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9 Marzo 2019
Stella Morra

6. Che cosa è la verità?

Commento a: Gv 18, 19-40


Rieccoci alla nostra riflessione sulla verità.

Riassunto veloce delle puntate precedenti: i primi quattro incontri, centrati sull’AT sono più descrittivi e riguardano “come funzionano gli umani”. Sono stati il brano di Giuseppe, dei Numeri (quando giravano intorno alla montagna), il testo di Giona e il testo del profeta Osea. Quattro parole chiave per ricordare il percorso fatto, sono: sincerità (differenza tra sincerità e verità); la seconda parola è “una verità che serve a vivere”; la terza, Giona, potrebbe essere “discernimento”. Una verità che serve a vivere non è mai auto evidente, non si mostra con i caratteri della logica, dell’ovvietà, dell’indiscutibilità, è sempre frutto di discernimento; Osea, la questione della realtà, il discernimento deve fare conto con il reale, con ciò che è e in qualche modo non è governabile immediatamente dagli esseri umani, secondo le loro scelte.

L’altra volta abbiamo cominciato il percorso Cristologico, il secondo gruppo di quattro brani sul NT, alla ricerca del “proprio” che Gesù aggiunge, intreccia, con la struttura umana; della novità che fa esplodere dal “di dentro” la struttura umana per com’è. Abbiamo riflettuto su una parte del capitolo 1 di Giovanni, che riguardava i discepoli, Natanaele e Filippo, il passaggio di parola in parola e riflettevamo su cosa è da vedere. Quel brano è pieno di verbi riguardanti la vista: vieni e vedi, videro, mi hai visto sotto il fico, ecc. La verità è un problema di vedere qualcosa, di vederlo e farne conto; il problema sorge quando fissi lo sguardo. La novità che Cristo fa esplodere in questa dinamica è che si vede, che si può vedere, quello che non è ancora. Vedere la potenzialità, il germoglio, in termini più generali rispetto alla storia. L’immagine di Dio posta in noi nella Creazione, perché il mondo si compia nel Regno di Dio. Il Regno di Dio non è ancora, ma bisogna fissare lo sguardo per vedere questa immagine di Dio che può crescere.

Apocalittico ed escatologico

Sulla questione “ciò che non si vede ancora”, per una serie di motivi di lavori richiesti, di conferenze, mi sono resa conto di come questo ha una possibile ambiguità molto forte. Vedere ciò che non c’è ancora, può essere una forma di auto illusione e di rifiuto della realtà, ma può anche essere una forma molto forte di integrismo, cioè di costringere la realtà a diventare ciò che noi pensiamo sia giusto che diventi.

Ho letto vario materiale sull’analisi del linguaggio implicito, apocalittico, escatologico delle filosofie politiche e contemporanee. Per tradurre in termini più concreti, Salvini o Di Maio e i vari populismi europei hanno una lettura permanentemente apocalittica o escatologica, ovvero dicono sempre quello che non c’è e che sarebbe tuo diritto avere. Quello è sempre spostato in avanti, non te lo danno mai, ma nel frattempo utilizzano la tua forza (il voto, la fiducia) sempre spostandolo in avanti, dove le realizzazioni non sono mai all’altezza della promessa. Da questo punto di vista riflettevo su annunci del tipo: “abbiamo abolito la povertà”, ma di cosa stiamo parlando? La povertà esiste, ma la logica è una promessa apocalittica. Leggevo uno studio sull’uso dei meccanismi apocalittici non applicato solo alle cose di casa nostra ma più in generale. Mi è venuto da pensare: come si fa a guardare quello che non c’è ancora, sapendo che non è un’illusione ma nemmeno una lettura ideologica? Ho riflettuto su questo e rispetto alla Lectio della scorsa volta ciò che non avevo detto è che c’è una differenza tra due registri nella scrittura: quello apocalittico e quello escatologico. Tutti e due riguardano l’esito finale, dove andiamo a finire; ma non solo dove andremo a finire rispetto al tempo, anche quale obiettivo ci diamo e quale rapporto c’è tra quell’obiettivo e quello che viviamo oggi. Anche il Regno dei Cieli può essere una promessa tipo Di Maio, rimandato sempre al di là.

Il meccanismo teoricamente è lo stesso, ma c’è una differenza tra il linguaggio apocalittico e quello escatologico, normalmente i populismi contemporanei preferiscono il linguaggio apocalittico. Il linguaggio soprattutto cristiano, da Vaticano II in poi, preferisce il tono escatologico, sapendo che non sono due cose opposte tipo bianco/nero oppure l’uno o l’altro, sono due cose sovrapposte anche mescolate e mescolabili, hanno però due caratteri diversi. La differenza sostanziale è nel ruolo della realtà, cioè in che cosa succede nel frattempo. Se il frattempo è una specie di attesa passiva o ascetica di privazioni, va più verso l’apocalittico, se il frattempo è una operazione più attiva di collaborazione alla costruzione, di lavoro, di starci dentro va verso l’escatologico.

Il linguaggio di Gesù è più escatologico che apocalittico.

Nelle sue declinazioni contemporanee questo è un tema molto forte, la questione della verità come qualcosa che non c’è ancora ed è un tema molto strumentalizzabile. Questo mi ha fatto venire in mente che uno dei problemi tra la democrazia a cui siamo stati abituati negli ultimi 50 anni, dopo il fascismo, e la situazione attuale in Italia, è proprio un cambio di accento di questo genere. Da una parte, una democrazia che si è così rassegnata a non guardare cosa non c’era ancora, che un po’ alla volta si è logorata, ha nutrito solo se stessa, ha mirato a mantenere le cose come stavano. Per contraccolpo, dall’altra parte, una logica a guardare solo quello che non c’è ancora, con tonalità talmente apocalittiche, che tutto deve piovere dal cielo, che non si sa chi poi deve farlo, con quali soldi, a quali costi, l’unica cosa che si sa è che deve arrivare la soluzione finale e che è sempre una soluzione radicale e vincente.

Da questo punto di vista la questione, non solo a livello personale, ma anche sociale e pubblico, è cosa vuol dire vedere “quello che non c’è ancora” con un certo equilibrio, nella situazione comune in cui stiamo? Questo rispetto ai temi dell’ambiente, dell’ingiustizia che nonostante le dichiarazioni esiste ancora, la disparità economica non solo nel nostro paese, ma globale. Cosa vuol dire vedere attivamente quello che non c’è ancora? Nel tema escatologico c’è un appello alla responsabilità molto forte. Tocca alla persona, nel luogo in cui è, rispetto alle potenzialità che ha, mettersi da qualche parte e combattere questa battaglia, perché non combatterla non è solo sbagliato in sé o per dei motivi ideali, ma è sbagliato perché nega la verità, perché non permette alla verità di “farsi”.

Mi ha molto colpito questa riflessione di teologia politica di Frank Muller, lui lavora su questi temi di analisi politica attuale in chiave teologica, cioè della rilevanza delle categorie teologiche presenti nella cultura politica contemporanea. Da questo punto di vista, ad esempio, è possibile usare il Vangelo strumentalmente, il rosario, la simbolica religiosa, in una logica di questo genere. Capisco e non condivido questo meccanismo, perché moltiplica questa logica apocalittica. Mi spiego, anche una strumentalizzazione dei cosiddetti valori cristiani: la famiglia, perché da una parte moltiplica e dall’altra mette fuori gioco la possibilità di un’assunzione responsabile, in quanto cristiani, di una struttura escatologica più vera. Toglie uno spazio possibile.

La lectio di oggi

Il testo di oggi è tratto dal Vangelo di Giovanni, capitolo 18. Mi sembra bello parlare di questo testo all’inizio della quaresima, perché è una parte del processo a Gesù, quindi un testo che ci può accompagnarci da qui alla Settimana Santa, lo risentiremo allora e ci può accompagnarci come riflessione quaresimale.

Leggo i versetti 19-40, il dibattito se è conveniente che un solo uomo muoia per il popolo ed il primo rinnegamento di Pietro.

Il testo

1819Il sommo sacerdote, dunque, interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e al suo insegnamento. 20Gesù gli rispose: “Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. 21Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto”. 22Appena detto questo, una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: “Così rispondi al sommo sacerdote?”. 23Gli rispose Gesù: “Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?”. 24Allora Anna lo mandò, con le mani legate, a Caifa, il sommo sacerdote.

25Intanto Simon Pietro stava lì a scaldarsi. Gli dissero: “Non sei anche tu uno dei suoi discepoli?”. Egli lo negò e disse: “Non lo sono”. 26Ma uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato l’orecchio, disse: “Non ti ho forse visto con lui nel giardino?”. 27Pietro negò di nuovo, e subito un gallo cantò.

28Condussero poi Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l’alba ed essi non vollero entrare nel pretorio, per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua. 29Pilato dunque uscì verso di loro e domandò: “Che accusa portate contro quest’uomo?”. 30Gli risposero: “Se costui non fosse un malfattore, non te l’avremmo consegnato”. 31Allora Pilato disse loro: “Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra Legge!”. Gli risposero i Giudei: “A noi non è consentito mettere a morte nessuno”. 32Così si compivano le parole che Gesù aveva detto, indicando di quale morte doveva morire.

33Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: “Sei tu il re dei Giudei?”. 34Gesù rispose: “Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?”. 35Pilato disse: “Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?”. 36Rispose Gesù: “Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù”. 37Allora Pilato gli disse: “Dunque tu sei re?”. Rispose Gesù: “Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”. 38Gli dice Pilato: “Che cos’è la verità?”.

E, detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: “Io non trovo in lui colpa alcuna. 39Vi è tra voi l’usanza che, in occasione della Pasqua, io rimetta uno in libertà per voi: volete dunque che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?”. 40Allora essi gridarono di nuovo: “Non costui, ma Barabba!”. Barabba era un brigante.

Commento

Questo è il racconto della passione secondo Giovanni che è abbastanza interessante rispetto al nostro tema, perché è uno dei pochi testi in cui si parla di verità in modo diretto. È anche importante, perché si vede bene la dinamica di questa verità che si va facendo.

Prima ci sono pochi versetti di premessa “è conveniente che un solo uomo muoia per il popolo” e la prima negazione di Pietro. C’è una logica che da un certo punto di vista non è sbagliata, è meglio che muoia uno solo piuttosto che tutti. È una logica, ma è una logica storta, applicata senza distinzione tra sincerità e verità, senza discernimento, senza la finalità di una logica per vivere, senza rispetto della realtà. È un gioco politico e di potere, la preoccupazione è verso i romani e i sacerdoti scelgono di far morire uno, piuttosto che tutto il popolo.

L’altro titolo è la prima negazione di Pietro “non sei anche tu tra i discepoli di quest’uomo? Non lo sono” che mostra che ci sono delle relazioni storte: la relazione tra Gesù e Pietro viene negata, piegata, resa storta.

La verità è un’esperienza globale, viene da lontano, non è nelle parole che si dicono o non si dicono, non è nella corrispondenza materiale tra quello che vive e la realtà concreta dei fatti, la verità viene da lontano. L’elemento esplosivo che Gesù inserisce nella dinamica del discernimento è questo “il venire da lontano” della verità, che viene da una intera logica che può essere storta o dritta e da un insieme di relazioni che possono essere storte o dritte.

Per altro, se usciamo dalla logica verità e bugie di quando abbiamo sei anni, nella logica degli adulti, è necessario molto tempo per costruire delle menzogne sulla propria esistenza, ci vanno anni. Si comincia a raccontare se stessi a sé in un altro modo. Ci vanno ancora più anni per smontare questo racconto ed è chiaro che le relazioni si stortano intorno ad una narrazione inventata e le logiche che si applicano si stortano un po’ alla volta.

La verità viene da lontano e va lontano, è un sistema di logica, nel senso di stile e di modo di ragionare, in cui magari ogni singola affermazione è vera, ma la logica è storta. In questo modo si mettono in fila relazioni che nel loro aspetto puntuale sono buone relazioni, ma la loro logica non lo è.

19Il sommo sacerdote, dunque, interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e al suo insegnamento.

Il sommo sacerdote interroga Gesù in modo profondo, va al nucleo del problema, cercando di capire come funzionano le relazioni, come si pensa e si ragiona.

Gesù, nel Vangelo, risponde sempre spiazzando. Risponde in parte alla domanda nascosta, quella che non sappiamo di aver fatto, e questo è uno dei motivi per cui bisogna far attenzione a pregare, perché potrebbe capitare di essere esauditi, il che può essere un guaio perché non è detto che la profondità, la verità della tua preghiera, sia esattamente quella che stai facendo. Dio risponde sempre alla verità profonda della preghiera e quindi ci si può trovare fregati.

Gesù risponde così anche nel Vangelo.

20Gesù gli rispose: “Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. 21Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto”.

Gesù contrappone una logica dritta e delle relazioni dritte. Egli dice di chiedere alle persone che lo hanno seguito e questa operazione rende l’altro soggetto responsabile. Il sommo sacerdote proietta la propria logica, poiché lui ragiona con una logica storta e delle relazioni storte. Questo è uno dei meccanismi più terrificanti rispetto a fare la verità. In fondo ognuno di noi presume che gli altri ragionino come lui, che considerino importanti le cose che lui considera importanti e secondarie le cose secondarie; e non capiamo mai perché gli altri hanno altre logiche e sistemi di relazione.

Che cosa fa Gesù? Non mette al centro la sua proiezione, il suo presumere.

Se una persona è abituata a fregare, è molto diffidente verso gli altri, perchè si aspetta che anche gli altri lo freghino. Se uno è molto onesto, rischia di essere ingenuo nei confronti degli altri, perché non gli viene in mente che lo possano fregare. Tutti facciamo questa esperienza. Ci sono delle cattiverie che quando uno le vede fatte su di sé dice “come gli è venuto in mente?”, non si tratta solo della cattiveria, ma viene da pensare “cosa ha da fare quello nella vita che investe energie su questa cattiveria?”. Poi ci si rende conto che ognuno guarda il mondo a partire da dov’è. In questo anche il sommo sacerdote parte dal proprio luogo e chiede a Gesù delle sue relazioni e della sua logica, ma Gesù rimane nel luogo in cui è e non entra in questo gioco e fa esplodere il tutto dicendo “la domanda è sbagliata, non è questo che devi chiedermi, perché questo problema è nella tua testa. La questione però è un’altra: guarda la realtà, interroga quelli che hanno sentito, ciò che ho detto l’ho detto apertamente, non c’è nulla di nascosto”. C’è una logica dritta e delle relazioni dritte, delle relazioni che non proiettano ma responsabilizzano gli altri.

Questo, con la sua solita ironia, Giovanni lo racconta immediatamente dopo aver raccontato la prima negazione di Pietro. Come a dire: “se il sacerdote va chiedere a Pietro”, si trova ben piazzato nelle sue logiche storte. E comunque Gesù lo rimanda a coloro che ascoltano, non è smosso dalla sfiducia, che sarebbe giustificata a causa dal rinnegamento di Pietro.

Che cosa succede dopo questo breve scambio?

22Appena detto questo, una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: “Così rispondi al sommo sacerdote?”. 23Gli rispose Gesù: “Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?”.

Questo doppio livello della logica e delle relazioni continua riprodursi. La reazione al fatto che Gesù sposta la domanda, è una reazione violenta. Se suppongo che tutti si muovano come me e uno non si muove come me allora scatena panico, che a sua volta scatena la violenza, perché non si riconosce cosa fa l’altro. A fronte di questo, di nuovo, Gesù ripropone una logica dritta e delle relazioni diritte:

“Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?”.

In qualsiasi caso uno schiaffo non c’entra, è un’altra questione. Gesù avrebbe potuto protestare, incavolarsi, poteva avere migliaia di reazioni legittime storte, ma si mantiene fermo nella sua logica dritta e responsabilizza colui che ha di fronte. Questa cosa è esplosiva per le nostre esistenze, la domanda su questa verità che viene da lontano, da un sistema di logiche e di relazioni ed è fondamentale; è una domanda in più che ci porta fuori dalle dinamiche da cui saremmo tentarti di rimanere un pezzo alla volta: sono sincero o non lo sono, ho fatto un buono o cattivo discernimento, ho tenuto conto o non ho tenuto conto della realtà… Gesù dice di partire da più lontano e chiederci qual’ è la logica e qual’ è il sistema delle relazioni. La realtà fa quello che vuole, a volte più buona e a volte meno e ci si trova come Gesù sotto processo o comunque sotto pressione, ma il problema rimane lo stesso.

24Allora Anna lo mandò, con le mani legate, a Caifa, il sommo sacerdote.

Subito dopo vengono affrontate due questioni: Anna lo manda con le mani legate a Caifa. Comincia il gioco degli spostamenti. Ogni psicologo sa, che la dinamica difensiva fondamentale è lo spostamento angosciato da una questione che non si sa risolvere ad un’altra, lasciando la prima ferma.

Anna lo manda da Caifa e Caifa lo manderà al pretorio, cioè fuori dal mondo ebraico. Poi verrà crocifisso fuori dalla città. La verità di logica e relazioni è insopportabile, deve essere messa fuori. Lo spostamento esprime i due elementi fondamentali: la negazione e la rimozione.

25Intanto Simon Pietro stava lì a scaldarsi. Gli dissero: “Non sei anche tu uno dei suoi discepoli?”. Egli lo negò e disse: “Non lo sono”. 26Ma uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato l’orecchio, disse: “Non ti ho forse visto con lui nel giardino?”. 27Pietro negò di nuovo, e subito un gallo cantò.

Subito dopo Giovanni ci racconta che Pietro, per due volte in modo ravvicinato, viene interrogato, nega di nuovo e subito il gallo canta. Negazione e rimozione sono i due grandi nemici della verità. “No non sono io”. Sono una logica di relazioni storte all’ennesima potenza, quindi alla fine tu stesso sei convinto che non sia così.

Il genere letterario del Vangelo è pre-novecentesco, ha delle parole che non sono le nostre e quindi segnala la questione con una figura bellissima: il gallo che canta. Ciò ha sempre colpito la fantasia di pittori, poeti, commentatori spirituali, tutti hanno sempre fatto grandi voli pindarici sul gallo che canta per svegliare Pietro e dirgli “dove sei?”. Il gallo è appunto l’animale della sveglia, questa è una figura bellissima, perché è insieme la realtà ed il tempo, ci dice che c’è qualcosa che non dipende da noi. E questa realtà e questo tempo da Gesù erano stati visti quando non erano ancora, prima che il gallo canti. Pietro di fronte alla propria negazione e rimozione viene richiamato all’ordine dalla realtà e dal tempo, da qualcosa che non ha scelto, né deciso, ma che sente. Qui il suo merito è sentirlo, il gallo.

28Condussero poi Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l’alba ed essi non vollero entrare nel pretorio, per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua.

Anche qui Gesù viene spostato fuori dal contesto religioso, ma questi sono dei bravi religiosi, non entrano nel cortile dei pagani per non contaminarsi, perché questo avrebbe implicato una serie di giornate di purificazione che andavano a finire dopo la festa di Pasqua. Nei commenti dei bravi parroci, durante la settimana santa, normalmente si va giù pesanti su questa questione, poiché è l’immagine di ogni ipocrisia religiosa, stanno per far uccidere un uomo e non entrano nel cortile. Il problema è che questo atteggiamento è di ognuno di noi, non è dei Farisei di una volta che seguivano la legge ebraica della purità. È l’atteggiamento che per tenere in piedi le proprie negazioni e rimozioni non c’è prezzo. Bisogna inventarsi che si stanno rispettando delle regole, qualsiasi regola. E dunque si può mandare a morire uno, raccontando a se stessi, che si stanno rispettando tutte le regole. Può accadere anche a noi, non è una cosa dei cattivi Farisei, è la capacità di una narrazione che si costruisce la propria verità, è la capacità di dirsi alla sera “cosa ho fatto di male?”.

29Pilato dunque uscì verso di loro e domandò: “Che accusa portate contro quest’uomo?”. 30Gli risposero: “Se costui non fosse un malfattore, non te l’avremmo consegnato”. 31Allora Pilato disse loro: “Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra Legge!”. Gli risposero i Giudei: “A noi non è consentito mettere a morte nessuno”. 32Così si compivano le parole che Gesù aveva detto, indicando di quale morte doveva morire.

Pilato, in questa dinamica, fa la parte del maschio, quello che arriva all’ultimo minuto, non capisce nulla di quello che sta accadendo e fa delle domande inconsulte, ma che sono funzionali al racconto di Giovanni.

Pilato è all’esterno, è l’altro, non è ebreo, non sta all’interno delle dinamiche “è meglio che un solo uomo muoia per il popolo”. Probabilmente Pilato era un governante romano catapultato in Palestina senza troppo capire le dinamiche interne di questo popolo litigioso e complicato che erano gli ebrei, con le loro leggi. Per di più gli ebrei a cavallo della vita di Gesù stanno vivendo un periodo storico di falsi messia, cioè un periodo di grande turbolenza sotto il dominio romano, in cui molti rabbi itineranti come Gesù si autoproclamano messia.

Il problema dei romani era evitare sommosse, mantenere l’ordine dell’Impero. I romani in questo, anche allora, erano molto cinici, cioè lasciavano che gli ebrei “giocassero” con il loro Dio, facciano le loro cose, e gestivano l’insieme. Pilato in tutto questo, piomba come l’esterno, l’altro, e paradossalmente fa le domande giuste, perché non sta dentro la logica storta e le relazioni storte dei Sacerdoti, sta in un’altra logica. Momentaneamente è occupato in altre cose, ha altri problemi e dunque Gesù, che gli arriva davanti, viene guardato con occhio sgombro. La domanda che fa è più ragionevole: “Che accusa portate contro quest’uomo?”. La domanda è da intendersi “cosa succede?”. La risposta è tipica di chi ha relazioni e logica storte: “Se costui non fosse un malfattore, non te l’avremmo consegnato”. La sentenza è già emessa, non c’è un processo da compiere, è già compiuto. Quello che dicono è “non preoccuparti dell’accusa, lui è già colpevole, ma noi non possiamo metterlo a morte, quindi fai l’esecutore”.

È chiaro che Pilato stia scomodo in questa logica di esecutore; mentre una logica dritta e delle relazioni dritte producono responsabilità, una logica storta e delle relazioni storte producono esecutori, deresponsabilizzano. Alla fine, Pilato ci starà a fare l’esecutore, perché fa i suoi conti su altri criteri. Di per sé è una manipolazione, noi l’abbiamo già giudicato, ma la nostra legge non ci consente di metterlo a morte.

È curioso il versetto 32: “Così si compivano le parole che Gesù aveva detto, indicando di quale morte doveva morire.”. non viene detto, anche se è ovvio, perché la morte inflitta dai romani in quel periodo era la crocifissione. C’è una strana questione qui, una morte per vivere. C’è una sentenza già scritta per cui è necessaria una morte che la logica storta non arriva a dare, è Gesù che ha detto che morirà. Devi essere tu ad arrivare fino in fondo, a misurare la tua vita.

Un consiglio, durante questa quaresima, sarebbe interessante riflettere sull’accusa che si può fare verso se stessi, qual è la logica secondo la quale non posso mettermi a morte, ma devo farmi mettere a morte da qualcun altro. Quale male di me sto cercando al di fuori di me? Perché non posso invertire questa logica? Sarebbe una buona forma di conversione e cioè, qual è la grazia e la responsabilità che ho, non l’accusa, qual è il premio che già ho, la ricchezza che già ho e qual è il bene, la benedizione, la vita che cerco dall’esterno e offro all’esterno. Questa sarebbe una buona conversione di quaresima.

33Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: “Sei tu il re dei Giudei?”. 34Gesù rispose: “Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?”. 35Pilato disse: “Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?”.

Ancora una volta Gesù sposta la questione e gli chiede “Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?”. E Pilato dice: “Sono forse io Giudeo?” a intendere, io non lo sono e di te non me ne frega nulla, sei solo un guaio che mi è capitato e che devo risolvere con il minor danno possibile. Se sei Re dei Giudei veditela tu con loro, cosa centro io? “La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?”. Fa tenerezza Pilato, per tutto il tempo cerca di capire qual è la colpa di Cristo e nessuno la dice. Passiamo anni a cercare capire quale sia la colpa, ma la colpa non c’è.

Gesù non risponde alla domanda “che cosa hai fatto?”, ma dice:

36Rispose Gesù: “Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù”. 37Allora Pilato gli disse: “Dunque tu sei re?”. Rispose Gesù: “Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”. 38Gli dice Pilato: “Che cos’è la verità?”.

Pilato conosce la logica del potere ed ha bisogno di sapere chi comanda e chi no, cerca di capire se Gesù è uno che comanda. Gesù prova a spostare la questione per mettere una logica dritta e delle relazioni dritte, e dice “Il mio regno non è di questo mondo”, ma a differenza della Samaritana in cui Gesù sposta e lei abbocca e gli va dietro, Pilato non abbocca e rimane dentro la sua logica, non lascia convertire la sua logica, non ne esce fuori e alla fine è un poveraccio che non capisce.

Gesù dice che i suoi avrebbero combattuto, se il suo regno fosse stato di questo mondo. Sta comunicando con Pilato con un linguaggio che potrebbe capire, in pratica gli dice che se lui fosse Re come lo intende lui, la rivolta, quello di cui Pilato ha paura, sarebbe già accaduta. Gesù è come se gli domandasse perché non è accaduto, perché è a parlare con lui; Pilato non ce la fa a fare questo passaggio. Allora Gesù ulteriormente sposta e dice: “Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”. 38Gli dice Pilato: “Che cos’è la verità?”.

Questa domanda rimane sosp

esa, non c’è risposta, Gesù non parlera più. Gesù parlerà di nuovo solo sulla croce con quelle sette ultime parole di Gesù. Qui non parla più.

Prima dice di rendere testimonianza alla verità, che non è convincere della verità, spiegare la verità, trasmettere la verità, ma rendere testimonianza alla verità. Afferma che chiunque è dalla verità, ascolta la sua voce. Chi sta in logiche e relazioni dritte ha bisogno di quello che Lui dice e di quello che è. Anche della sua morte. È Pilato a chiedere che cosa è la verità, dimostrando quanto da lontano viene la questione della verità.

E, detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: “Io non trovo in lui colpa alcuna. 39Vi è tra voi l’usanza che, in occasione della Pasqua, io rimetta uno in libertà per voi: volete dunque che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?”. 40Allora essi gridarono di nuovo: “Non costui, ma Barabba!”. Barabba era un brigante.

Pilato sceglie di seguire il popolo e libererà Barabba, si lascia usare, entra nel ruolo dell’esecutore e non in quello della responsabilità. Avrebbe dovuto prendersi una responsabilità che non si è preso. Questo non fermerà la verità che Gesù fa, perché la morte in croce diventa la resurrezione e quindi diventerà una verità piena. La verità continuerà a farsi. Non serve a nulla l’ostacolo che Pilato mette, ma non aiuta Pilato ad uscire dalla sua logica, perché non prende una responsabilità ma fa l’esecutore, si lascia usare.

La logica cristologica fa esplodere dall’interno le dinamiche dell’umanità, le arricchisce, le feconda, le fa lievitare. Rispetto al tema del discernimento questa questione è molto forte, perché un conto è discernere logicamente i pro ed i contro – che è una azione che va fatta perché abbiamo una testa e bisogna valutare le cose – ma poi c’è un punto della valutazione in cui bisogna chiedersi: da quale logica e da quali relazioni viene. Qual è la radice lontana? Il rischio è di entrare in un meccanismo in cui alla fine tutto si giustifica, trasformandoci da soggetti responsabili ad esecutori, manipolabili o manipolatori. Questa esplosione, che Gesù richiede, la domanda che cos’è la verità? La verità è qualcosa che viene da lontano da logiche e relazioni dritte o storte molto antiche, da una narrazione di sé, mi sembra sia un criterio potente.

Fossano, 9 marzo 2019

(Testo non rivisto dall’autore)

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