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24 Gennaio 2015
Stella Morra

4. Il puro e l’impuro, del dentro e del fuori

Commento a: Mc 7, 1-15


Approfondimento. “Nutrire come atto religioso e come atto etico-politico. 15 tesi a margine della eucarestia come pasto e come sacrificio” (Andrea Grillo). Il contributo fa parte dei materiali del Seminario di studio “Per la vita del mondo – verso l’Expo” (qui il pdf Per la vita del mondo – Verso l’Expo 2015)


Premessa

Sui giornali, qualche giorno fa, è comparsa la notizia di un signore francese residente in Italia, deceduto per fame. Apparteneva ad una setta la cui tesi fondamentale è che quanto introduciamo nel nostro corpo ci inquina. La persona in questione ha portato talmente avanti questa teoria da morire di fame. La notizia mi ha fatto riflettere, perché da un lato dice come le tematiche di cui ci stiamo occupando – i linguaggi elementari della vita e della fede -, sono strutturalmente linguaggi di fiducia, relazionali, non in senso di scelta o in senso etico, ma costituiti come relazionali rispetto all’esterno. Dopo 20 mila anni questa struttura sta andando in crisi; la cultura sembra negare la natura. La cultura vorrebbe dominare la natura: da cacciatori-raccoglitori si è diventati coltivatori, si è cominciato ad addomesticare gli animali e la natura. La cultura nasce per addomesticare e la volontà di dominio arriva a negare la struttura di relazione, di dipendenza e di affidamento e dunque, “ciò che viene da fuori ci inquina!”.

Il testo del vangelo che oggi commentiamo mostra che la questione non è nuova.

Rientrano in questo tema anche le discussioni sul fondamentalismo religioso e ciò che è accaduto a Parigi nel gennaio 2015. La violenza in nome delle religioni evidenzia ancora una volta che questo linguaggio elementare – vivere-morire, colpa mia-colpa tua – ha una grande potenza nella realtà. Chi come me ha iniziato il ciclo scolastico con il pennino e ora alla soglia dei 60 anni si ritrova ad utilizzare il computer, sperimenta un cambiamento troppo veloce che ci sta espropriando dei linguaggi elementari che in passato rimanevano stabili nella loro trasmissione. Nel passato il cambiamento poteva essere digerito in due o tre generazioni, ora i cambiamenti avvengono due o tre volte nella vita di ciascuno di noi. Nel passato le cose fondamentali avevano una loro stabilità che si adattava di volta in volta, ora in un cambiamento così veloce abbiamo bisogno, per noi soprattutto e per le nuove generazioni, di scoprire che i linguaggi elementari, quelli che un tempo si chiamavano istintivi, non sono più così spontanei. Prima lo sembravano perché la trasmissione era più automatica, ora dobbiamo reimparare e ricomprendere che le cose elementari sono anche complesse.

I primi tre testi esaminati – la storia di Giuseppe, la manna e il Salmo 127 – miravano a mettere in luce tre caratteristiche fondamentali di tutti i linguaggi elementari:

1) innanzitutto l’ambiguità. I linguaggi elementari non sono né buoni né cattivi. Possiamo fare del bene, fare del male; usarli bene, usarli male. L’ambiguità è una di quelle cose, come il cibo, che richiede una misura; dunque l’altro nome dell’ambiguità è il bisogno di misura. Proprio nell’attentato terroristico di Parigi abbiamo visto bene quanto abbiamo bisogno di una misura… Perché come diceva il Papa, se una persona insulta mia madre, si deve aspettare un pugno. Ciò non significa che il pugno è buono, ma che è possibile spingersi fino a dare un pugno. Non è la stessa cosa dire che se io pubblico una vignetta, allora ti uccido. Se si pubblica una vignetta offensiva, ti posso denunciare, querelare… La libertà è un bene? Sì. Può diventare un male? Assolutamente sì! C’è un problema di misura rispetto alla libertà. Una questione fondamentale è che linguaggi elementari richiedono misura; serve misura nel cibo? Sì, perché il cibo fa bene, ma può anche far male.

2) Il tema della manna mette in luce come i linguaggi elementari sono responsoriali, cioè richiedono un dialogo. Il linguaggio elementare mi mette di fronte al fatto che da solo non basto, che io sono solo metà del mondo, che c’è un’altra metà che è il non io. Nelle violenza religiosa esplosa a Parigi lo osserviamo bene: se esisto solo io, se io sono il tutto, allora io solo ho diritto di esistere; dunque chi, per qualche motivo, è un non me, non ha diritto di stare al mondo perché non può esistere qualcuno che non sia uguale a me.

3) Il Salmo. I linguaggi elementari ci mettono di fronte alla questione del nucleo oggettivo irriducibile. Essi non seguono le regole del diritto, della legge, della giustizia, dei meriti acquisiti, della salute-malattia, della sazietà-fame, del freddo-caldo, ma hanno un nucleo oggettivo irriducibile per cui una persona asserisce: è così, non me lo merito, tuttavia è così! I saperi elementari ci dicono che le cose fondamentali della vita non dipendono dalle nostre scelte, se non in misura estremamente ridotta. Dunque, se c’è un’ambiguità strutturale relazionale e una oggettiva irriducibilità del reale, significa che le mie scelte sono indifferenti. Dire che le cose sono ambigue e quindi, bene o male, sono uguali è l’altra nostra tentazione.

Oggi facciamo un passaggio importante. Proprio perché i saperi elementari sono così, ci indicano che come noi ci mettiamo di fronte a queste cose, fa la differenza. Essa non sta nel risultato delle scelte che compiamo, ma nel come abitiamo questi elementi, da che parte ci mettiamo.

Da questo punto di vista i “Dieci comandamenti” l’avevano capito benissimo: quelli che troviamo nel libro dell’Esodo ma anche nella tradizione cattolica che abbiamo imparato fin da bambini. Ci dicono le strutture fondamentali dell’esistenza; ci suggeriscono: “Non metterti da una parte, ma dall’altra!”; ci parlano di questioni che di per sé non sarebbero così scontate. Prendiamo ad esempio il “non rubare”. Tutti nella vita hanno avuto, almeno una volta, il desiderio di rubare, perché in alcuni casi sarebbe persino logico. Di fronte all’irriducibilità dell’esistenza di una struttura responsoriale ingiusta e alla ambiguità su alcune questioni della vita, sarebbe normale rubare. Ci sarebbe persino una certa giustizia nel rubare. Quando la gente ad esempio dice che sarebbe disposta a pagare le tasse, se le pagassero tutti. È normale che una persona di fronte al fatto che tutti rubano, si sente autorizzata a rubare? Il comandamento dice: “Non ti mettere in quella storia lì, mettiti da un’altra parte. Non rubare!”. È davvero una questione di scelta, non c’è un motivo, un premio. La differenza la fa dove una persona si mette, non in relazione ad un risultato, ma rispetto alle cose elementari della vita.

Il testo

1Si riunirono attorno a lui i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme. 2Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate 3– i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi 4e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti –, 5quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?».

6Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto:

Questo popolo mi onora con le labbra,

ma il suo cuore è lontano da me.

7Invano mi rendono culto,

insegnando dottrine che sono precetti di uomini.

8Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini». 9E diceva loro: «Siete veramente abili nel rifiutare il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione. 10Mosè infatti disse: Onora tuo padre e tua madre, e: Chi maledice il padre o la madre sia messo a morte. 11Voi invece dite: “Se uno dichiara al padre o alla madre: Ciò con cui dovrei aiutarti è korbàn, cioè offerta a Dio”, 12non gli consentite di fare più nulla per il padre o la madre. 13Così annullate la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi. E di cose simili ne fate molte».

14Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! 15Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro».

Di questo testo, alcune frasi sono ben note, altre meno perché c’è stato un cambio di traduzione nella versione del 2008 e perché sono frasi ritagliate, di cui si è perso il contesto.

Si riunirono intorno a lui i farisei e alcuni degli scribi venuti da Gerusalemme

Per noi i Farisei sono quelli cattivi che hanno rifiutato Gesù, sono falsi, ipocriti, ammalati di potere. Di per sé non è vero, ma in una ricezione apologetica del Vangelo sono per definizione cattivi e malvagi, poiché diventano avversari di Gesù. In realtà sappiamo che i farisei e gli scribi sono gli operatori di pastorale, i catechisti, cioè le persone impegnate dal punto di vista religioso. In questo testo ci viene detto una cosa molto comune, il nome e il cognome di queste persone. Cioè si dice che nessuno incontra le questioni elementari della vita come fa un bambino (per questo a Gesù viene attribuita la frase: “Se non riceverete il Regno di Dio come bambini…”). Tutti noi le riceviamo dentro una storia, con il già esserci messi da qualche parte, con l’avere già fatto alcune scelte fondamentali e con la necessità dunque di giustificarle.

Gli esseri umani tendono a praticare e a riconoscere, a costruire una storia di auto affermazione. E, per cambiare il luogo dove ci si è posti, bisogna fare una conversione ad U, spostarsi, rompere una logica rispetto ai saperi elementari. La conversione non è innanzitutto un atto morale, ma è mettersi in un altro modo rispetto alle questioni di fondo. Quest’esperienza la facciamo frequentemente nell’epoca moderna perché siamo diventati grandi viaggiatori, gente che incontra altre culture, cioè luoghi in cui i nostri saperi elementari non servono. Ad esempio, quando una persona va in un luogo e non sa dove si vendono fazzoletti di carta o biglietti dell’autobus, è destabilizzata… Sono quei saperi elementari che nessuno spiega, sono quelli su cui è necessario ristrutturarsi, spezzare le abitudini. Questa è la conversione. Nel testo Gesù richiama i farisei e gli scribi che vengono da Gerusalemme, persone che non sono neutrali rispetto al discorso religioso, affrontando due questioni: dapprima cita Isaia e poi richiama il comandamento. Cioè si mette sul loro territorio, esattamente sul luogo dove loro dicono di essere.

I farisei e gli scribi che cosa vedono? Non mentono, non vedono il falso, vedono una cosa vera. I discepoli di Gesù mangiano con mani impure cioè non lavate e su questo “cioè”, bisogna tenere lo sguardo fisso. La questione è che mangiano non con mani sporche, cioè non lavate, che sarebbe descrittivo, ma con mani impure. C’è una lettura del fatto elementare, pulito-sporco, come fatto ambiguo. Le mani sono impure perché non sono lavate: cioè la tradizione legge quel fatto elementare in termini di giudizio religioso negativo.

Gesù se la prende con le tradizioni. La tradizione è quel sistema, quel metodo che vi riferivo all’inizio a proposito dei saperi elementari: si collega un dato di realtà con il suo significato, il suo valore, il suo giudizio.

Nella nostra esperienza della tradizione, qualcuno più anziano di noi ci indica di non percorrere alcune strade, di non “fare così”. Egli collega un gesto, un comportamento, una frase, un modo di vestire, ad un giudizio negativo costruito sui parametri di come ci si era messi di fronte a quella cosa prima di noi.

Se “sporco” è uguale a “impuro”, vi sono alcune conseguenze; se “sporco” è uguale a “sporco”, ne accadono delle altre. Cioè se qualcuno di noi si pone di fronte un dato elementare interpretandolo secondo lo schema della tradizione, accadono delle cose. Se noi riconosciamo il sapere elementare e ci chiediamo quello che la tradizione ci tramanda, dove dobbiamo metterci, succedono delle altre cose. Questo è il problema.

Quei farisei e quegli scribi interrogano Gesù e gli dicono: “Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi ma prendono cibo con mani impure?”.

Di per sé i farisei e gli scribi non sono cattivi; sono andati da Gesù, vedono una cosa vera e fanno una domanda: “Perché?”. Pongono questa domanda a partire dalla tradizione poiché essa è importante. È il come ci mettiamo in modo collettivo. Le società, le culture, i gruppi, le religioni, si mettono in modo pubblico e comune di fronte ad alcune cose. Scelgono. Sono sicuramente norme date dagli uomini, sono scelte di posizionamento. In tale passaggio c’è ad esempio tutta la discussione del Sinodo sulla Famiglia. Il modo in cui pubblicamente la Chiesa si è messa rispetto all’istituzione del matrimonio, come lo ha regolamentato, quali conseguenze ne ha tratte. Quella tradizione è il modo collettivo in cui una comunità di credenti ha interpretato il modo storico di posizionarsi rispetto alla questione elementare che è l’insegnamento di Gesù sul rapporto tra uomini e donne: Allora dobbiamo per forza mantenerla tutta? Non necessariamente… Rimane un elemento di tradizione, in cui ci siamo posti e che dunque può essere ricompreso, reinterpretato a patto che si voglia salvaguardare la stessa questione.

Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti…”

La reazione di Gesù è molto aggressiva, egli usa la parola “ipocriti”. Tanto che per noi, il fariseo è diventato sinonimo di ipocrita, cioè colui che fa rispettare le leggi, ma che personalmente in realtà le disattende.

Gesù, dice “ipocriti” rispetto a questo modo di leggere la tradizione, a questo non riconoscere la necessità che di fronte alle questioni elementari e sostanziali della vita, bisogna ripartire da come sono, non da come li giudichiamo o da come ci è stato insegnato a giudicarle. Con un linguaggio più preciso, diciamo che dobbiamo andare alla sostanza e non fermarci alla forma; è per questo motivo che nella tradizione abbiamo immaginato che “ipocrita” si riferisse ad una persona attenta alla forma. Il titolo con cui Gesù li chiama – non farisei né scribi, ma ipocritiè il primo dei tre passaggi che l’evangelista fa compiere a Gesù.

Poi Gesù cita un testo di Isaia: “Questo popolo mi onora con le labbra ma il suo cuore è lontano da me”. Crea un’immagine tra labbra e cuore. Cuore come interiorità, verità profonda della persona e labbra come ciò che io rivolgo all’esterno. “Invano mi rendono culto insegnando dottrine che sono precetti di uomini”. Culto a Dio e precetti di uomini.

Ci sono dunque tre passaggi: “ipocriti”, “labbra-cuore”, “Dio-uomini”.

Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate le tradizione degli uomini

Dentro queste tre questioni, c’è la grande tensione tra “dentro” e “fuori” che è quella dei saperi elementari. Il dentro dipende da me; il fuori è ciò che io non governo, non scelgo, che mi si impone e con cui io interagisco. Chi ha l’autorità sul dentro e sul fuori? Sul dentro solo Dio, sul fuori gli uomini! C’è tutta l’architettura di un sapere elementare ripensato rispetto a Dio. Si dice che una persona ha un’intenzione (il dentro), poi c’è un’azione, cioè un modo in cui io metto fuori questa intenzione. Il sapere elementare fondamentale è riconoscere la propria condizione di creature. Perché il mio cuore non sia ipocrita, deve essere in mano a Dio, perché solo Dio ha autorità sul dentro. Che cosa significa essere credenti? Vuol dire riconoscere che il sacrario più profondo di me, l’unica cosa che dipende da me, che è veramente mia, cioè il mio cuore, non è mio, perché è abitato dallo spirito di Dio. Questa è la struttura fondamentale dell’essere credenti: Dio non di fronte a me, ma dentro di me.

“Siete veramente abili nel rifiutare il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione. Mosè infatti dice: “Onora tuo padre e tua madre”.

Non è un caso che Gesù prenda come esempio i comandamenti che sono la struttura delle questioni elementari; tra questi sceglie “Onora il padre e la madre”, il comandamento che dice del nostro rapporto con le origini, il da dove veniamo.

Nel comandamento si dice “onora”, non “ama”. Un amico, prete romano, sostiene che nei comandamenti è obbligatorio fare quello che non viene spontaneo. Quindi rispetto ai genitori, si dice onora e basta! Certe volte i nostri genitori li amiamo persino, è onorarli che è un problema! Questo comandamento è pieno di sapienza, riassume con una sola parola una lunga storia psicanalitica: di separazione, di riconoscimento, di distanza, di vicinanza, di libertà, di autonomia. Onora la tua origine, cioè onora il fatto che non ti sei dato da solo!

Chiamata di nuovo la folla diceva loro, ascoltatemi tutti, comprendete bene non c’è nulla fuori dall’uomo che entrando in lui possa renderlo impuro. Sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro

È il dramma della nostra storia: ciò che è fuori, è usato contro il dentro, ciò che è dentro, è usato contro il fuori. C’è un dualismo, una rottura. Gesù parla dell’origine contro il progresso, piuttosto che della permanenza contro il cambiamento.

I saperi elementari ci mostrano, dall’origine che è Dio in poi, che l’affidamento e la docilità, il riconoscere la propria origine, sono l’unica possibilità per non creare guerra tra dentro e fuori. “Sporco” non è uguale a “impuro”, non c’è nulla che viene da fuori che renda impuro l’uomo. Puro-impuro, dipendono da questo riconoscimento di un’origine, di un’autorità altra su di me. Questa struttura accompagna tutto l’evangelo fino al gesto definitivo: Gesù affida la sua vita al Padre e ci lascia l’Eucarestia. Ciò che è fuori di me, merita un affidamento perché mi nutre.

Per chiudere questo testo così difficile, condivido con voi le righe di un piccolo libro di poesie dal titolo “La scorciatoia divina”. L’autore è Jean-Pierre Sonnet, esegeta francese che insegna a Roma, autore di “Generare e narrare” (che citavo la volta scorsa) e di un libretto delle edizioni Qiqaion  dal titolo “Il Canto del Viaggio”, una raccolta di citazioni bibliche sul viaggio.

Ecco il breve testo:

Quando Rascì (maestro ebraico, famoso commentatore della Genesi) commenta che soltanto per Adamo

le mani divine sono venute in soccorso della parola creatrice

fremo per il tocco di Dio sulla mia pelle,

del palmo che sul mio torso aderisce alle distensioni del respiro e all’ostinazione del cuore.

Sulla pagina biblica spalancata si è posata leggera la mia mano”.

Fossano, 24 gennaio 2015

(testo non rivisto dal relatore)

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