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Lectio 2020/2021

Nella fine, l’inizio

…cercando parole e gesti di futuro

Non adesso, forse, ma prima o poi arriverà una storia in cui capiremo che ognuna delle nostre ossa è impastata con il sudore di tutti, viene dal pallido freddo in cui un miracolo ha bucato il nulla ed è cominciato il mistero in corso, la vita di ognuno ora così tremante e bisognosa di soccorso.
Non adesso, forse, ma capiremo che non dobbiamo sprecare il tempo che passiamo assieme, il tempo di un sorriso, di una passeggiata. Guardiamoci, parliamoci con bella, commovente serietà. Curiamoci.
FRANCO ARMINIO, La cura dello sguardo, Bompiani, 2020, 45

La vita perfetta coincide con la leggibilità del mondo, il peccato con l’impossibilità di leggere (con il suo diventare illeggibile).
GIORGIO AGAMBEN, Altissima povertà. Regole monastiche e forme di vita, Neri Pozza, 2011, 40

Come bracconieri, prendiamo a prestito il nostro titolo da un libro di Jurgen Moltmann (Nella fine, l’inizio: piccola teologia della speranza, Queriniana, 2018). Viviamo tutti in una strisciante sensazione di “fine”, non tanto biografica e individuale (come nel libro di Moltmann), piuttosto fine di forma di vita, di abitudini, di parole, di un modo di essere credenti. E sempre più ci sembra che questa fine sia strisciante: l’ingresso traumatico della pande- mia è stato solo un rivelatore e acceleratore di movimenti di tramonto in atto da ben maggior tempo.
Dunque, anche in questo tempo, torniamo alla Parola di Dio, che non è libro di soluzioni, ma lampada per i nostri passi, cioè illuminazione perché noi (proprio noi, oggi) possiamo cam- minare nell’oscurità. Le chiediamo parole che ci aiutino a dire, dunque a capire e condivide- re, imparare e correggere. E, come ci insegna Mary Daly, quando ci si interroga intorno alla fede non si cercano parole qualsiasi, in particolare non si devono cercare “nomi” (simbolicamente appropriazioni e descrizioni), ma verbi e avverbi (l’agire di Dio nella storia e dunque il nostro agire responsabile e comune).
Non si tratta di parole da distinguere tra giuste o sbagliate, buone o cattive, ma piuttosto di raccogliere, nella inevitabile ambiguità della storia, l’eredità da conservare da ciò che finisce, per coltivare il seme che cresce misteriosamente; non sono opposizioni, ma piuttosto trasformazioni e metamorfosi. Cerchiamo dunque in verbi e avverbi che sembrano mostrarsi come “finiti”, verbi e avverbi che ci indichino l’inizio di un cammino nuovo, perché siamo viandanti nel continuo esodo della Parola che ci illumina.

[Un buon accompagnamento alla nostra riflessione sono le catechesi di papa Francesco delle udienze del mercoledì iniziate il 5 agosto 2020 dal titolo “Guarire il mondo” e l’enciclica sulla fraternità “Fratelli tutti”]

DataTitoloCommento a:
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