per cento dei casi, è da guardare, da gustare, da sentire più che da capire.

Qui la dinamica è molto chiara: le donne e poi gli altri dicono, parlano con la presunzione che gli altri capiscono e quelli non credono. Dall’altra parte invece, quando vedono, hanno paura, non capiscono ma credono.

Gesù “li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore”. Se è vero che il segno serve per spiegare, doveva rimproverarli per l’incredulità e la durezza di testa, non di cuore. L’accoppiata è invece tra incredulità e durezza del cuore.

“Alla fine apparve anche agli undici mentre erano a tavola e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto. E disse loro: Andate in tutto il mondo e proclamate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato ma chi non crederà sarà condannato”.

Ci fa problema questa condanna per l’incredulità perché pensiamo che ognuno può credere a quello che vuole, ci da fastidio l’integralismo. Qui in realtà non è il problema dell’andare e dire il vangelo nella presunzione che se si dicono le cose gli altri le capiscono e se credono sono salvi, se non credono vanno all’inferno. La vita non cambia semplicemente perché capiamo. Tra Maria di Magdala che racconta di aver visto Gesù risorto e il crederci ce ne passa. Il rapporto tra segno e fede è fondamentale perché bisogna avere dei segni per credere ma non quelli che vengono da fuori che ci dimostrano razionalmente il dovere di credere ma i segni che riconosciamo come tali, che ci diamo per passare dalla comprensione intellettuale a quella vitale. Ciò che sappiamo di noi, del nostro rapporto col mondo, col Signore, con le cose che accadono, diventa per noi segno del fatto che stiamo diventando credenti.

Quindi proclamare il Vangelo non significa andare a spiegarlo. Infatti subito dopo si dice: “Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono” a dimostrazione del fatto che proclamare il vangelo non è spiegare a tutti come devono vivere ma è mettere in atto quei segni. Si dice infatti ancora “il Signore agiva insieme con loro e confermava la parola con i segni”.

Una parola sui cinque segni che vengono proposti perché sono molto curiosi. Sono segni classici del linguaggio biblico, soprattutto vetero-testamentario.

Il primo è scacciare i demoni che è una figura per Marco molto efficace e cara.

Il secondo segno è il parlare lingue nuove.

Il terzo segno prendere in mano serpenti che è un’immagine molto classica per un popolo che viveva nel deserto, in una terra arida ma piena di serpenti che erano un pericolo veramente grande e un pensiero costante tanto da diventare la figura di tutto il male. Quindi prendere in mano serpenti significava il dominio su di loro.

Il quarto: “se berranno qualche veleno non recherà loro danno”.

Il quinto: “imporranno le mani ai malati e questi guariranno”.

Questi cinque segni sono bellissimi se non li consideriamo segni di magia perché pensiamo che ora non succedono più. In realtà sono detti con il linguaggio di una cultura perché i segni, a differenza dei concetti, sono culturalmente segnati, devono funzionare nel concreto.

Infatti quando nei vangeli, per esempio, si parla dell’amare il prossimo, si racconta la parabola del buon samaritano, andando quindi su una cosa molto concreta per quel tempo. Oggi i briganti non li incontriamo più ma allora ce ne erano molti.

Il primo segno dei demoni per noi significa l’esperienza profonda di non essere totalmente padroni della propria identità. C’è sempre un angolo segreto, da qualche parte, che ci scappa di mano. I demoni sono quelli che noi oggi chiamiamo nevrosi, traumi, rimozioni. Avere come un altro sé dentro, in modi più o meno gravi, più o meno governati o addomesticati è una delle cose con cui fatichiamo tutta la vita nel tentativo di contrattare.

Il secondo, parlare lingue nuove, tra Babele e Pentecoste, per noi è il problema di capirsi. Anche quando vogliamo molto bene ad una persona, abbiamo tutte le intenzioni di capirla, la conosciamo, la ascoltiamo con attenzione e l’altra persona da parte sua fatica a dire quello che sente, alla fine però non è detto che ci si capisca. Abbiamo bisogno non di parlare la stessa lingua ma di parlare una lingua nuova, che ci consenta di capirci, senza distorsioni.

Il terzo, prendere in mano serpenti, significa governare il demone fuori, governare la realtà.

Il quarto: “se berranno qualche veleno non recherà loro danno”. Ciò che noi mangiamo e beviamo è il luogo della nostra fragilità e dipendenza. Mettiamo l’esterno dentro di noi che diventa noi, la nostra condizione per vivere. L’esterno può essere cibo ma può essere anche veleno: non lo sappiamo mai finchè non ne vediamo l’effetto. Il massimo dei disturbi della nostra società, non a caso, è quello della nutrizione, sia nella forma dell’anoressia che della bulimia o dell’obesità perché abbiamo un rapporto disturbato nella gratitudine e dipendenza o indipendenza dall’esterno.

Quindi i demoni sono la mia interiorità, le lingue la comunicazione, il prendere in mano i serpenti è il dominio della realtà, il bere qualche veleno è la relazione dall’esterno verso di me.

L’ultimo è: “imporranno le mani ai malati e questi guariranno”. Ancora una volta, nel regime dei segni, è un tocco. E’ un gesto che appartiene a tutte le forme religiose, dalle più antiche alle più strampalate: tutte possiedono questo gesto dell’imporre le mani. Nel Cristianesimo lo vediamo nei sacramenti, nell’ordinazione, nella cresima. E’ un gesto arcaico, profondamente umano. Un mio amico dice sempre che il tatto nei sacramenti dovrebbe diventare con-tatto nel duplice senso di contatto ma anche con tatto, con delicatezza. E’ interessante che in italiano il tatto è sia il toccare che la delicatezza, perché toccare un altro, se non è fatto con sufficiente delicatezza, fa male. E’ quindi il sogno grande che le nostre relazioni siano con-tatto di guarigione. Abbiamo sperimentato tutti il momento in cui quando qualcuno a cui vogliamo bene ha un male, fisico o morale e il nostro istinto profondo è sognare la bacchetta magica per guarire. Il sogno è che il tocco delle nostre mani possa guarire, risolvere, consolare, togliere il dolore.

Questi cinque segni dovrebbero essere ciò che si vede quando qualcuno crede.

Poi si dice: “Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu levato in cielo e sedette alla destra di Dio”. Questo capitolo inizia con Gesù che non è nella tomba e finisce con Gesù che se ne va. Negli ultimi venti secoli la chiesa ha lavorato molto sul tema della presenza, dimenticando un pochino il tema dell’assenza. Anche se nella Messa diciamo nell’attesa della tua venuta e quindi, se deve venire, vuol dire che non c’è, almeno in un certo senso. Quindi qui si dice che i segni della resurrezione sono visibili quando il Signore non c’è. Forse i segni della resurrezione che possiamo riconoscere intorno a noi sono quelli sotto la forma dell’assenza, quando le cose non dipendono da Dio ma da noi, quando la responsabilità è nostra, quando dobbiamo decidere nel limite della nostra incomprensione e non abbiamo mai tutta la comprensione che ci serve per decidere bene perché altrimenti saremmo Dio.

Concludo dicendo che, come afferma Erri De Luca, la parola credente non è un sostantivo ma un participio presente, è colui che è nell’atto di credere. Quando si dice: chi crederà sarà salvato e chi non crederà sarà condannato, si capisce che, alla luce di questo testo, bisogna leggere proprio la parola credente al participio presente, in una dinamica in cui a tutti capita di essere credenti e a tutti capita di essere non credenti in tempi e spazi diversi della vita e bisogna “decidere” quale degli abitanti del mio condominio interiore voglio nutrire. A seconda di chi è l’amministratore del condominio, credente o non credente, si prendono le decisioni che si devono prendere tenendo in considerazione tutti, ma l’amministratore dà l’indirizzo.

Dobbiamo quindi produrre segni sufficienti gli uni per gli altri per decidere chi è l’amministratore del condominio.

Fossano, 2 marzo 2013

(testo non rivisto dal relatore)

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