Stella Morra
3. Parole che fanno sperare
La riflessione su cui cerchiamo quest’anno di interrogare la Scrittura prende spunto dalla scelta di Papa Francesco di dedicare il Giubileo alla Speranza, per rispondere a ciò di cui ritiene che la Chiesa nel mondo e il mondo intero abbiano bisogno. Cerchiamo di seguire l’approccio da lui indicato nella lettera di indizione del Giubileo, che si intitola “Spes non confundit”, cioè “La Speranza non confonde”. Quindi intendiamo riflettere non tanto sulla Speranza intesa come virtù astratta, alla ricerca di pensieri ottimistici per il futuro, ma proprio sul tema del non essere confusi, che ha un altro sapore e mi sembra un desiderio abbastanza grande per tutti quanti in questi tempi, perché anche solo ascoltando il telegiornale alla sera o leggendo il giornale al mattino si rischia una discreta confusione.
Siamo partiti con un brano del Nuovo Testamento, il capitolo 24 di Luca, l’episodio dei discepoli di Emmaus, perché da questo brano emerge l’orizzonte, la logica di fondo che sorregge il percorso che vorremmo fare. La Speranza, il non essere confusi, in modo per noi controintuitivo, si fonda su una eccedenza. Perché controintuitivo? Normalmente si ritiene che si possa sperare se si ha un punto d’appoggio, una ragione solida. Invece il punto di vista cristiano è controintuitivo, è che la speranza si fonda sull’eccedenza, su quello che non è in nostro governo. Si fonda, per dirla in modo religioso, sulla fiducia in Dio – detto così sembra un moto dell’anima un po’ insensato, non aiuta a capire. Ma la speranza cristiana si fonda – detto in termini più laici – sulla potenza della vita, sul fatto che il desiderio, ciò che ancora non c’è, è il vero motore, quello che non tradisce. I due discepoli incontrano questo viandante silenzioso e sconosciuto, gli raccontano «noi speravamo che…» e lo riconoscono soltanto quando non ce l’hanno più davanti agli occhi: questo è il movimento richiesto per affidarsi all’eccedenza.
Da quella prima riflessione avevamo evidenziato tre tensioni: vedere-non vedere, spiegare-restare, guarire-curare. Come si fa a sperare fondandosi sull’eccedenza? Mantenendo in tensione ciò che vedo e ciò che non vedo; mantenendo in tensione la necessità di spiegazione, ma anche la necessità di restare, di farsi carico, di esserci; mantenendo in tensione il desiderio, la forza, la volontà di guarire con l’esperienza che è la cura che guarisce, perché dalla vita non si guarisce, nella vita alla fine si muore.
Ripartendo dai testi del Primo Testamento e poi, passando al nuovo, vedremo, all’interno di questo quadro di fondo, alcuni dettagli più analitici di questo processo. La volta scorsa abbiamo letto la conclusione del libro di Giosuè con l’alleanza di Sichem. Se leggiamo quella alleanza in una logica strettamente religiosa e trasfigurata in una simbolica devota e di convenienza – «grazie che ci hai liberato, se tu continui a stare dalla nostra parte noi saremo il tuo popolo» – è comprensibile, ma a noi non dice niente.
In realtà da quel testo possiamo ricavare due elementi, per la riflessione che stiamo conducendo. Il primo è la durata: il tempo che passa non è indifferente nelle relazioni, nella vita, nella storia, e non è solo una variabile accessoria: il tempo ci trasforma, ci lavora e noi lavoriamo il tempo. Soltanto in una logica strettamente tecnologica il tempo è divisibile in parti tutte uguali, ma l’esperienza del tempo è un’altra cosa, in alcuni momenti passa velocissimo, in altri momenti passa lentissimo, ha spessori e pesi diversi, ci trasforma e noi lo trasformiamo per noi stessi e per gli altri. La questione della speranza è chiaramente legata al tempo. La speranza è amare e credere in ciò che ancora non c’è, e questo impone al presente uno scarto temporale, impone l’esercizio di abitare due tempi contemporaneamente. Questa è una grande vocazione cristiana: noi viviamo nella storia, nel tempo, ma da quando Gesù si è incarnato, siamo già anche nell’eternità, nella fine dei tempi. Perciò dobbiamo fare continuamente l’esercizio – che è alla base della liturgia – di abitare due tempi contemporaneamente, volendo bene ad entrambi. Abitarli entrambi, perché questo ci dà spazio sufficiente, lo allarga, se no si finisce affogati solo nel presente, nel passato o in un generico ottimistico futuro.
Il secondo elemento che emerge dal testo di Giosuè è che la speranza nasce in un processo di eccedenza basato su una legge di libertà. L’eccedenza – nella tensione di cui abbiamo detto – ha come base il comprendere che ogni legge (la legge di Dio, ma anche la legge della realtà, delle cose come sono) è sempre un esercizio di libertà, perché la legge rende tutti uguali, nessuno è assoluto rispetto alla legge. Per il popolo ebraico il dono della legge è contemporaneo al dono della liberazione dall’Egitto, è la legge data sul Sinai, cui anche il re sarà sottoposto. Quando Davide la violerà facendo uccidere Uria, sarà punito per questo, dovrà pentirsi, perché anche il re è sottoposto alla legge. Questo, per un popolo antico, è un elemento deflagrante. La legge come esperienza di libertà è un dato assoluto anche per noi, perché siamo abituati a pensare che la libertà sarebbe una vita senza leggi, ma non è assolutamente vero: la legge è la misura della libertà, Bisognerebbe riflettere su che cosa significa una legge che serve la libertà, all’interno di alcune condizioni specifiche della vita.
La lectio di oggi
In questo tempo siamo tutti un po’ stanchi, per questo ho scelto un testo coerente col clima natalizio, un testo che ci consoli un po’, ed è il capitolo 35 di Isaia, versetti 1-10:
Il testo: Is 35, 1-10
35 1Si rallegrino il deserto e la terra arida,
esulti e fiorisca la steppa.
Come fiore di narciso 2fiorisca;
sì, canti con gioia e con giubilo.
Le è data la gloria del Libano,
lo splendore del Carmelo e di Saron.
Essi vedranno la gloria del Signore,
la magnificenza del nostro Dio.
3Irrobustite le mani fiacche,
rendete salde le ginocchia vacillanti.
4Dite agli smarriti di cuore:
«Coraggio, non temete!
Ecco il vostro Dio,
giunge la vendetta,
la ricompensa divina.
Egli viene a salvarvi».
5Allora si apriranno gli occhi dei ciechi
e si schiuderanno gli orecchi dei sordi.
6Allora lo zoppo salterà come un cervo,
griderà di gioia la lingua del muto,
perché scaturiranno acque nel deserto,
scorreranno torrenti nella steppa.
7La terra bruciata diventerà una palude,
il suolo riarso sorgenti d’acqua.
I luoghi dove si sdraiavano gli sciacalli
diventeranno canneti e giuncaie.
8Ci sarà un sentiero e una strada
e la chiameranno via santa;
nessun impuro la percorrerà.
Sarà una via che il suo popolo potrà percorrere
e gli ignoranti non si smarriranno.
9Non ci sarà più il leone,
nessuna bestia feroce la percorrerà o vi sosterà.
Vi cammineranno i redenti.
10Su di essa ritorneranno i riscattati dal Signore
e verranno in Sion con giubilo;
felicità perenne splenderà sul loro capo;
gioia e felicità li seguiranno
e fuggiranno tristezza e pianto.
Commento:
L’ambientazione storica di questo testo, dal sapore vittorioso, consolatorio, è appunto nel cosiddetto “libro delle consolazioni”. I profeti preannunciano il ritorno, consolano il popolo che è in esilio in Babilonia; oppure, dopo il ritorno dalla schiavitù, preannunciano che un nuovo esodo è possibile, e lo fanno attraverso molte immagini. Ma il problema per noi, nel leggere questi testi oggi, è che li leggiamo sentendone il sapore, ma perdendone le immagini. In altre parole, ne cogliamo il senso generale, l’invito a rallegrarsi ed essere contenti. Ma così non funziona, rischiamo di ridurlo ad un pistolotto moralistico, volontaristico che non ci dice niente. Ma qui si dice qualcosa di ben diverso, lo si dice attraverso immagini che bisogna far prevalere sul senso generale.
Le immagini usate in questo testo non sono quotidiane per noi, non perché non le capiamo, ma perché non ne abbiamo esperienza: siamo abituati ad aprire il rubinetto e vedere scendere l’acqua, e se proprio non lo fa per un guasto alle condutture, c’è comunque la scorta di bottiglie di acqua minerale in casa. Non riusciamo ad immaginare che cosa significhi
1Si rallegrino il deserto e la terra arida
Perché non facciamo tutti i giorni l’esperienza che l’acqua è una delle cose più preziose che abbiamo e che lavarsi, bere, poter cucinare, è un privilegio, nel senso che non in tutto il mondo, e nemmeno adesso, è così. Al tempo in cui è stato scritto il libro di Isaia il deserto e la terra arida erano l’esperienza quotidiana di una terra triste e dura dove bisognava stare molto attenti, calcolare il consumo dell’acqua e la distanza dalla prossima oasi. L’esperienza più simile a quella, cui possiamo fare riferimento, è la carica dei nostri dispositivi. Come se qui si dicesse “si rallegrino i cellulari, i PC e gli iPad, che non si scaricheranno mai più…”. Così capiamo un po’ meglio, capiamo che uno dei retropensieri che ci occupa incessantemente la testa non esiste più! Attraverso le immagini possiamo ricostruire l’esperienza di una consolazione, della sottrazione di una fatica:
esulti e fiorisca la steppa.
Che cosa vuol dire un fiore nel deserto? I fiori del deserto fioriscono e sfioriscono in poco tempo, non sono la fioritura paziente di una coltivazione, sono le piante grasse che nella notte fanno un fiore meraviglioso che al mattino è già appassito.
Come fiore di narciso 2fiorisca;
Al fiore della steppa si aggiunge il narciso, un fiore che dura a lungo. Pensiamo a quanto è potente questa immagine: «fiorisca la nostra vita, fiorisca la vita di coloro che amo…»
sì, canti con gioia e con giubilo.
Le è data la gloria del Libano,
lo splendore del Carmelo e di Saron.
Il Libano, il Carmelo e Saron sono i posti più bello che un ebreo in Babilonia riuscisse ad immaginare. Adesso non saprei, ormai il mondo è talmente globalizzato che ognuno di noi ha i suoi posti ideali, da Abu Dhabi a Singapore, a New York…
Essi vedranno la gloria del Signore,
la magnificenza del nostro Dio.
Il termine gloria – Shekhinah in ebraico, doxa in greco – contiene tanti significati, significa presenza, magnificenza… ma vedere la gloria è la forma più intima e alta di un rapporto, ed è la gloria del Signore che si vede! Ripensate ai discepoli di Emmaus – vedere, riconoscere e non vedere.
Poi c’è questo duplice versetto bellissimo:
3Irrobustite le mani fiacche,
rendete salde le ginocchia vacillanti.
4Dite agli smarriti di cuore:
«Coraggio, non temete!
Mani, ginocchia, cuore: con l’età le mani di tutti cominciano a fare meno presa, a volte le dita fanno male e non si riesce a fare i gesti più comuni; si impara che cosa vuol dire avere ginocchia vacillanti, e poi gli smarriti di cuore, gli sconsiderati di Sion, quelli che si confondono. Qui potremmo fare un buon ragionamento su questa dinamica tra coraggio e paura: coraggio, paura e speranza sono una triade inscindibile, se non si provano il coraggio e la paura non si potrà mai abitare la speranza. Vi leggo in proposito una frase di Emmanuel Mounier: “la speranza rifà ciò che l’abitudine disfa. È la sorgente di tutte le nascite spirituali, di ogni libertà, di ogni novità. Semina cominciamenti là dove l’abitudine immette morte”. Il fatto che Mounier consideri l’abitudine – e non la paura – il contrario della speranza mi ha colpita molto, e mi pare che questa sia una bella trasformazione tra i tempi di Isaia e quelli odierni; in una società priva di difese (nelle case più normali non c’era la porta ma una tenda o una chiusura di paglia, dunque un leone poteva entrare durante la notte), la paura era un sentimento molto chiaro. Noi siamo assicurati praticamente contro ogni possibile incidente o calamità, ma non esiste un’assicurazione contro l’abitudine e l’abitudine disfa quello che la speranza prova a fare, immette morte dove la speranza semina cominciamenti.
Ecco il vostro Dio,
giunge la vendetta,
la ricompensa divina.
Egli viene a salvarvi».
Viene quasi da pensare «allora devo avere due volte paura», se arriva la vendetta di Dio! Ma il brano dice che “Egli viene a salvarvi”. Apro una parentesi: non c’è scritto “perché voi siete i giusti, siete della parte dei cowboy e gli altri sono gli indiani; quindi, li possiamo ammazzare per esercitare la vendetta…” anzi, in altri testi profetici si dice più chiaramente che la vendetta di Dio è la salvezza, secondo un’altra logica controintuitiva, e lo sappiamo da quando Gesù Cristo è morto in croce: Dio aveva molti modi di vendicarsi; invece, ci ha resi i suoi figli.
5Allora si apriranno gli occhi dei ciechi
e si schiuderanno gli orecchi dei sordi.
6Allora lo zoppo salterà come un cervo,
griderà di gioia la lingua del muto,
perché scaturiranno acque nel deserto,
scorreranno torrenti nella steppa.
Qui non si parla di mani, ginocchia e cuore, ma di altre le malattie: ciechi, sordi, zoppi… quali sono le malattie da cui siamo guariti? Non quelle che ci aspettavamo: c’è sempre uno sfasamento tra il desiderio e la risposta, e lo sfasamento è per eccesso, al centro sono le malattie per così dire strutturali, non legate al tempo, alla vecchiaia.
7La terra bruciata diventerà una palude,
il suolo riarso sorgenti d’acqua.
I luoghi dove si sdraiavano gli sciacalli
diventeranno canneti e giuncaie.
8Ci sarà un sentiero e una strada
e la chiameranno via santa;
L’immagine che suscitano questi versetti è parlante per noi e per il nostro rischio di confusione. Nelle città antiche la “via santa” era la strada che portava al tempio principale, quella che per noi è “via Roma”, quindi non un sentierino difficile da trovare, ma l’arteria principale. Questo versetto è meraviglioso perché ciascuno di noi pensa che debba esserci una strada da qualche parte, anche se io non la trovo, e se la trovo sarà sicuramente in salita… invece “sarà una via che il suo popolo potrà percorrere e gli ignoranti non si smarriranno.” Qui non si parla più di malattie, ma si dice che pure se sono tonto e non ho capito proprio niente, non mi perdo, non sarò confuso in eterno.
Nessun impuro la percorrerà.
Sarà una via che il suo popolo potrà percorrere
e gli ignoranti non si smarriranno.
9Non ci sarà più il leone,
nessuna bestia feroce la percorrerà o vi sosterà.
Su quella strada non ci sarà nessun pericolo
Vi cammineranno i redenti.
10Su di essa ritorneranno i riscattati dal Signore
e verranno in Sion con giubilo;
felicità perenne splenderà sul loro capo;
È l’immagine della nube che protegge Israele nel cammino dell’Esodo riproposta per il ritorno dall’esilio:
gioia e felicità li seguiranno
e fuggiranno tristezza e pianto.
C’è un ritorno a casa o un viaggio verso nuovi cominciamenti, e sta sotto il segno di questa via santa, che si può percorrere e su cui, anche se ignoranti, non ci perderemo. Credo che questa immagine sia un buon augurio di Natale, ma vorrei condividere con voi gli auguri che ogni anno le Teologhe fanno, in un appuntamento che si chiama “la tenda di Natale”. Quest’anno ha partecipato anche Maria Angela Gualtieri, che ci ha letto una delle sue poesie, talmente forte che mi fa piacere condividerla con voi:
Bambina mia,
Per te avrei dato tutti i giardini
del mio regno, se fossi stata regina,
fino all’ultima rosa, fino all’ultima piuma.
Tutto il regno per te.
E invece ti lascio baracche e spine,
polveri pesanti su tutto lo scenario
battiti molto forti
palpebre cucite tutto intorno.
Ira nelle periferie della specie.
E al centro,
ira.
Ma tu non credere a chi dipinge l’umano
come una bestia zoppa e questo mondo
come una palla alla fine.
Non credere a chi tinge tutto di buio pesto e
di sangue. Lo fa perché è facile farlo.
Noi siamo solo confusi, credi.
Ma sentiamo. Sentiamo ancora.
Sentiamo ancora. Siamo ancora capaci
di amare qualcosa.
Ancora proviamo pietà.
Tocca a te, ora,
a te tocca la lavatura di queste croste
delle cortecce vive.
C’è splendore
in ogni cosa. Io l’ho visto.
Io ora lo vedo di più.
C’è splendore. Non avere paura.
Ciao faccia bella,
gioia più grande.
L’amore è il tuo destino.
Sempre. Nient’altro.
Nient’altro. Nient’altro.
L’associazione di idee tra la via santa e la porta santa è legittima, non letterariamente, ma dal punto di vista della nostra lettura. Papa Francesco ci dice che si può percorrere questa via santa, che passare attraverso la porta santa, è mettersi in movimento, è un cominciamento, è passare una soglia e iniziare di nuovo. Allora, buon Natale a tutti, davvero.
Fossano, 21 dicembre 2024
Testo non rivisto dall’autore
Lectio 2024/2025
Data | Titolo | Commento a: | |
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