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21 Maggio 2022
Stella Morra

8. Spazio da abitare

Commento a: Gv 20, 1-30


Sono stata molto pensierosa nel preparare questa Lectio, più di altre volte, un po’ perché è lultima, un po’ perché è come sospesa, aperta. Siamo tutti in un tempo in cui abbiamo la sensazione che almeno da alcune cose stiamo uscendo, ma stiamo entrando in altre e c’è un tempo di strana sospensione, non risolutiva, in cui tutti sperimentiamo un cambiamento, almeno comune. In altre occasioni mi sono trovata a commentare dei testi che mi davano il senso di un percorso compiuto. In questo percorso io-siamo”, questa riflessione sul comune e sulle sue condizioni spirituali, mi lascia con una sensazione di incompiutezza e di un territorio che non conosciamo, al di là delle parole. Stamattina (nell’incontro con l’Azione Cattolica regionale sulla sinodalità) citavo Ivan Illich il quale dice che ci sono delle parole che diventano “di plastica”, cioè che perdono il loro rapporto con il reale e diventano parole di cui riconosciamo il senso, che sono importanti, alle quali crediamo anche, che però non riusciamo più ad agganciare dentro la pancia, che rimangono sulla superficie delle cose. Rispetto al nostro tema, mi sembra che siamo proprio un po’ a rischio di farle diventare parole di plastica, un po’ sulla soglia, non abbiamo nemmeno fatto il primo passo oltre la soglia, almeno questo è il mio sentimento.

La lectio di oggi

In questa logica condivido con voi la riflessione sul brano di oggi che chiude un po’ il cerchio; è il testo più lungo e più completo di quel prequel che abbiamo proposto a ottobre, il capitolo 20 di Giovanni, dopo la resurrezione. Allora ci eravamo concentrati soprattutto su un versetto,”non mi trattenere”, e sull’idea di distanza-relazione di un noi che non è un possesso, che salvaguarda lio. Questa sera siamo invitati a leggere tutto il testo coi suoi vari pezzi. Come sapete il vangelo di Giovanni è un vangelo molto costruito, sembra spontaneo nel linguaggio, ma in realtà è costruito un po’ a tema e anche qui i pezzi non sono messi a caso, ma sono dei pezzi che si connettono e si costruiscono reciprocamente. Manteniamo quindi la luce brillante di quel pezzettino che abbiamo visto allinizio e lo circondiamo con lincastonatura in cui Giovanni ce lo presenta.

E’ un capitolo che io ho commentato tante volte, perché è un testo che io amo tantissimo. Trovo che questo capitolo 20 sia uno di quelli che proprio mi sostiene: intellettualmente, emotivamente e spiritualmente in tantissimi modi, quindi lo amo molto e tutte le volte che lo scavo un po’ trovo altre risonanze. Si tratta del primissimo racconto del dopo resurrezione, ma guardato dal punto di vista di Maria di Magdala e dei discepoli che non sanno ancora che è avvenuta la resurrezione: loro sono ancora fermi alla morte. Già questa sospensione, questa delusione, a cui Luca dà voce nei discepoli di Emmaus (avevamo sperato che fosse lui”), mi sembra dica bene dove siamo noi: siamo su una soglia in questo tempo. Avevamo sperato che alcune esagerazioni, come certi tipi di violenza, di guerra non si sarebbero ripetuti, ormai avevamo capito la lezione del Novecento che era stata pesante e chiara: più indietro di lì non si sarebbe tornati. Vivevamo in un tempo felice in cui la medicina, il vivere in paesi ricchi ci garantiva abbastanza. Certo, la vita è complicata e le disgrazie possono sempre succedere, ma mica ci saremmo ritrovati con una peste medievale! E invece è accaduto e ci troviamo in un tempo apparentemente tornato nelloscurità, almeno per ciò che riguarda il noi; nell’orizzonte generale siamo tornati con un sapore di tombe.

Il testo: Gv 20,1-30

20  1 Nel giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. 2Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». 3Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. 4Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. 5Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. 6Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, 7e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. 8Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. 9Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti. 10I discepoli perciò se ne tornarono di nuovo a casa.

11Maria invece stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro 12e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. 13Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto». 14Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. 15Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo». 16Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» – che significa: «Maestro!». 17Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: «Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro»». 18Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: «Ho visto il Signore!» e ciò che le aveva detto.

19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

24Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».:

26Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». 27Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». 28Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». 29Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

30Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro.

 

Commento:

1 Nel giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand’era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro.

Rifletto sempre tantissimo su questo senso di urgenza e di fretta,  di buon mattino quando era ancora buio, perché mi pare che la fretta sia il carattere di noi ansiosi, ma anche dei rapporti passionali. Maria poteva anche andare più tardi, Gesù ormai era morto e quello che lei si accingeva a compiere era il gesto della pietas sui cadaveri, quindi un gesto di per sé inutile. Maria di Magala va perché l’urgenza la spinge, perché è lei che ha fretta, non è nell’opera la fretta.

Mi chiedo sempre, in questo tempo di grande stanchezza, qual è la nostra fretta collettiva, ammesso che ce ne sia ancora una. Siamo in grado di ritrovare un buon motivo per avere fretta, per vincere la nostra stanchezza? Stamattina riflettevo con le persone dell’Azione Cattolica regionale circa la sinodalità e dicevo che mi sembra che papa Francesco ci stia dando un buon motivo: c’è una Chiesa a cui voler bene e c’è un mondo a cui mostrare profeticamente che si può vivere da fratelli, che si può con-sentire, che c’è un’alternativa tra sottomettersi oppure rifiutare. Per citare Christa Wolf in Cassandra: “tra uccidere e morire c’è una terza strada: vivere”. Forse dovremmo in qualche modo riuscire a ritrovare la fretta di vivere. Mi sembra che questa sarebbe una grande urgenza di buon mattino quando è ancora buio, ritrovare l’urgenza di vivere per noi e per gli altri.

Quello che Maria vede è che la pietra è stata ribaltata nel sepolcro. Gli altri evangelisti ci dicono che le donne avevano la preoccupazione “chi ci rotolerà via la pietra”, la pietra sulla tomba chiusa, la chiusura di un cadavere. Invece quello che succede, il cuore profondo della resurrezione rispetto alla vita, è veramente la pietra che è ribaltata via e lì nasce l’urgenza, la fretta della vita, del vivere. La fretta del vivere nasce dallo sperimentare che non ci puoi mettere una pietra sopra, che esce da tutte le parti, che scappa, che non è chiuso il ragionamento. La cosa che lei fa è correre, sempre di fretta.

 2 Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!”.

L’uso del plurale mi colpisce sempre molto perché secondo la tradizione Maria di Magdala, che non poteva essere pensata semplicemente come peccatrice per essere stata così onorata da Gesù della prima visione della notizia della resurrezione, era considerata abitata dai demoni. Sapete che nel linguaggio evangelico uno dei grandi temi è che i demoni sono tanti e il loro nome è legione. Secondo me questa cosa è bellissima perché ci dice, abbandonando l’immagine demoniaca e traducendola in una lingua contemporanea, che scegliere nella nostra vita da che parte stare è scegliere una via buona, una via di fraternità ed è una scelta sola, basta farla una volta. Poi c’è una legione di possibilità di confondersi, di fare ciò che non sei tu, ma fortunatamente il Signore guarda ciò che siamo noi quella volta unica in cui ci siamo messi dalla parte giusta. E allora mi colpisce quel plurale: “non sappiamo dove l’hanno posto”. Maria di Magdala è abitata da una legione, non necessariamente demoniaca, ma da una legione di sentimenti, da tante cose che non starebbero insieme: dal desiderio, dal dolore, dal senso di lutto, dalla voglia di futuro, dal bisogno di essere consolata, dal bisogno di non stare lì ferma. Sempre più questa descrizione mi pare adatta rispetto a quanto ci troviamo anche noi a vivere in questo tempo: sospesi, abitati da una legione, con desideri e fatiche tutti insieme, e preoccupati, impauriti dal dover ribaltare la pietra, e scoprendo la prima cosa straordinaria che dà senso alla nostra fretta di vivere cioè che la pietra non è più lì.

Anche lei fa ciò che facciamo sempre noi. Maria torna dai dodici, come noi torniamo sempre a questa Chiesa su cui brontoliamo, che ci ha deluso mille volte. Torna da loro e dice “hanno portato via il Signore dal sepolcro”. Anche questa cosa mi piace tanto: lei resta lei, con la sua intelligenza, con quello che capisce, che vede. Vede che la pietra è rotolata, non è entrata nel sepolcro e dice “l’hanno portato via”, ci hanno rubato il corpo, non possiamo più nemmeno avere cura, la pietas del cadavere. Non fa strani pensieri spirituali, religiosi. Gesù aveva anticipato, almeno secondo i vangeli, che sarebbe risuscitato, ma di per sé lei non è sfiorata da questa cosa, lei è abitata da se stessa e abita se stessa. Questa è la grande condizione della possibilità della resurrezione: abitare noi stessi ed essere abitati da noi stessi, fare tutto quello che abbiamo da fare, tutta la fretta, tutte le convivenze della legione che ci abita.

3 Uscì allora Simon Pietro insieme all’altro discepolo, e si recarono al sepolcro. 4 Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. 

Anche Pietro si mette a correre un po’ arrancando, da vecchietto, per cui Giovanni va più forte di lui – qualcuno corre più avanti, qualcuno più lentamente – però anche loro quello che ricevono è ciò che fa la differenza: l’urgenza di vivere, l’urgenza di ritrovare il segno di quello che hanno amato.

E il discepolo più giovane, che arriva prima…

 5 Chinatosi, vide le bende per terra, ma non entrò. 6 Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, 7 e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte.

Mi piace molto che Giovanni faccia questo gioco, che arriva prima, ma entra dopo.  Lo trovo proprio “l’operaio dell’ultima ora”. Pietro arriva per ultimo ed entra per primo, gli ultimi saranno i primi. L’altro aspetta, lo lascia passare, stanno già attuando una logica di resurrezione e ancora non lo sanno. Invertono le logiche. Ovviamente su questo ci sono innumerevoli riflessioni che vengono fatte in chiave gerarchica. Pietro entra per primo perché è il capo, ma non è vero, è la logica evangelica, è che l’ultimo è il primo e il primo è l’ultimo. Loro sono già dentro questa cosa, al di là di loro stessi, non hanno ancora capito niente, ma sono già dentro questa logica.

8 Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. 9 Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti. 

Qui Giovanni è veramente un mito perché l’altro entra, vede, crede e dice: infatti non avevano capito. E tu dici: ma allora che cos’è che ha creduto? Se non aveva capito, cosa crede? Perché il nostro ragionamento è: entrò, vide e credette che Gesù era resuscitato. Ma Giovanni dice non avevano infatti ancora compreso. Anche in greco l’avverbio è un accertativo, cioè non avevano infatti ancora capito niente. Questo quadro che si disegna è il disegno di un germoglio di noi che comincia ad avere delle regole diverse – che i primi sono gli ultimi e gli ultimi sono i primi – ma ancora non è minimamente consapevole.  Questa cosa io la trovo tanto consolante. Noi non abbiamo ancora capito niente, siamo in un tempo di grande sospensione, sulla soglia di un tempo complessissimo, però forse possiamo vedere, credere e cominciare ad avere altre regole, anche se non ne siamo totalmente consapevoli. Ci sono tante altre regole, in questi primi nove versetti, perché danno fiducia una donna, che è unatestimone solitaria (per il mondo ebraico i testimoni devono essere sempre almeno due per essere creduti e poi le donne non valgono come testimoni) e qui c’è una che arriva da sola e loro si mettono in movimento, si mettono in cammino a partire da questa unica testimonianza. E’ già un noi, un noi che ci precede, un noi che non dipende da noi, è un noi del tempo della delusione, della stanchezza e quindi è il noi che ci serve. Forse potremmo chiederci chi è la donna, testimone poco credibile, che viene a dirci quello che lei sa (l’hanno portato via), quando e come ci mettiamo a correre, quando e come cominciamo a usare, a giocare con altre regole anche se non abbiamo ancora capito.

E poi c’è il versetto 10:

 10 I discepoli intanto se ne tornarono di nuovo a casa.

Qui c’è un grande segnale di Giovanni sulla distinzione tra i discepoli e Maria di Magdala. Sapete che Giovanni ha un vero gusto per dipingere discepoli come degli “scemotti”, che sono buoni, ma non capiscono mai niente. Le figure della fede in Giovanni non sono mai i discepoli: sono stranieri, peccatori, donne, tutti quelli scartati sono le vere figure della fede. Giovanni sarebbe molto d’accordo con papa Francesco: la testimonianza della fede ci viene dai poveri. Nella tradizione popolare dopo la resurrezione Pietro e Giovanni sono spesso interpretati in modo metaforico come: Pietro la fede, Giovanni l’amore. In realtà in questo testo è una grande forzatura perché sono due brave persone un bel po’ confuse e in più Giovanni usa l’espressione tornare a casa come un’espressione molto specifica. Ad esempio alla fine del capitolo 6 di Giovanni, dopo la moltiplicazione dei pani, la gente se ne torna a casa e Gesù dice ai suoi: volete andarvene anche voi?  Tornare a casa qui funziona proprio come quando uno è sposato e fa una litigata e dice: “va bene, torno da mia madre”, che vuol dire azzero la storia e torno indietro, ritorno dov’ero, mi sono tenuto un’uscita di sicurezza. E’ molto più difficile, ma anche molto più vero, quando in un matrimonio uno litiga, magari esce sbattendo la porta, ma appena fuori dalla porta di casa pensa: “…e dove vado?”. Perché vuol dire che è sposato davvero, che casa è quella lì e non ha un altro posto dove andare. Materialmente ce l’ha, se non altro uno può andare in un albergo, ma non ha dentro l’anima un’altra casa. E qui invece i discepoli tornano a casa, cioè hanno visto, hanno creduto, non hanno capito, hanno già cominciato a usare altre regole, ma contemporaneamente hanno ancora una casa dove tornare e questa cosa fa la differenza rispetto a Maria di Magdala.

11 Maria invece stava all’esterno vicino al sepolcro e piangeva.

Questa prima parte del versetto 11 dà il titolo a questa lectio. Maria riconosce uno spazio dove abitare, non ha un altro posto dove andare, non sa più dove tornare. E di nuovo la fretta, l’urgenza di vivere, disperatamente.  E piange perché sa che non ha alternative, piange. Un midrash ebraico dice che Dio conta le lacrime delle donne, perché le lacrime delle donne sono l’anima così grande che esce in forma liquida dagli occhi. E se qualcuno di noi, come capita a tutti gli adulti, si è vergognato di piangere, si ricordi questo: è l’anima che ha bisogno di più spazio e Maria piange, ha un’anima grande e non sa più dove tornare.

Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro 12 e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. 13 Ed essi le dissero: “Donna, perché piangi?”. Rispose loro: “Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto”. 

Questa è la seconda scena che che Giovanni costruisce. La prima è un noi donato, totalmente per grazia, che non è nemmeno consapevole, ma poi c’è un secondo passo. C’è un noi solitario che nasce dallo stare, dall’abitare, dall’accettare di avere un’anima grande, che deve uscire dagli occhi e che si fa domanda, dialogo, rottura di scatole per gli altri, si china, guarda nel sepolcro e vede i due angeli. Gli angeli avevano chiesto: “Donna, perché piangi?”.  Solo da bambini si può chiedere “perchépiangi?” perché da grandi quando piangi, piangi sul serio e la domanda “perché piangi?” potrebbe risultare offensiva e provocare una reazione adirata. Piangere è un’azione dell’anima, da adulto. Non c’è mai un motivo solo, è l’esperienza di un lutto interno immisurabile, sia quando si piange di gioia sia quando si piange di dolore. E’ la percezione di una vita e di un’urgenza di vivere che ti sembra squagliarsi tra le mani, sciogliersi e allora piangi.

14 Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che era Gesù. 

Anche Maria non capisce, non riconosce. Si volta – il verbo è quello della conversione – si volta, si gira e lì dietro vede una persona, ma non capisce, non conosce, non sa, ma questo non la fa scappare via,  non la fa a tornare a casa.

15 Le disse Gesù: “Donna, perché piangi? Chi cerchi?”.

La domanda di Gesù, rispetto a quella degli angeli, è leggermente diversa. Gesù aggiunge: “chi cerchi?”. Perché non è la domanda fatta a un bambino (“perché piangi?”), è la domanda fatta a una donna adulta: “Chi cerchi?”, qual è la relazione che ti ha attraversato così tanto che non vuoi più stare senza.

Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: “Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo”. 

Lei continua ad abitare se stessa, usa l’intelligenza che ha, pensa che sia il custode del giardino, continua con il suo ragionamento incessante, ma non si arrende. Non si arrende e questo è proprio la struttura della fede, questo secondo cammeo è veramente la struttura della fede: da un noi nasce una capacità di non arrendersi.

16 Gesù le disse: “Maria!”.

Come sempre, in Giovanni, Gesù non risponde mai a tono. In tutti i colloqui, con Nicodemo, la samaritana, l’adultera, Gesù risponde sempre un’altra cosa. Queste sue risposte moltiplicatrici di opzioni non si accontentano di rimanere nella chiusura della domanda, della richiesta. Gesù non sta a questo gioco, rilancia sempre su un’altra cosa e questa volta rilancia su una cosa sostanziale: a una che stava presso se stessa, che aveva uno spazio proprio da abitare, Gesù restituisce il suo nome. Molti inni liturgici dicono: “i vostri nomi sono scritti in cielo”. Io penso ogni tanto che nell’ultimo giorno sarò chiamata per nome e finalmente nessuna delle mie nevrosi farà più parte del luogo di me che abito. Ci sarò io come ho amato e sognato essere e quindi potrò stare con tutti come ho amato e sognato ogni giorno di essere, negli affetti, nella gratitudine, nelle amicizie, senza incomprensioni. Saremo uniti (io-siamo) perché il nostro nome ci viene restituito nella sua verità ed è un nome assoluto. Gesù è l’unico che può ridarci il nostro nome assoluto: Maria è Maria.

Essa allora, voltatasi verso di lui, – si riconverte – gli disse in ebraico: “Rabbunì!”, che significa: Maestro!

Ciò che lei gli restituisce non è un nome di possesso assoluto, è un nome di relazione, risponde alla domanda di prima: “chi cerchi?”. C’è un maestro se c’è un discepolo, come c’è un padre o una madre se c’è un figlio. Sono nomi di relazione. Senza l’altro quel nome non ha significato e Maria in questo dice tutto il senso del fatto che, se Gesù non c’è, niente ha più significato.

 17 Gesù le disse: “Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma và dai miei fratelli e dì loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”.

Di questo abbiamo già parlato nella prima lectio di quest’anno.

 18 Maria di Màgdala andò subito ad annunziare ai discepoli: “Ho visto il Signore” e anche ciò che le aveva detto.

Qui si conclude la parabola del noi della fede. Lei non dice in primo luogo quello che Gesù le ha detto. Dice in primo luogo quello che è successo a lei, che ha visto il Signore, e poi dice anche quello che le aveva detto, ma dice quello che è successo a lei. Lei abita lo spazio suo, non trattiene, non possiede, non assolutizza, ma non arretra di un passo rispetto allo spazio suo. Io credo che questa sarebbe veramente una questione su cui riflettere molto. Come facciamo a vivere la fede non arretrando e senza mai però far diventare predatorio l’abitare il nostro spazio? Credo sia uno dei veri equilibri di santità, molto difficile da trovare, soprattutto un equilibrio stabile, continuamente da reinventare.

19 La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”.

Questo è il versetto che mi consola. C’è stato un primo quadro: nuove regole, senza nemmeno capirle. Poi un secondo: l’assunzione del proprio posto ad abitare, essere se stessi senza arretrare, senza spirito predatorio. Ma poi c’è il terzo passoconsolatorio: quelli erano tornati a casa, non hanno soddisfatto la seconda condizione, ma Gesù passa attraverso le porte chiuse e va da loro e la parola che dice è: “pace a voi”. Di per sé sarebbe stato pienamente nel diritto di entrare e rimproverarli per essere tornati a casa e invece dice “pace a voi”.

 20 Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 

Il Signore viene riconosciuto, finalmente non trattato come un fantasma, dalle sue ferite. Riceviamo il nostro nome e siamo riconosciuti e riconoscibili dalla nostra fragilità, dai luoghi più vulnerati di noi stessi.

21 Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”. 22 Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo; 23 a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi”. 

Qui abbiamo la piccola Pentecoste. Gli evangelisti la raccontano diversamente. Noi abbiamo sempre in mente la Pentecoste dei dipinti, quella di Luca. Radunati nel cenacolo, lingue di fuoco, rumore di tuono, ci piace un po’ la scenografia. Qui è una cosa molto più intima: Gesù emette il suo Spirito, come ha fatto sulla croce, emette lo Spirito. La piccola Pentecoste di Giovanni mette in correlazione questi due aspetti: l’emissione dello Spirito sulla croce (spirò) e questa scena dove alita su di loro: “Ricevete lo Spirito Santo”. Su questi versetti innumerevoli commenti sottolineano il mandato sacerdotale della confessione, della remissione dei peccati, ma qui Giovanni dice una cosa che è per tutti: se giocate con regole nuove ci saranno regole nuove, se giocate con regole vecchie non ci saranno regole nuove. Se presentate il conto, sarà presentato il conto, ma se non presentate il conto, tutto è Grazia. E poi c’è l’altra vicenda bellissima, che Giovanni aggiunge ancora. Primo cammeo l’incomprensione, secondo cammeo la qualità della fede, terzo cammeo la misericordia per chi non ha la qualità della fede, quarto cammeo: Tommaso.

24 Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25 Gli dissero allora gli altri discepoli: “Abbiamo visto il Signore!”. Ma egli disse loro: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò”.  

Tommaso è uno come Maria: abita se stesso e non c’era quel giorno. Gli altri gli dicono: “abbiamo visto il Signore!”. Lui dice: “se non vedo non credo”. Tommaso ha bisogno della stessa esperienza di misericordia e Gesù non gliela nega.

26 Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. 27 Poi disse a Tommaso: “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato;

Da una parte questo ci dice che il Risorto è riconosciuto dalle sue ferite, che ci sono ancora, non è un altro rispetto a quello che è morto, alla vulnerabilità che ha mostrato, ma contemporaneamente non fa più male, per cui le ferite possono essere toccate senza che lui urli di dolore. Anche qui immagino che nell’ultimo giorno saremo raccolti con le nostre ferite: abbiamo faticato tutta la vita per farci queste cicatrici, mica vorrei che non contassero niente, spero che contino. Come le rughe:  ho vissuto una vita per avere queste rughe sul viso e poi dovrei metterci una crema per non averle? Non scherziamo! Ma non fanno più male,possono essere il luogo del noi senza che ogni durezza di un fratello mi faccia urlare.

… e non essere più incredulo ma credente!”.

Tommaso non ha ancora ben compreso l’equilibrio tra non arretrare dall’essere sé e non essere predatorio. Tommaso è ancorapredatorio: “devo mettere la mia mano…”.

28 Rispose Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!”.

Tommaso risponde con una frase che ironicamente Giovanni gli mette in bocca (“Mio Signore e mio Dio!”) che è la stessa che aveva detto Gesù alla Maddalena. Questo ci dice bene il contatto che Giovanni vuole costruire tra Tommaso e la Maddalena e come la Maddalena è equilibrata e Tommaso non lo è. Gesù dice alla Maddalena: “… dì loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”. E Tommaso dice: Mio Signore e mio Dio!”.

 29 Gesù gli disse: “Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!”.

E poi c’è la conclusione capitolo:

30 Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro.

Perché Gesù è incarnato, dunque materia, lascia segni, lascia tracce, a volte tracce sottili, ma lascia tracce e nei tempi di sospensione bisogna farsi guidare da queste tracce: una pietra ribaltata, degli angeli, delle risposte equivoche, dei fratelli che dicono “abbiamo visto il Signore”, perché altrimenti non si supera la notte e non si arriva al giorno dopo il sabato, al giorno di Pasqua.

Fossano, 21 maggio 2022

Testo non rivisto dal relatore

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