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1 Aprile 2023
Stella Morra

7. Siate lieti

Commento a: Fil 4, 1-9


Il percorso che stiamo facendo è sul tema della preghiera e lo affrontiamo non tanto dal punto di vista tecnico. Sui metodi e sulle forme della preghiera vengono a volte fatte delle riflessioni che, però, non mi sembrano adatte a questo tempo di grande passaggio, in cui tutte le forme del nostro vivere cristiano si stanno trasformando in modo molto concreto. Si trasformano anche le abitudini quotidiane come l’andare in parrocchia e quindi anche la preghiera, che è una delle dimensioni della nostra vita credente. Da una parte si presentano dei problemi che sono sempre gli stessi, quelli di tutte le generazioni di credenti: c’è una fatica in sé nel relazionarsi a Dio, come c’è una fatica in sé nel relazionarsi alle persone. Ci sono dei ritmi da imparare di sé stesso e dell’altro, dei passaggi da rispettare, e così via. Contemporaneamente, ci sono anche dei problemi propri di questo tempo, delle attitudini interiori degli esseri umani, degli uomini e delle donne, dei credenti e delle credenti, che chiedono forme diverse e inaudite. Quindi il percorso che ci siamo proposti di fare è quello di andare ad esplorare delle dimensioni un po’ più profonde del movimento e delle dinamiche della preghiera, non tanto le tecniche ma qual è il movimento di fondo. Infatti, la classica risposta: “la preghiera è un incontro e un dialogo con Dio” è vera nella sostanza, ma quando noi intendiamo incontro o dialogo, la nostra esperienza di incontro o dialogo è molto concreta. Ci innervosiamo se uno non risponde a un whatsapp nel giro di tre o quattro minuti, figuriamoci cosa vuol dire per noi incontrare qualcuno in cui i sensi materiali non ci danno un’immediatezza di risposta. Il tutto con i rischi che questo comporta, cioè il fatto di “inventarsi” in assoluta buona fede delle risposte perché non le abbiamo, poi si tratta di quello che sentiamo psicologicamente, delle nostre reazioni emotive. Il passaggio successivo è quello di dire: “Dio da me vuole questo, mi ha detto questo…”, abbiamo visto in diverse situazioni ecclesiali come può diventare facilmente un percorso manipolatorio di sé e degli altri. Quindi a fronte di questa differenza di forma, perché per noi incontro/dialogo vuol dire qualcosa di profondamente diverso, proviamo a percorrere la dinamica più profonda per ritrovare il senso di una preghiera, che non è altrove rispetto al nostro corpo, alle nostre mani, alla nostra esperienza, ma ha un principio di realtà, cioè consente, o ci dovrebbe consentire, di sperimentare un’oggettività della realtà che non è solo proiezione della nostra mente, del nostro cuore o dei nostri sentimenti. cioè un incontro, e come questo può accadere in un tempo in cui la nostra percezione di incontro ha una grossa valenza legata alla comprensione intellettuale ed ai sensi.

Se questa è la domanda di fondo che ha accompagnato il nostro percorso, i passi che abbiamo fatto fino a qui, nei primi quattro incontri sull’AT ci hanno portato, almeno da parte mia, a cercare di percorrere tutta la questione del desiderio rispetto alla vita o alla morte. In fondo tutti i nostri incontri quotidiani, anche quelli più banali, si giocano su questa differenza radicale. Ogni percorso terapeutico ci mette di fronte a questa domanda: se ciò che facciamo e scegliamo, è per nutrire la vita, nostra ed altrui, o è per la morte, in qualche modo per schiacciare una o più dimensioni.

Abbiamo visto nelle figure di Tobia, Elia, nel Salmo, e poi in Mosè, come l’AT ci mostra che Dio è dalla parte del desiderio di vita, che Dio accoglie delle preghiere perché in realtà trasforma anche le richieste legittime di morte, cioè i “basta così, per favore, non ce la faccio più”, in una nuova sfida posta da una realtà rovesciata, in un’esperienza di sovrabbondanza come quella del Salmo. Certamente questo non accade nei dieci minuti in cui uno magari si mette lì a leggere un testo della Parola di Dio, o va in chiesa, o fa uno dei gesti che noi normalmente chiamiamo preghiera. Questo accade nel riconoscimento della propria storia, nel prendere in mano la propria storia secondo uno sguardo largo, una misericordia del cuore, nel riuscire a trovare un posto dentro di sé, ai passaggi, e dunque come scoprire poi come certi desideri di morte si sono tramutati poi in occasioni di vita. Fino ad arrivare alla postura di Mosè, di cui abbiamo letto le benedizioni prima della morte, cioè l’incontro con Dio trasforma la sua vita fino al punto che nel momento in cui la sua vita biologica finisce tutta la sua parola è benedizione e non lo è perché è buono, o si è obbligato, o educato a farlo (anche se in parte è così), ma perché è in grado di avere tutto lo spazio necessario dentro il proprio cuore per accettare. Come dice la poesia di Bonheoffer sulla morte di Mosè, di avere portato il peso del proprio popolo senza poterne ricavare un apparente risultato positivo, ma questa realtà rovesciata di rimanere sulla soglia della terra promessa non è l’impedimento a benedire, anzi, è la consegna della benedizione, è consegnare la sua scelta di vivere, non la sua esperienza del morire.

Poi, abbiamo visto due testi del NT, il primo è il testo di Simeone ed Anna, di Gesù presentato al tempio. C’è un’altra forma di preghiera che ci viene posta dal NT attraverso Gesù, che è una figura dell’attesa. Simeone ed Anna sono la figura dell’attesa, sono la capacità di restare sulla soglia della terra promessa, del sapere che tutto il mondo è la terra promessa, perché in realtà non c’è più una terra promessa, ma un tempo promesso. Il regno di Dio è un tempo, è il tempo compiuto di fronte al quale Simeone ha ancora un po’ l’atteggiamento di Mosè e dice: “ora lascia che il tuo servo vada in pace”, perché, effettivamente come Mosè, vede in Gesù il tempo promesso, anche se ancora non si vede niente, lui lo riconosce. È uno degli ultimi personaggi dell’AT, benché sia nel NT. Fino alla Resurrezione, invece, le donne sono sempre le prime, capiscono un attimo prima, ed Anna è già un personaggio del NT, è colei che pur essendo anziana come Simeone non dice “ora lascia che la tua serva vada in pace”, ma va fuori dal tempio per dire a tutti coloro che la attendevano, che è arrivata la salvezza di Gerusalemme. Mette in circolazione, trasforma in pane condiviso ciò che ha visto, l’invisibile che ha visto in un bambino che per adesso non è niente, perché non si sa ancora  nulla di lui né di cosa accadrà.

L’altra volta abbiamo visto due episodi del capitolo 4 di Gv, il miracolo di Cana e i mercanti cacciati dal tempio. Sono episodi immediatamente successivi anche se non vengono mai letti in successione uno all’altro e rappresentano come si iniziano a vedere alcune cose di quel bambino di cui non si vedeva ancora niente. È il cosiddetto inizio del ministero pubblico. Come prima cosa si vede la partecipazione alla gioia, alla festa, al nutrire la vita; un matrimonio nell’antichità è proprio la scommessa sulla vita futura poiché darà l’inizio ad un lignaggio. È l’investimento su quello che accadrà al di là delle persone che si sposano e in quel momento di festa Gesù c’è, un po’ controvoglia come ricorda il testo, però partecipa a questa gioia, trasforma l’acqua in vino, la rende possibile, interrompe un reale per rendere possibile la festa, la condivisione, la possibilità di futuro. Ma contemporaneamente non è solo questo, è sempre il riconoscimento del ruolo di Dio nel reale e quindi salendo al tempio ha un’ira furibonda, caccia i mercanti in un modo estremamente violento. Raramente di Gesù vengono riportati atteggiamenti violenti, eppure in questo caso è così, caccia i mercanti perché la questione in gioco è esattamente quella di mettersi dalla parte della vita e questo significa anche non farne commercio, non farne calcolo, non farne semplicemente l’occasione di far soldi. Non è solo questo, non sono i soldi in sé, ma piuttosto il non fermarsi ad avere spazio solo per le cose da trafficare, per un calcolo dare e avere, questa è una casa di preghiera e l’avete trasformata in una casa di commercio. Ci va una casa di preghiera, il mondo è una casa di preghiera, la nostra vita è una casa di preghiera e se ne facciamo puramente un commercio: ci mettiamo dalla parte della morte.

La lectio di oggi

Concluderemo con un incontro che spero butti luce su tutto ma oggi siamo alle prese con un breve testo che amo molto, spesso è letto nella liturgia e mi sembrava un testo abbastanza pasquale, adatto ad accompagnarci in un modo forte nella Settimana Santa. È un testo dalla lettera ai Filippesi, quindi passiamo dall’esperienza della vita di Gesù (alla quale torneremo nell’ultimo incontro) alla vita tra i discepoli che stanno cercando di organizzarsi intorno al vivere da cristiano, dopo che Gesù ha concluso la sua parabola terrena, ed è morto benedicendo come Mosè ma abbiamo un pezzo in più, è risorto. L’esperienza che loro hanno fatto non è solo quella del perdono che Gesù dice sulla croce, della sua benedizione fino all’ultimo, come per Mosè, ma è l’esperienza di averlo rincontrato vivente e di averlo visto partire, di tutte e due le cose. È l’esperienza di essere posti di fronte alla necessità di rendere presente un assente, di avere addirittura sulle spalle il dover in qualche modo consentire ad altri di fare la loro stessa esperienza

Il testo: Fil 4, 1-9

4 1Perciò, fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete saldi nel Signore così come avete imparato, carissimi! 2Esorto Evòdia ed esorto anche Sìntiche ad andare d’accordo nel Signore.

3E prego te pure, mio fedele collaboratore, di aiutarle, poiché hanno combattuto per il Vangelo insieme con me, con Clemente e con gli altri miei collaboratori, i cui nomi sono nel libro della vita.

4Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. 5 La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino! 6 Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti; 7 e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù.

8In conclusione, fratelli, tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri. 9Ciò che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, è quello che dovete fare. E il Dio della pace sarà con voi!

10 Ho provato grande gioia nel Signore perché finalmente avete fatto rifiorire la vostra premura nei miei riguardi: l’avevate anche prima, ma non ne avete avuto l’occasione. 11Non dico questo per bisogno, perché ho imparato a bastare a me stesso in ogni occasione. 12So vivere nella povertà come so vivere nell’abbondanza; sono allenato a tutto e per tutto, alla sazietà e alla fame, all’abbondanza e all’indigenza. 13Tutto posso in colui che mi dà la forza.

14Avete fatto bene tuttavia a prendere parte alle mie tribolazioni. 15Lo sapete anche voi, Filippesi, che all’inizio della predicazione del Vangelo, quando partii dalla Macedonia, nessuna Chiesa mi aprì un conto di dare e avere, se non voi soli; 16e anche a Tessalònica mi avete inviato per due volte il necessario. 17Non è però il vostro dono che io cerco, ma il frutto che va in abbondanza sul vostro conto. 18Ho il necessario e anche il superfluo; sono ricolmo dei vostri doni ricevuti da Epafrodìto, che sono un piacevole profumo, un sacrificio gradito, che piace a Dio. 19Il mio Dio, a sua volta, colmerà ogni vostro bisogno secondo la sua ricchezza con magnificenza, in Cristo Gesù. 20Al Dio e Padre nostro sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.

 

Commento:

È un testo breve ma bello e molto denso. Se leggiamo con attenzione i versetti 1-3 notiamo che sono un po’ strani perché evocano tutto un mondo dietro Paolo, e noi siamo sempre abituati a pensare a Paolo come un solitario che aveva un caratteraccio, che probabilmente è vero, quindi ad uno carismatico, uno che decideva, un capo di comunità, un fondatore di molte chiese. Sono tutte cose vere ma qui, come in altre lettere, si mostra un tessuto di relazioni; due nomi femminili, un nome maschile, il rivolgersi al fedele collaboratore, l’inizio fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, c’è un tessuto di relazioni e tutto questo tessuto di relazioni ha un unico scopo, rimanete saldi nel Signore così come avete imparato.

È qualcosa che tante volte è venuto fuori negli incontri intermedi, che abbiamo sperimentato in questi molti e lunghi anni di lectio in un modo abbastanza strano e difficile da spiegare ma trovo sia importante. Il tessuto di relazioni che si è creato tra noi è un tessuto apparentemente fragile, non particolarmente organizzato, che non punta a fare una comunità, a costruire un movimento, che non vincola le persone più di tanto, apparentemente chiede poco, dato che ci vediamo una volta al mese e nemmeno sempre. Negli ultimi anni è poi stato tutto particolarmente disastrato e ci siamo visti più online che di persona. Insieme alla pandemia abbiamo passato un brutto momento di crisi sul definire l’Atrio, sul dire cosa aveva fatto eccetera, ma il tessuto di relazioni tiene e ci aiuta a rimanere saldi, in qualche modo ciascuno di noi l’ha sperimentato se no non sarebbe più qui. Qualche strano e misterioso metodo ci consente di rimanere saldi in alcune intuizioni anche quando queste intuizioni si fanno fragili o apparentemente astratte, o ridotte ad un puro piccolo sentire del cuore e sembrano non avere nessun aspetto concreto, oppure ciascuno di noi trova i suoi aspetti concreti che sono i suoi, il suo modo di essere e di fare in altre realtà, organizzazioni o individualmente. C’è un tessuto di volti con cui si condivide la Parola che consente di rimanere saldi.

Questo, dal mio punto di vista, è l’anima della preghiera o, se volete, il tessuto della comunione dei Santi, che è a metà tra un sentimento, una realtà, una grazia (cioè un qualcosa che non costruiamo noi, ma che ci viene dato), un’occasione della storia, un insieme di casualità. È una ricetta fatta con tanti ingredienti e non si sa mai bene qual è la dose giusta, noi fatichiamo a tenere tutto in equilibrio, però, chi fa la torta è Dio e quando la torta la fa Dio, più o meno funziona, e tu non sai il perché. Funziona anche con allontanamenti, avvicinamenti, con la torta tutta storta o che si sbriciola. Funziona anche quando non viene tanto buona perché esattamente non è un luogo di preghiera reso un luogo di commercio, cioè di potere anche spirituale, di affermazione, del mettere un imprinting e dire “questo è il mio gruppo, l’ho fondato io, questa è la nostra cosa…”.

Per questo motivo questi tre versetti li amo all’infinito, per me sono veramente un po’ la riscrittura di quello che ho cercato di fare con la mia teologia, di mettere in moto diverse relazioni, tante, che potessero essere per le persone e dove ricopro ruoli molto diversi; quando sono Professore ho un certo ruolo, quando sono con l’Atrio un altro, quando sono nella cerchia di amici un altro ancora, perché non sono le mie cose, sono la comunione dei Santi che si muove per grazia e che ci consente di rimanere saldi anche se non sapremmo quantificare, trasformare in numero di colombe, capretti, agnelli o monete d’oro, altrimenti sarebbero i mercanti al tempio. Come è successo all’Atrio e ad altre realtà ultimamente, quando ci si trova di fronte alla necessità di dire: “sì, ma un po’ di organizzazione per mandare avanti le cose ci va”, perché per creare le occasioni un po’ di organizzazione ci va, non bisogna prenderla troppo a cuore, lasciare che Dio distrugga il tempio e lo ricostruisca in tre giorni, bisogna un po’ lasciare che ci aiutiamo ad andare d’accordo nel Signore. Mi piace tanto quando ci dice:

2Esorto Evòdia ed esorto anche Sìntiche ad andare d’accordo nel Signore.

3E prego te pure, mio fedele collaboratore, di aiutarle poiché hanno combattuto per il Vangelo insieme con me, con Clemente e con gli altri miei collaboratori, i cui nomi sono nel libro della vita.

La cosa bellissima è il motivo, non perché bisogna essere buoni, non bisogna litigare o perché non ci vanno i conflitti ma perché hanno combattuto per il Vangelo insieme con me. In questi 20 anni abbiamo combattuto per il Vangelo insieme, ognuno a modo suo, nel piccolo e nel grande, se non altro abbiamo combattuto i nostri demoni interiori, poi credo che ognuno nel proprio piccolo abbia provato a combattere all’esterno, ad aiutare, a diventare un segno dell’amore di Dio per gli altri. Dunque fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, questo possiamo davvero dircelo gli uni gli altri, siamo la nostra reciproca gioia e corona che ci permettono di rimanere saldi.

Questa è l’anima profonda della preghiera, poi ognuno di noi fa un po’ a modo suo, fa o non fa, non fa tanto, fa di più, in certi tempi della vita fa meglio, ed in altri fa un po’ peggio, si perde per strada, ma questo tessuto, questi nomi e cognomi sono nel libro della vita, anche quando desideriamo la morte. Questo pensiero ci conduce in questa Settimana Santa a celebrare la comunione dei Santi, con questo tessuto di nomi e di cognomi carissimi, desiderati, gioia e corona, proprio l’orgoglio gli uni degli altri e questo semplicemente per un motivo, perché abbiamo combattuto insieme per il Vangelo, questo ci rende saldi. Sarà che in questo tempo ci sono molti pensieri attorno alle notizie di cronaca, credo valga anche per voi, in Gregoriana è molto pesante sentire le notizie su Marco Rupnik, ci sono tanti dolori su questo piano e sono particolarmente pensierosa e terrorizzata su come uso il potere che ho, il potere di una parola convincente, eccetera, e questi versetti mi hanno molto accompagnato e consolato.

Ripeto, questo mi sembra il cuore della preghiera, Paolo ci dice che la comunità si dà per rimanere a sperimentare la presenza del Signore, siamo l’uno il custode dell’altro. Ho tanto riso in questo periodo perché ho scovato un podcast sulle gaffe dell’attuale governo che si intitola “ma non hanno un amico?” e ogni puntata inizia dicendo “ma non hanno un amico che gli dica guarda che questa roba è proprio esagerata…” perché qui non è una riflessione politica, bisogna proprio avere un amico che gli dice: “ma datti una regolata”. Il cuore della preghiera è che noi abbiamo amici che ci dicono “rimani saldo”, certe volte invece ci dicono “non so cosa dirti”, che non è una grande risposta ma è una voce, la voce di Dio che ci risponde, risponde alla nostra preghiera e ci spinge a rimanere dalla parte della vita, a rimanere saldi per mettersi dalla parte della vita nostra ed altrui. Come avrete capito su questi tre versetti potrei rimanere un’altra oretta e mezza ma ve lo risparmio, però li trovo tanto densi ed importanti, non solo spiritualmente, ma anche politicamente, nella forma storica.

Il testo poi dice

4Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi.

Credo venga in mente a tutti il testo di Evangelii Gaudium che finisce tutta la parte biblica citando Siracide 14, 14 che dice non privarti di un giorno felice, non ti sfugga nulla di un legittimo desiderio. Se il cuore, la dinamica profonda della preghiera, è in questo tessuto di relazioni che ci consente di volta in volta di rimanere saldi nel reale di fronte ai desideri di morte nostri ed altrui e di metterci dalla parte dei desideri di vita e riconoscere la risposta di Dio a cui ci rivolgiamo, il versetto Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi non è un insegnamento di ordine moralistico, cioè anche quando stai malissimo devi essere contento, non è questo. È proprio il non privarti di un giorno felice, non perdere niente della gioia di questa vita, di tutta quella che c’è, non gettare niente. Se la questione è il non fare un luogo di commercio di una casa di preghiera allora tutto è donato, la festa è un regalo e quindi non dobbiamo buttarla mai via, non sprechiamo nulla del nostro desiderio. I desideri si possono sprecare e questo è forse il peccato più grande. Si sprecano per paura, perché ci costringe a posizionarsi, perché esprimere un desiderio significa esporsi al rischio del rifiuto e che qualcuno ci dica “che sciocco che sei a desiderare questo”, essere smentiti o non riconosciuti che è forse uno dei dolori più grandi che possiamo provare nella vita. Esprimere un desiderio e prenderlo sul serio ci espone, il desiderio di Gesù che ognuno sia salvato, lo espone fino alla croce e quindi bisogna un po’ impegnarsi per non privarsi di un giorno felice, per essere all’altezza dei propri desideri, per rallegrarsi nel Signore sempre, per raccogliere ogni briciolo, ogni boccone avanzato di gioia come dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci, raccogliete i pezzi perché nulla vada perduto. Certo, le pagnotte intere sono più eleganti, non si mette il pane sbocconcellato in tavola, ma quando c’è penuria e fame si usano anche i pezzi. Nulla deve andare perduto della gioia che ci viene data. In certi periodi poi la gioia pare particolarmente poca, tutto ha la faccia faticosa, allora bisogna veramente raccogliere i pezzi perché nulla vada perduto.

Immediatamente dopo si dice:

5 La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino!

È interessante perché rallegratevi ha sì una faccia di impegno, di responsabilità che non è nell’impegnarsi ad essere contenti, col sorriso fermato dalle orecchie, anche quando uno sta da schifo, non è questo, ma l’aspetto di impegno: è ciò che si vede nella storia, è la parola di Dio che diciamo alla storia, cioè la nostra affabilità sia nota. Non ci si riferisce al carattere, non è una questione di carattere, io sono abbastanza aggressiva e impulsiva, ma non è questo il problema: il problema è l’affabilità, la capacità di creare relazioni, di prendere sul serio l’interlocutore, di riconoscerlo e lasciarsi riconoscere. Deve essere noto che siamo in grado di riconoscere gli altri umani e di lasciarci riconoscere dagli umani, di lasciarci toccare, ferire. Questo per un unico motivo, non perché siamo buoni o filantropi, perché il Signore è vicino. Cosa volesse dire Paolo con il Signore è vicino, nel senso che probabilmente c’è tutto il tema della Parusia che pensava che la fine del mondo fosse immediata, nell’arco della generazione, eccetera, ci sono una serie di discussioni degli esegeti, ma mi sembra che in ogni caso la sostanza sia una sola: il Signore assente, quello che è salito in cielo, quello che apparentemente non c’è più, è vicino, non è qui ma è vicino. Noi siamo sempre un po’ tentati di dire “il Signore sia con te”, lo diciamo anche come augurio nella liturgia che il Signore è qui, è presente, ma il Signore è vicino e c’è una piccola differenza. Essere qui è una cosa, mentre essere vicino è un’altra. Il Signore non si distrae, non se ne va per la sua strada, è vicino come il papà che ha mollato il sellino della bicicletta del bambino che impara ad andare in bici, che ha tolto le rotelle e per un po’ il papà lo tiene, è lì e poi lo lascia e il bimbo non deve accorgersene perché se non se ne accorge pedala e va, se se ne accorge in genere cade. Il Signore è vicino, ha lasciato il sellino della bici, ci lascia pedalare.

Poi ci sono questi versetti 6 e 7 che per gli ansiosi come me sono una botta

6 Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti; 7 e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù.

In realtà il verbo greco più che “non angustiatevi” è più vicino al “non ansiatevi”, come dicono i ragazzini di adesso. Non ansiatevi per nulla, cioè non fatevi dominare dall’ansia che, come la paura, è un’anticipazione del futuro, e dunque è tendenzialmente inutile perché il futuro non è nelle nostre mani, non è nel nostro potere. Possiamo prepararci un po’ ma nemmeno troppo. Non abbiate ansia per nulla, mamma mia, succede praticamente solo nel regno di Dio, credo che non ci arriverò mai. Però forse si tratta di trasformare anche l’ansia in una necessità con cui espongo a Dio le mie richieste, con preghiere suppliche e ringraziamenti. In questo senso, come dicevo prima, anche l’ansia è uno dei pezzi della vita che possiamo usare come una preghiera. Quando ci riesco, fare questo esercizio mi aiuta molto, è il mio modo di pregare più comune, io non sono molto brava a pregare, ma sono molto brava ad essere ansiosa e quindi usare la mia ansia come preghiera mi viene benissimo.

7 e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù.

Ci sono due regali in questo, la pace e la custodia. Ogni adulto sa bene che essere custoditi è l’operazione più difficile del mondo perché il passo da custoditi ad oppressi, controllati o incasellati, è un passo molto veloce da fare. Custodire richiama ai primi tre versetti, ad un tessuto di relazioni libere e liberanti. Il frutto dell’esporre a Dio le proprie ansie non è che Dio mi darà una soluzione ma sono la pace e la custodia dei cuori e dei pensieri. Chiunque abbia passato una notte un po’ sveglio per qualche angoscia, credo sia capitato a tutti e non solo agli ansiosi, sa che di notte i pensieri vanno a mille. Le cose che poi di giorno ti possono sembrare gravi ma affrontabili di notte diventano dei mostri perché i pensieri non si staccano più e il cuore gli va dietro. Dunque non dormi più perché ti agiti e ti preoccupi, stai veramente male, ecco, Dio custodisce i cuori e i pensieri, tutte e due le cose. Li custodisce non in una culla che ci mette al riparo da tutto ma li custodisce in un tessuto di relazioni, prepara una storia, “un corpo mi hai preparato” come dice il profeta Isaia (Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Is 10,5). Dio prepara un tessuto di relazioni nella realtà perché la nostra ansia sia riconosciuta, accolta e dunque noi possiamo farla passare, sia nei pensieri che nei cuori. Trovo questo versetto veramente pasquale.

8In conclusione, fratelli, tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri.

Si vede bene che in questo elenco Paolo si sforza di metterci tutto, di mettere tutte le cose più belle che gli vengono in mente, però sono cose belle della realtà, di una relazione, cioè di ciò che si vede anche dall’esterno e non solo di ciò che io sento.

vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode

È tutto quello che possiamo fare nel tempo e nella storia dentro alle relazioni, come buono dalla parte della vita, come benedizione incarnata, come tutte le cose che custodiscono gli altri e che li aiutano a rimanere saldi; tutte queste cose siano l’oggetto dei vostri pensieri. Noi possiamo occuparci dei pensieri, solo Dio può occuparsi dei cuori perché cambiare i cuori è dura, anche il nostro, ci è quasi impossibile. Solo la grazia può convertirci fino in fondo, ma dei pensieri siamo un po’ più responsabili e allora l’oggetto dei nostri pensieri si concentra, facciamo posto nella nostra casa interiore a tutto ciò che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode.

Ancora una volta, attenzione, non è lo sforzo moralistico, un po’ pelagiano del dire io sono un gran figo, è proprio lo sforzo di avere posto per ciò che sta dalla parte della vita, mia ed altrui, senza preoccuparci troppo se questo ci espone anche a degli errori. Dio metterà riparo se sono fatti con cuore sincero, diciamo con il cuore più sincero possibile. Poi, vigiliamo e cerchiamo di fare meno errori possibile ma non è questo il problema, abbiamo il coraggio di esporci, perché nel nostro “sporci” nelle relazioni c’è il cuore di questa preghiera e consente agli altri di dirci, di conoscerci, di vigilare anche su di noi.

9Ciò che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, è quello che dovete fare.

Non è che Paolo si propone come un esempio assoluto ma dice semplicemente che questa è la logica di una relazione tra fratelli. Non è il Dio che non si vede ma è ciò che si vede, si ascolta, si impara gli uno dagli altri.

E il Dio della pace sarà con voi!

È curioso, non è il Dio di Gesù Cristo, ma il Dio di quella pace di cui ha parlato prima, della pace che è il risultato di fare dell’ansia una preghiera, quella pace che custodisce il cuore ed i pensieri, quel Dio capace di dare pace ai cuori sarà con noi, non vicino ma con noi, non quasi quasi ma proprio lì.

Trovo questo testo molto denso, molto bello e anche abbastanza Pasquale da accompagnarci in questa Settimana Santa un po’ così. Per fortuna non è più una Pasqua chiusa per il lock down, meno male, ma è una Pasqua ancora attraversata dai rumori della guerra. Abbiamo tutti temuto che il Papa fosse ancora all’ospedale, in cui molti dolori, scandali e colpe gravi stanno attraversando la Chiesa e ci riguardano tutti, in cui forse manchiamo un po’ di speranza, non abbiamo più tutta l’energia che ci servirebbe per guardare al futuro e forse siamo abbastanza dominati dall’ansia. Non abbiamo tutti i torti, anche io avrei voluto prendermi questi giorni per ritornare in Piemonte ma non ho potuto farlo, quindi mi tocca affrontare anche la Settimana Santa così stanca e svogliata e mi sono detta che possiamo prendere questo testo e questo tessuto che ci tiene legati per rimanere saldi e rimanere saldi e trovare un tono pasquale, rimanendo consapevoli che non siamo nel miglior mondo possibile ma contemporaneamente capaci di pensare il futuro senza ansia, di scommettere sull’esporci per il futuro.

Fossano, 1 aprile 2023
Testo non rivisto dall’autore

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